Francesco I
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Vaticano, un processo d'altri tempi

Vaticano, un processo d'altri tempi
L'avvocato difensore va scelto in un elenco apposito

di Cesare Maffi

C'è un eccesso di stupore per la procedura seguita Oltretevere nei confronti dei cinque imputati per la diffusione di notizie e documenti riservati. È del tutto inutile lamentare tempi, metodi, norme, che appaiono chilometricamente distanti dalle procedure penali di casa nostra. Il Vaticano, inteso come Stato sovrano, ha proprie norme, penali e di procedura penale, che in larga misura sono ancora quelle vigenti in Italia nel 1929, soltanto in parte riviste. Fra l'altro, da soli due anni è stato introdotto proprio il reato per il quale monsignor Vallejo Balda, la sua ex collaboratrice Francesca Chaouqui, l'altro collaboratore Nicola Maio e i due giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi si trovano oggi alla sbarra. La «divulgazione di notizie e documenti», infatti, è dal 2013 un reato, inserito fra i «delitti contro la Patria» (come da rubrica dell'antico codice penale italiano) dopo la diffusione di documenti operata dal maggiordomo pontificio Paolo Gabriele.

Naturalmente appare riprovevole in Italia (e in altri Paesi) che si possa perseguire l'autore di un libro che ha divulgato notizie e documenti che non risultino al nostro sentire segreti di Stato. Altrettanto sembra una violazione del diritto di difesa obbligare un imputato a scegliersi un difensore in un ristretto elenco di legali autorizzati, i quali possono perfino sembrare avvocati graditi allo Stato. Però alla base di tutto sta che i Patti lateranensi hanno fatto nascere uno Stato sovrano, la Città del Vaticano. Questo Stato si è dato proprie leggi, che possono non piacere a chi non sia cittadino vaticano, e probabilmente non piacciono nemmeno a qualche cittadino vaticano; tuttavia sono espressione della sovranità di quello Stato.
Alcune o molte disposizioni sono lontane dal diritto che regge normalmente i Paesi europei? Senz'altro. Basterebbe ricordare quanto prevede l'articolo 1 della nuova (risale al 2008) legge sulle fonti del diritto vaticano («L'ordinamento giuridico vaticano riconosce nell'ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo»), per capire quanto sia distante il diritto praticato nelle Mura Leonine da quelli vigenti fuori di quel ristretto perimetro. Aggiungiamo che la nuova legge fondamentale dello Stato Vaticano (risale al 2000 e costituisce l'equivalente di una carta costituzionale), anche qui nell'articolo iniziale, sancisce che spetta al «Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario». Altro che divisione dei poteri, principio di legalità, insegnamenti di Montesquieu! Il papa può fra l'altro (articolo 16) «in qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della medesima deferirne l'istruttoria e la decisione ad una particolare istanza, anche con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore gravame». Che fine fa il giudice naturale previsto per legge?

Che il papa possa intromettersi negli organi giudiziari emerge da due circostanze. Quando sono scattati i provvedimenti restrittivi per monsignor Balda e per l'esperta di pubbliche relazioni, il papa è stato informato dalla giustizia vaticana e ha dato la sua approvazione. Balda ha spiegato ieri che «il papa vuole fare presto». Se il capo dello Stato interviene in tal modo su un organo giudiziario, come volete mai che siano garantiti, nei domini temporale del pontefice, princìpi giuridici oggi comune patrimonio civile?
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