Commento alla prima lettera ai Romani - di Don Dolindo Ruotolo

1 Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, 2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture,3riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. 5Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome; 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo. 7A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
8Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. 9Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi. 11Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, 12o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi - ma finora ne sono stato impedito - per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra gli altri Gentili. 14Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma.
16Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. 17È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede.
18In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
24Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
26Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. 27Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. 28E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, 29colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, 30maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. 32E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.


San Paolo, scrivendo ai Romani, comincia col fare la presentazione di se stesso, esponendo i titoli soprannaturali che lo autorizzano a scrivere per la loro edificazione.

La Chiesa di Roma era già al centro di tutte le Chiese sparse allora nel mondo e questo sarebbe inspiegabile se non fosse stata fondata e retta da San Pietro, costituita da Gesù Cristo stesso, capo degli apostoli, del Sacerdozio e dei fedeli. San Paolo crede suo dovere scriverle, per parteciparle i lumi e le grazie da lui ricevuti per edificazione dei pagani, ma sente il bisogno di giustificare questo suo intervento: egli è servo di Gesù Cristo, cioè, come indica la parola greca, è suo schiavo, tutto dedito a Lui per amore, tutto pronto a compierne la volontà, anche a costo di sacrificio; è suo ministro e rappresentante, non per disposizione o elezione degli uomini ma per divina vocazione; è apostolo perché, come gli altri apostoli, chiamato ed istruito direttamente da Gesù Cristo e mandato per annunciare il suo Vangelo. […]

Era debitore del ministero affidatogli direttamente da Gesù Cristo a tutti i pagani, sia Greci che barbari, sia sapienti che ignoranti; doveva evangelizzare i popoli di lingua e cultura greca, e quelli di altre lingue, chiamati allora col nome generale di barbari; doveva annunciare la verità ai popoli civili, dotati di sapienza, e doveva annunciarla ai popoli ancora sepolti nelle tenebre; doveva quindi annunciarla a tutto il mondo, e credeva suo dovere esercitare il suo ministero anche ai Romani, i quali rappresentavano il centro della cultura greca e della civiltà.

A Roma ferveva più che mai viva l'opposizione del Vangelo considerato dai pagani come stoltezza: in questo centro orgoglioso, sprezzante e crudele, dove sarebbe apparso temerario parlare la parola della vita, San Paolo sentiva il dovere e lo slancio di esercitare il suo apostolato, perciò con frase potente che rivela tutta la superiorità della sua anima santamente libera su tutte le miserie della viltà umana, egli esclama: “Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco”.
È questa l'idea centrale, e come il tema di tutta la lettera ai Romani: il Vangelo, cioè la buona novella annunciata da Gesù Cristo e propagata dagli apostoli, è la forza di Dio, lo strumento di cui la potenza di Dio si serve per apportare la salvezza a quanti lo credono; la salvezza poi è la remissione dei peccati, la vita soprannaturale della grazia e l'eredità del cielo. Per mezzo del Vangelo Dio vuole salvi tutti gli uomini compresi nelle due classi nelle quali si divideva allora l'umanità, nei Giudei e nei Greci, o pagani.

Ai Giudei fu rivelato prima che a qualunque altro popolo la verità del Vangelo, perché essi furono eletti a propagarla per il mondo; ad essi quindi, per primi, fu fatta la grande misericordia, ma dolorosamente non tutti vi corrisposero e dai Giudei la verità passò ai pagani. […]
Stabilita la sua tesi, San Paolo passa a provarla, e per mostrare la necessità della fede in Gesù Cristo al fine di avere la giustificazione, dimostra col fatto che la natura e la Legge da sole sono impotenti a giustificare l'uomo. Tutti gli uomini, pagani e Giudei sono colpevoli innanzi a Dio; né la ragione fu capace elevare i pagani nella verità e nella giustizia né la Legge fu sufficiente a ciò per i Giudei, non per mancanza di aiuti da parte di Dio, ma per colpa dell'ingratitudine e della perversità umana.

Tutti perciò sono meritevoli di castigo, ed hanno bisogno della Redenzione di Gesù Cristo per salvarsi. Questa necessità risulta dallo stato miserando nel quale sono ridotti gli uomini tutti, pagani e Giudei, e San Paolo ne fa un'esposizione viva, cominciando dai pagani.
L'ira di Dio, egli esclama, ossia la sua giustizia vendicatrice, che con infinita e imperturbabile calma ristabilisce l'ordine morale manomesso dal peccato, si manifesta in ogni tempo dal cielo, con evidenti interventi soprannaturali della sua potenza, contro ogni empietà ed ingiustizia degli uomini, ossia contro i peccati commessi disonorando la divina maestà (l'empietà), e contro quelli commessi in danno del prossimo (l'ingiustizia), non tanto per fragilità quanto per malizia.
Il Signore irrompe contro quelli che tengono inceppata la verità nell'ingiustizia, ossia contro quelli che per la loro immoralità e per dar sfogo alle basse passioni, tengono schiava la verità, impedendole di spandere la sua luce nella loro vita. La verità è la nozione del vero Dio, la conoscenza della sua Legge ed il riconoscimento del culto che gli si deve; l'ingiustizia è l'immoralità, la mancanza di virtù, di perfezione e di santità; l'uomo che si abbruttisce nel peccato rende schiava la verità perché si sforza di adattarla alle proprie passioni, rinnegandola anche quando essa è luminosa innanzi alla sua mente. L'idolatria è l'inceppamento della verità nelle passioni, è il ridurre la sublime idea di Dio al vile concetto delle passioni più turpi, per poter vivere ignobilmente di peccati, e trovare nel falsato concetto di Dio una giustificazione ai propri disordini.

Eppure Dio ha manifestato agli uomini la sua divina realtà in modo tale che la retta ragione non può scambiarla con le vilissime cose che il paganesimo adora. I suoi attributi invisibili, cioè la natura e le perfezioni di Dio, invisibili all'umana piccolezza perché non possono conoscersi quali sono in se stessi, si possono conoscere nelle opere della creazione, e tra essi segnatamente la sua potenza, che rifulge in quelle opere mirabili, e la sua divinità, poiché per il principio di causalità si può conoscere l'esistenza di Dio, principio e fine di tutte le cose.
I pagani perciò sono inscusabili nei loro errori perché, potendo conoscere con un facile ragionamento Dio, non lo glorificarono riconoscendone la suprema maestà, né lo ringraziarono, riconoscendolo come supremo padrone di tutte le cose, ma vaneggiarono nei loro pensieri, formandosi un concetto fantastico e stolto della divinità, e il loro cuore insensibile, ossia la loro stolta mente, si ottenebrò a tal punto da scambiare la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine di un uomo mortale […].

Il loro primo peccato attrasse sopra di loro gli altri come terribile castigo, caddero nell'impurità, disonorarono in loro stessi i loro corpi, e poiché scambiarono la verità divina con la menzogna, adorando e servendo la creatura piuttosto che il Creatore, che merita ogni benedizione nei secoli, il Signore li privò della sua grazia, non avendo modo di comunicarla loro, e li abbandonò alle loro ignobili passioni impure. […]. San Paolo accenna a questi orribili peccati […]: le donne stravolsero l'uso naturale dei loro sensi ed arsero di concupiscenza fra loro in modo ignobile; così fecero anche gli uomini. Non avendo alcun freno nell'idea di Dio e nella conoscenza della sua Legge, furono ripieni di ogni iniquità, furono perversi, impuri in ogni loro desiderio, avari perché avidi di ricchezze e di beni terreni, malvagi verso il prossimo e capaci di ogni delitto per procurarseli ad ogni costo, invidiosi di quello che non potevano raggiungere, omicidi, pieni di contese, di frode e di malignità, maldicenti, senza carità, nemici di Dio, oltraggiatori del prossimo, arroganti nel far valere il diritto della forza, millantatori nel farsi credere quello che non erano, inventori del male, perché intenti a trovare nuovi modi di soddisfare le loro passioni, senza senno perché empi, senza lealtà perché violatori dei patti, senza amore verso i figli e i parenti, senza misericordia verso i poveri e i sofferenti; gente infame che non solo commetteva tutte queste abominazioni pur sapendo per la legge naturale (impressa da Dio nei loro cuori) che erano illecite e meritevoli di castigo, ma le approvava tributando onore e culto ai vizi più turpi nei suoi idoli e nei suoi imperatori, i quali venivano magnificati e adorati pubblicamente per le loro orribili nefandezze.

Roma, nella sua etimologia significa anche potenza e forza, ed il suo nome stesso indica l'orgoglio col quale fu fondata e il programma che si proponeva di esplicare. A questa città, dominatrice del mondo con la potenza delle sue legioni e la forza delle sue armi, San Paolo scrive per mandato di Dio opponendole la potenza e la forza del Vangelo […]. Egli viene quasi a dare al popolo della forza e della potenza materiale l'ultimatum dell'amore che vince redimendo, e parla ai pagani perché si sottomettano alla fede nel nome di Gesù Cristo, chiamandoli Egli alla santità.

Come ogni araldo d'un vincitore, intimando la resa, manifesta la sconfitta del vinto, così San Paolo, intimando ai pagani di sottomettersi alla fede vincitrice, espone a vivi colori la loro sconfitta morale e rivela le loro ignominie, affinché intendano di aver bisogno di salvezza. [...].
Quest'ultimatum d'amore e questa intimazione di resa sono fatti ad ogni anima, oggi che l'apostasia della verità e della fede è tanto generale, e le parole dell'Apostolo sono sempre vive e di attualità per le povere e miserande nazioni moderne che si gloriano della loro potenza e della loro forza, e sono cadute nel più profondo obbrobrio per la loro corruzione.
Abituati ormai a vivere in quest'atmosfera di pantano noi non facciamo più caso del male che ci circonda e ci soffoca […]. Noi affoghiamo nei vaneggiamenti della ragione e nel lezzo dell'impurità. Siamo giunti non solo al rinnegamento ma all'odio di Dio, e siamo schiavi dei vizi più turpi […] idolatrando il male per il male e dichiarando la nostra completa ribellione ad ogni legge superiore.

Se il disconoscimento di Dio produce l'impurità, noi che siamo immersi fino al collo nell'impurità, dobbiamo riconoscere che non abbiamo fede, e che la mancanza di fede vera e profonda ci ha resi corrotti come pagani e più che pagani.

Nessuno può negare che il mondo moderno, con le sue spaventose manifestazioni di immoralità, è abbandonato all'impurità secondo i desideri del suo cuore, sì da disonorare in se stesso il proprio corpo, poiché ha scambiato la verità di Dio con la menzogna e adora e serve la creatura piuttosto che il Creatore.

Questo spaventoso orrore d'impurità raggiunge gli stessi eccessi dei tempi pagani e molte volte li supera. È innegabile per esempio che i pagani, pur adorando idoli abominevoli, non conoscevano la spaventosa abituale licenza del modo moderno di vestire delle donne e anche degli uomini moderni. A paragone alle matrone romane, le nostre donne sono meno che sgualdrine, e fingono di non accorgersene, o illudono la loro già bacata coscienza con scuse e cavilli che non reggono innanzi ai precisi comandi della Legge divina. Se per la mancanza di fede l'uomo è abbandonato da Dio al reprobo senso, bisogna riconoscere che la nostra fede è ridotta ad una meschinissima cosa, ed è appena la larva di una vera fede in Dio.

Questa lacrimevole povertà di vera fede in Dio risulta anche dalla poca o nessuna ammirazione che noi abbiamo delle opere sue. Attratti fino al delirio dai miserabili spettacoli della vita corrotta, non diamo agio all'anima di spaziare nella meditazione degli spettacoli della creazione che ci mostrano la potenza e la divinità del Signore, e ci fanno misurare la nostra estrema piccolezza innanzi a Lui. Basterebbe fermarsi innanzi al mistero dei cieli, all'elevatezza silenziosa dei monti, alla potente ira delle tempeste e dei flutti del mare, alla feconda tranquillità delle campagne, per sentirsi dominati amorosamente dalla potenza e dalla grandezza del Creatore.

Noi invece c'incitrulliamo miseramente di fronte agli spettacoli del cinema e della televisione, e depraviamo talmente il nostro gusto da non saper ammirare altro che la miseria di immorali ignominie.

Preghiamo il Signore che ci converta. Abbiamo bisogno di una rinnovazione radicale, perché siamo miseramente corrotti nelle radici stesse della nostra vita. […] Occorre una rinnovazione profonda della nostra fede e per questo occorre un nuovo annuncio del Vangelo integrale, ossia della Sacra Scrittura non come libro più o meno antico, riguardante per la massima parte il popolo ebreo, ma come Vangelo, come libro che ha la sua idea centrale nel Cristo, e che perciò è forza di Dio per la salvezza di ogni credente.

Qui sta il vero segreto della rinnovazione della terra, in questo l'effusione generale dello Spirito Santo su ogni anima: Emitte spiritum tuum et creabuntur, et renovabis faciem terrae.
Per questo il demonio si è sforzato e si sforza di sfigurare la Sacra Scrittura con una povera esegesi che si restringe in modo tutto umano alla lettera che uccide; per questo è mosso in guerra con tutte le sue forze contro la meditazione della Sacra Scrittura, ed ha fatto svalutare dai moderni pigmei l'esegesi della Chiesa nella sua Liturgia […].

Si è così scambiata la verità divina con la menzogna e si è ascoltata più la parola della creatura che quella del Creatore. Preghiamo Dio che ci faccia risorgere […].

Don Dolindo Ruotolo