Papa Luciani, Fatima e l'apostasia nella Chiesa (importante)

105 anni fa nasceva Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I. Diventa papa il 26 agosto 1978 e muore 33 giorni dopo. Molto si è discusso intorno a questo decesso, così rapido.

Ucciso?

Morto a causa del suo mal di cuore, aumentato dalle innumerevoli difficoltà nei primi giorni del pontificato?

La seconda sembra la riposta più convincente: i malanni c’erano, i suoi scontri, appena eletto, con il cardinal Villot, segretario di Stato, in odore di massoneria, nemico accerrimo del mondo cattolico tradizionale francese (Mons. Lefebvre compreso), pure.

Luciani aveva avuto, come patriarca di Venezia, una pessima impressione di Marcinkus, e sembra certo che da papa volesse:

1) fare piazza pulita dei prelati massoni, compreso Villot, accusato da molti di far parte della società segreta;
2) imprimere una svolta tradizionale, o conservatrice che dir si voglia, alla Chiesa, in fatto di dottrina (certa la sua decisione di affrontare a muso duro i Gesuiti e le loro innovazioni dottrinali);
3) cambiare completamente lo IOR.

Come ricorda Benny Lay, vaticanista celebre di quegli anni, tutte le voci che gli arrivavano andavano nella stessa direzione: Luciani si sentiva assediato, controllato, ostacolato.

Luciani che nel 1977 aveva incontrato Lucia di Fatima ed aveva ricevuto da lei un messaggio: la Chiesa rischia l’apostasia; Luciani che nei suoi scritti precedenti all’elezione, metteva in guardia contro le novità stravaganti di molti cattolici, e contro la deriva etica del tempo (nei suoi scritti critica spesso la cultura dell’aborto e dell’omosessualismo).

Ebbene in un articolo di Marco Tosatti su La Stampa del 25 giugno 1984 (vedi foto), Gianni Gennari rivela che Luciani aveva già cambiato nella sua mente l’organigramma della Chiesa, mettendo in posti chiave tradizionalisti come i cardinali Felici, Poletti e Benelli, e togliendo al già citato Villot il ruolo di segretario di stato.

Villot stesso, informato, avrebbe comunicato al papa le sue perplessità e Luciani, prima di andare a dormire, schiacciato dal peso della sua responsabilità, avrebbe sbagliato la dose del calmante di cui aveva, evidentemente, parecchio bisogno vista l’ostilità di quanti gli stavano intorno e la consapevolezza che la Madonna, tramite Lucia, gli aveva affidato un messaggio terribile.

Quella del dosaggio sbagliato del calmante è solo una ipotesi, del tutto probabile. Gli altri sono fatti accertati.

Qui ciò che pensava Giovanni Spadolini sul rapporto tra Montini, Luciani e Wojtyla, e la sua convinzione che Luciani avrebbe impresso una svolta, rispetto a Paolo VI, collocandosi maggiormente sulla linea più tradizionale di s.Pio X:

spadolini-su-luciani

Fonte:

www.libertaepersona.org/…/giovanni-paolo-…

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È un incontro sul quale si sono fatte molte ipotesi, alcune delle quali fantasiose. Nel 1977 il cardinale Albino Luciani, patriarca di Venezia, durante un pellegrinaggio mariano fece visita a suor Lucia dos Santos nel convento di clausura di Coimbra. E si trattenne per un buon tempo a parlare con lei. C’è chi ha dedotto che durante quell’incontro la religiosa gli avrebbe profetizzato l’elezione – avvenuta un anno dopo, quale successore di Paolo VI – e anche la brevità del pontificato.

Con suor Lucia ha parlato della Chiesa con i suoi odierni, acuti problemi, del pericolo dell’apostasia. I contorni e i dettagli di questo colloquio fra il futuro Pontefice e la veggente custode dei segreti di Fatima sono stati rivelati soltanto dieci anni fa, nel 2007, da colui che fu segretario di Luciani a Venezia, don Mario Senigaglia, nel corso di una lunga intervista con Stefania Falasca pubblicata sul mensile 30Giorni.

All’origine delle elucubrazioni sulla previsione del pontificato c’è la testimonianza del fratello del Papa, Edoardo Luciani, il quale non le ha mai avallate ma ha raccontato un episodio del quale fu testimone nell’inverno tra il 1977 e il 1978, quando Albino Luciani alloggiò per alcuni giorni a casa sua. Una sera, vedendolo preoccupato, Edoardo ne chiese al fratello la ragione e si sentì rispondere: «Non riesco a non pensare a ciò che mi ha detto suor Lucia». Dopo l’elezione avvenuta il 26 agosto 1978 e l’improvvisa scomparsa dopo appena 33 giorni di pontificato, quel colloquio con la veggente venne considerato sotto un’altra prospettiva.

Albino Luciani era partito per Fatima il 9 luglio 1977 e aveva fatto ritorno a Venezia il giorno 12. Era la prima volta che ci andava, unendosi a una comitiva di pellegrini. Dopo aver celebrato messa nel santuario il giorno 10, l’11 luglio si spostarono a Coimbra. A proporre e a organizzare la tappa al monastero di clausura era stata la marchesa Olga Morosini de Cadaval, che, racconta don Senigaglia, aveva legami con il convento. Era sposata a un portoghese, conosceva da molto tempo suor Lucia e la assisteva nelle traduzioni della corrispondenza. «Durante la guerra – racconta il segretario di Luciani - ebbe persino l’incarico di portare personalmente, e spesso a memoria, messaggi a Pio XII e messaggi di questi a suor Lucia. Pacelli conosceva la marchesa fin dagli anni della sua giovinezza… Nel ’77 era anziana ormai, avrà avuto più di una settantina di anni».

Fu la marchesa a proporre l’idea di un incontro con suor Lucia, ne parlò con don Senigaglia e questi la consigliò di proporlo a Luciani sul momento, il giorno stesso. E così avvenne. Ovviamente suor Lucia era stata avvisata e aveva acconsentito. Ma grazie a questa testimonianza decade l’ipotesi, a lungo considerata, che fosse stata la veggente a convocare il patriarca.

Quell’11 luglio, dopo la messa celebrata nel monastero, la marchesa Cadaval accompagnò Luciani «da suor Lucia e restò con loro. Visto poi che Luciani riusciva a capire abbastanza bene il portoghese, si fece in disparte, e finito il colloquio lo riaccompagnò» al ristorante dove lo aspettavano i pellegrini. L’incontro durò un tempo considerevole.

Al suo rientro a Venezia, don Senigaglia incontra il patriarca. «Ricordo che entrai nel suo studio e mi disse: “Siediti”. Questo significava che era in vena di raccontare. Mi parlò del viaggio, del clima di autentica preghiera e dei gesti di penitenza commovente che aveva visto a Fatima. Dei pellegrini che avevano fatto un lungo tragitto a piedi nudi sui sassi nella spianada, sotto il sole, e delle pie donne che all’occorrenza medicavano, all’arrivo, i piedi di quei pellegrini. Parlammo allora della differenza con Lourdes e poi ancora di queste diverse forme di pietà, e andando avanti nel discorso, a un certo punto, gli chiesi di Coimbra: “So che è stato lì e ha avuto modo anche di incontrare suor Lucia…”. E lui: “Sì, sì l’ho vista… Ah! ’sta benedeta monèga”, mi disse, “m’ha preso le mani tra le sue e ha cominciato a parlare…”. Rimase quindi un po’ a pensare con le mani giunte, poi riprese: “… ’Ste benedete monèghe quando cominciano a parlare non la finiscono più…”. Mi disse però che delle apparizioni non aveva parlato e che lui le chiese solo qualcosa sulla famosa “danza del sole”».

Fu don Mario Senigaglia a proporre a Luciani di scrivere un articolo sull’incontro, che venne pubblicato il 23 luglio dal settimanale diocesano Gente Veneta. «E lì scrisse quello che mi aveva accennato e tutto quello che, a riguardo, aveva in animo di dire. Scrisse, non senza il suo fine e abituale humour, del carattere gioviale, del parlare spedito della piccola suora, che con tanta energia e convinzione insisteva sulla necessità di avere oggi suore, preti e cristiani dalla testa ferma, e dell’interesse appassionato che rivelava, parlando, per tutto ciò che riguardava la Chiesa con i suoi problemi acuti. Scrisse poi che le rivelazioni, anche approvate non sono articoli di fede, che in merito si può pensare quello che si vuole senza far torto alla propria fede, e concluse con quello che sempre ripeteva riguardo al significato di questi luoghi mariani, e cioè: che apparizioni, non apparizioni, messaggi, non messaggi, i santuari sono lì solo per ricordarci l’insegnamento del Vangelo, che è quello di pregare».

A proposito del racconto di Edoardo Luciani, il fratello del Papa, e di quella preoccupazione che aveva colto sul volto del patriarca di Venezia, don Senigaglia ha detto: «Sono impressioni, ipotesi, deduzioni personali, che Edoardo espresse subito dopo la morte del fratello. E delle quali io non posso rispondere. Edoardo, tuttavia, non sapeva come era andata quella circostanza. Luciani gli disse solo che aveva incontrato suor Lucia. Nient’altro».

Resta però la testimonianza di quel turbamento, che non può essere messa in discussione, data l’attendibilità e il rigore morale del fratello di Giovanni Paolo I. Così commentava don Mario Senigaglia in proposito: «Ma quante volte, quando andavamo a trovare le suore di clausura a Venezia, lo sentivo dopo commentare: “Queste donne benedette… non escono mai e non se ne perdono una… conoscono i problemi della Chiesa meglio di noi!”. Con suor Lucia ha parlato di questi in generale. Della Chiesa con i suoi odierni, acuti problemi, del pericolo dell’apostasia. L’ha detto. E quindi su questi può essere tornato, non senza preoccupazione, a riflettere».

Don Senigaglia, scomparso alcuni anni fa, conosceva bene anche la marchesa Cadaval, che morì quasi centenaria nel 1997 e che, racconta, «Mai fece allusioni, né mai intuii, dalle sue parole, il minimo accenno a preveggenze, profezie di suor Lucia nei confronti della persona di Luciani».

C’è un dato che emerge dalle parole del sacerdote veneziano che fece da segretario a Luciani dal 1969 al 1976. Ed è quel riferimento ai problemi della Chiesa e all’apostasia, tema spesso messo in relazione con il segreto di Fatima. È dunque probabile che il futuro Papa pensasse e ripensasse alle parole della veggente non perché riguardavano una profezia su di lui, ma perché toccavano problemi gravi e rischi seri per la fede, tali da preoccupare un vero credente qual era il patriarca di Venezia. Forse anche di più di una previsione sulla sua vita il cui tempo si era ormai fatto breve.

Fonte:

www.lastampa.it/…/pagina.html

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Ricordo scritto da Albino Luciani sul suo incontro con la veggente di Fatima. Lasciamo alle parole di Albino Luciani, in una relazione pubblicata su Gente Veneta il 23 luglio 1977:

«Lunedì 11 luglio ho concelebrato con alcuni sacerdoti di Venezia e del Veneto nella Chiesa delle carmelitane di Coimbra, città portoghese di circa centomila abitanti. Subito dopo da solo (i cardinali possono entrare in clausura) ho incontrato la comunità intera delle monache (ventidue tra professe e novizie); in seguito ho parlato a lungo con suor Lucia dos Santos, l’unica superstite dei tre veggenti di Fatima. Suor Lucia ha settant’anni, ma li porta bene: di questo m’ha assicurato, sorridendo, lei stessa.

Non ha soggiunto come Pio IX: “Li porto troppo bene, che non me ne casca di dosso neppure uno”, ma la giovialità, il parlare spedito, l’interesse appassionato che, parlando, rivela per tutto quel che riguarda la Chiesa d’oggi con i suoi problemi acuti, mostrano in lei giovinezza spirituale. Il portoghese io lo capisco approssimativamente per esser stato – previo studio molto sommario – un paio di settimane in Brasile; fossi stato completamente digiuno di quella lingua, avrei capito lo stesso la piccola monaca, che insisteva con me sulla necessità di avere oggi cristiani e specialmente seminaristi, novizi e novizie decisi sul serio a essere di Dio senza riserve. Con tanta energia e convinzione m’ha parlato di freiras, padres e cristãos a firme cabeça (suore, preti e cristiani dalla testa ferma).

Radicale come i santi: out odo ou nada, o tutto o niente, se si vuol essere di Dio sul serio. Delle apparizioni suor Lucia non m’ha parlato. Io le ho chiesto solo qualcosa sulla famosa “danza del sole”. Non l’ha vista. Settantamila persone per dieci minuti di seguito il 13 ottobre 1917 hanno visto il sole colorarsi di vari colori, roteare intorno a se stesso tre volte e poi scendere velocissimamente verso la terra. Lucia, con i due compagni, nello stesso tempo vedeva, invece, vicino al sole fermo, la Sacra Famiglia, poi, in quadri successivi, la Vergine come Addolorata e come Madonna del Carmine.

A questo punto qualcuno chiederà: un cardinale s’interessa di rivelazioni private? Non sa egli che il Vangelo contiene tutto? Che le rivelazioni anche approvate non sono articoli di fede? Lo so benissimo. Ma articolo di fede, contenuto nel Vangelo, è anche quest’altro: che “questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono”.

Se oggi è diventato talmente di moda “scrutare i segni dei tempi”, che assistiamo a una inflazione e piaga di “segni”, credo sia lecito riferirsi (con fede umana) al segno del 13 ottobre 1917 attestato perfino da anticlericali e increduli. E, dietro il segno, è opportuno badare alle cose sottolineate da quel segno. Quali?

Primo: pentirsi dei propri peccati, evitare di offendere ancora il Signore.

Secondo: pregare. La preghiera è mezzo di comunicazione con Dio, ma i mezzi di comunicazione tra gli uomini (tv, radio, cinema, stampa) oggi prevalgono sfacciatamente e sembrano voler far fuori la preghiera del tutto: ceci tuera cela (questo ucciderà quello) è stato detto; pare si verifichi.

Terzo: recitare il santo Rosario. Naaman siro, gran generale, disdegnava il semplice bagno nel Giordano suggerito da Eliseo. Qualcuno fa come Naaman: “Sono un gran teologo, un cristiano maturo, che respira Bibbia a pieni polmoni e suda liturgia da tutti i pori, e mi si propone il Rosario?”. Eppure, anche i quindici misteri del Rosario sono Bibbia, e anche il Pater e l’Ave Maria e il Gloria, Bibbia unita a preghiera, che fa bene all’anima. Una Bibbia studiata per puro amore di ricerca potrebbe gonfiare l’anima di superbia e inaridirla: non è raro il caso di biblisti che hanno perso la fede.

Quarto: l’inferno esiste, vi si può cadere dentro. A Fatima la Madonna ha insegnato questa preghiera: “Gesù, perdonate le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell’inferno, portate in Cielo tutte le anime”. A questo mondo ci sono cose importanti, ma nessuna più importante che meritare il Paradiso con una vita buona. Non è Fatima a dirlo, ma il Vangelo: “Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?”»