Danilo Quinto
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E’ on line il sito di Crux Fidelis - Danilo Quinto - 12 novembre 2018

www.cruxfidelis.it: questo il sito dell’Associazione Crux Fidelis, che è al servizio di Nostro Signore Gesù Cristo e della Sua Madre Santissima, la Vergine Maria.

Pubblico qui il primo degli articoli dell’homepage:

“Non ci indurre in tentazione” di Lorenzo Franceschini

Al culmine del percorso di glorificazione si dà l'eccezionalità, come avviene alla morte del Signore, di quell’abbandono da parte del Padre che pur non è l'abbandono di Dio senz'altro, giacché vediamo anzi che Cristo stesso sarà subito Lui intanto a dare, a consegnare, lo Spirito al Padre: ma dove che proprio nell'esserne ultimamente abbandonati dal Padre se ne potrà allora dunque svelare un compimento stesso ormai consumato dell'opera del Padre, per quelle membra del suo Figlio le quali esprimano la condizione della estrema glorificazione di Dio da parte della stessa creatura ormai resa tutta infine spirituale, dalla quale, così, allora e se ne mostri il compimento stesso ormai consumato dell'opera del Padre per lei quale che intanto e glie se ne del tutto dispone a lode della sua gloria.

Al culmine della preghiera cristiana potremo chiedere proprio di essere abbandonati, infine, dal Padre, e allora a sottolineare, così, che la sua prossimità già invece previa sarà stata tutta compiuta ed anzi esauriente, e quindi non dovremo perciò più, invece chiedergli, che continuasse inconcludentemente sempre a doverci non abbandonare come a doversene senza più meta e scopo sempre comunque occupare di noi come membra di un corpo mistico che non potesse infine, mai, giungere a maturità e vera conformazione a Lui: ciò allora che poi sarebbe in fondo il fallimento ultimo dell'esito della stessa sua opera di santificazione. Ma, cosa piuttosto ci sarà stato necessariamente allora prima, di tale compimento poi estremo? Vi si sarà saputo dislocare ebbene il percorso salvifico quindi, invece penultimo, lungo cui il Padre allora e non vi ci abbia avuto intanto affatto ad abbandonare, poiché ve ne avrà effuso la cura paterna che si sia manifestata entro già quella sua sollecitudine del suo provarci e consolarci: del suo tentarci, che, fosse la sua tentazione buona per quel bene nostro che intanto restava bene però ancora transitorio, propedeutico e, ancora suscettibile di convertirsi in fallimento.

Invero, Dio, ”ci avrà provato” anche e soprattutto infine poi con essa consolazione dove allora questa tentazione benigna del Padre nemmeno doveva poi risultarne il senso dunque già ultimissimo della divina disposizione per noi. E infatti, proprio san Giacomo ce lo spiegava: Dio di suo, da solo, per se stesso (Ipse), non tenterebbe nessuno, ma, invece poi lo fa, ci tenta, in bene e, da par suo, per rimediare proprio invece al previo esser insorta della tentazione invece maligna cui la creatura decaduta era soggiaciuta perché glie se ve n’era sottoposta a partire dal profilarsi del suo proprio peccato nella concupiscenza. E Dio, infatti, non avrebbe preso l’iniziativa della tentazione allorché appena lo iniziavamo ad esservelo, dapprima tentati (QUANDO vieni tentato, non dire…etc., Gc 1.13).

E, nel Padre nostro, è inequivocabilmente appunto il Padre l'autore di quella tentazione che gli si chiede poi allora di sospendere, non dunque perché semmai fosse cattiva, ma perché sia stata talmente buona ed efficace, da essere infine anzi bastante ed esauriente. E infatti poi, letteralmente, essa oratio dominica presenta anzi quell'accentuazione rimarcata secondo cui proprio potrebbe semmai sembrare che la tentazione invece fosse piuttosto, solo, qualcosa allora di buono che deriverebbe infatti intanto, qui, solo da Dio. Questo appunto, per come intanto esplicitamente qui ce la presenta essa preghiera medesima.

Senonché, l’inizio assoluto dell’essere tentati, e la sua recrudescenza satanica, si collocano meglio in analogia con lo stadio cui afferisce quell’invocazione del Padre nostro la quale piuttosto recitava rimetti a noi i nostri debiti, in cui ci si riferisce ai vincoli e all’oppressione del peccato e, alla possibilità di esserne sciolti: ed è già e appena a questo livello che ci può essere intanto allora insegnato a chiedere di non soggiacere alla tentazione prestandole consenso, ed era ancora a riguardo solo appunto di un tale stadio che San Paolo poteva, semmai richiamare, “Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla” (1Cor 10,12).

Mentre poi la prova obbedienziale, e la stessa consolazione divina, subentrano dunque ad invero sormontare ed eclissare quella prima tentazione ancora aberrante: quando allora che poi vi irrompa invece Dio, ad anzi tentare, per redimere, e dove intanto avremo potuto allora dirvi “Non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (Sal 70,9). Come ne avviene per Cristo Signore, che al monte degli Ulivi è provato nel ritorno dell’ultima prova malevola e, però, anche nella sua obbedienza al Padre: ed inoltre ne è poi anche consolato nel conforto angelico, addentrandosene così, ancor più, nella estrema tentazione divina. Ma siamo ancor dunque in parallelo solo poi ad essa invocazione sia fatta la tua volontà.

Ma si tratterà peraltro invece di vedere poi, nel finale allora del Padre nostro, il culmine semmai e, lo scopo, della preghiera infine cristiana: quanto e che dunque, rechi allora in sé il termine estremo della speranza che quella la anima. E quindi se ne tratterebbe di intanto saper ravvisare nel finale quindi del Padre nostro, la congruenza che vi si afferisca infine al superamento ultimo pure dell'esigenza provvisoria e riparatoria di quel precedente intervento già pur redentivo di tentazione tutta paterna. Quello, infatti, che dovendo esso chinarsi sulla situazione umana intanto che questa se ne stesse pur sempre ferita dalla concupiscenza, vi doveva intanto ancora assumere quel rischio per cui esso stesso intervento benefico ne avesse ancor potuto dunque risultare, allora, estrinsecamente vanificato e anzi pervertito, dalla poi semmai resiliente recrudescenza peccaminosa. E, ciò, proprio poi a motivo dunque di un tal rischio insito invero in quella tipica tentazione divina che sia perciò quella consolazione la di cui intanto subentrante ricezione umana, da essa, e ne abbia da anzi ancora liberamente poterne trarre motivo pure di rilassamento, invece che già solo di riscatto, entro, poi appunto, di essa stessa consolazione divina che di per sé pur non lo era stata di suo disposta se non per poter dare intanto, invece, l'opportunità della vertigine della santificazione. Ma dove però poi che ciò, allora e non vi ci ancor dunque riguardasse se non intanto, semmai e, appena, il poi normale decorso transitorio della vita cristiana matura, quello che appunto allora e ne richiami l’invocazione sia fatta la tua volontà: dove e ve ne serva sempre ancora che la correzione e la consolazione paterne “ci provino" a portarci alla salvezza e, dunque, così a tanto ne attentino.

Si profila ora che potrebbe semmai darsi, di qui innanzi, anche magari un nesso e un riverbero di tra la gloria di un abbandono infine, ultimo, e, allora forse, la previa consumazione del tradimento svolta entro di una sorta di abbandono nella fuga di quei discepoli a cui intanto era stato invece chiesto di pregare per non cadere in tentazione. E, tuttavia, mentre intanto che cadere e indurre rispettivamente vi significheranno lo sprofondare nella tentazione stessa, ancora al suo culmine inevaso (- cadere), oppure allora l’eventuale reintrodursi da capo nella tentazione nuova dopo l'esaurimento infine della precedente (- indurre), ecco che invero la fuga di tutti i discepoli, per il Signore allora proprio e non lo sarà stata, non ancora, “l'abbandono” anzi assoluto, quello del Padre, e piuttosto vi era ancora persino la stessa sua estrema consolazione nell'agonia del Getsemani.

Solo alla morte di Cristo ci sarà il vero estremo abbandono/consegna/tradimento proprio del Padre, e quindi infine la sospensione assoluta di ogni residua consolazione/tentazione, quando, intanto, non si potrà neanche più dire di non esserne soli giacché il Padre sarebbe stato con noi.

Dunque non cadere in tentazione e <<non essere (poi invece) indotti in tentazione>> non sono affatto equivalenti e concomitanti; il non dover (ancor intanto) cadere in tentazione è da accostare invero alla fase dell'agonia/passione, e, quindi, corrisponderà nel Padre nostro alla invocazione “sia fatta la tua volontà”, mentre ovviamente il non dover più essere indotti in tentazione infine potrà davvero collimarvi, nel Pater, all'invocazione invece “non ci indurre in tentazione”, che ormai implica che non si richieda più l'estrema consolazione/tentazione da parte di Dio Padre e, che anzi, la gloria di Cristo assolutamente da solo (intanto abbandonato anche dal Padre) sia semmai persino espressa invece e proprio da Cristo stesso, che allora sia ebbene Lui ad ora infine consegnarglielo (tradirglielo), da sé, il Suo spirito quindi, al Padre stesso.

Così il cadere e/o l'essere indotti in tentazione, non risultano dunque affatto equivalenti, ma anzi, quasi estremamente contrapposti: come, cioè, il culmine dell'estrema tentazione rispetto poi invece a quell'esaurimento finale di ogni prova/consolazione quale allora e lo sia il vero assoluto abbandono; o come anzi ancora non lo era invece affatto, quel tradimento dei discepoli che nel suo momento, nella agonia dell'orto degli ulivi, per Gesù comportò proprio e anzi l'ultima consolazione/tentazione da parte del Padre.

Peraltro, è semmai pure verosimile, che il riverbero eccedente del senso della parola divina conservi allora magari anche un senso e un indugio che comunque come riannodino l’eco delle invocazioni precedenti nelle pieghe poi dell’incalzare della parole ultime della preghiera, così che nel non indurci in tentazione e vi potesse semmai ancor anche risuonare lo strascico del senso trascorso d’una tentazione ancora quasi da subire… ma e, allora: quando che lo si intenda pur cogliere magari un tale riverbero, bisognerà intanto poi coerentemente tanto di più però semmai recuperarne che poi, dunque, un senso comunque allora ultimo di un superamento della dimensione ultimamente ancor consolante della tentazione divina, e vi sarà - pur alfine proprio di tutto - senso allora da intanto davvero poi raddensare e, proprio esasperare, sin entro al termine poi anzi <<postremo>> del “liberaci dal male”, che in fondo e ve ne restasse così in estremo proprio esso a pur infine lasciarlo, così, di più tardi balenare, il rischio poi sempre dell’eventualità ultima del non sopportare la solitudine gloriosa dell’innalzamento sulla croce. E questa, sarà poi appunto quell’accentuazione semantica semmai pur sostenibile che però certo sempre allora non tolga che il senso medesimo di richiamo dell’abbandono paterno dovrà d’altronde prima di tutto esser comunque colto in riferimento già sempre al non indurci in tentazione, così che il liberaci dal male e ne resti allora poi inoltre sciolto e, anzi proteso, ad indicare persino infine la soglia dell’oltre della stessa glorificazione, quando che l’ultimo nemico, la morte, sia dunque annientato: dove, proprio, ci ritroviamo allora oltre anche il ricordo d’una tentazione di parte pur divina, perché intanto per la stessa vicenda umana del Signore non ve ne potrà infine non valere se non ormai che Dio, non può essere tentato.

Se, poi, invece fosse che “non ci indurre in tentazione” avesse, anzi, voluto appena dire “mettici alla prova secondo le nostre possibilità”, proprio e non si capirebbe la forza invece del comando negativo del NON indurci, perché, davvero infatti ne sarebbe poi allora svilito della congiunzione anzi avversativa del MA liberaci del male, perché, invero, questa così non potrebbe risultarne se non poi un ma allora enfatico di un desiderio di appena sottrarsene alla prova che, comunque, magari ne verrebbe in ultima analisi sempre solo anzi malignamente dalla causa malefica(!). E allora il tutto si ridurrebbe pateticamente alla richiesta di sottrarsi alla prova, di ritrarsene al di qua sinché non si fosse pronti. Quando, invece, il Padre nostro non si accontenta certo di appena non farci recedere dalla prova, e anzi infine ce ne spinge come proprio ad infine oltrepassarla, quando, che però allora, la si abbia ebbene ormai vissuta, già, in pienezza. Cosa c'è quindi al di là, invece che non anzi al di qua, della tentazione divina, e, qual è il senso di quell'abbandono del Padre che vi sia la nostra stessa possibilità mistica di glorificazione se ve ce ne conformiamo alla morte stessa del Signore la quale vada oltre la stessa divina tentazione con cui umanamente quegli fu messo alla prova (tentato) nella sua obbedienza al padre e anche consolato (tentato) nel suo aver appena obbedito?

Oltre della Passione del Signore, in cui fu provato e consolato (e la consolazione è la più tipica tentazione buona e divina), c'è il mistero stesso della sua Morte in cui sperimenta l'abbandono del Padre che non lo tenta più neanche consolandolo. Siamo al momento della glorificazione in cui è Cristo stesso a dare Lui per amore lo Spirito nel Padre, e non viceversa. Qui abbiamo il senso del perché la fine del Padre nostro ci indichi anche il vertice e, l'obiettivo, della nostra santificazione, e non, appena, il suo decorso medio e incipiente: che la speranza insuperabile insita poi nel finale del Padre nostro sarà anzi e, infine, che un tal decorso e non ne fosse allora l'ultima parola del nostro percorso salvifico, e che infine se ne desse l’ulteriore orizzonte teologale ultimo dove potessimo davvero conformarci al Cristo fino al punto di averne poi e ormai consumato e, adempiuto, quella nostra adesione obbedienziale alla santificante tentazione divina che avrà infine intanto compiuto in noi la sua opera a lode, dunque, della gloria dello stesso suo Autore. Tanto che se ne potrà dire che tutto sia compiuto, e così allora porne la domanda estrema su quel senso ormai glorificante dell'abbandono del Padre quale che invero e ne mostrasse una pienezza finale di già pregressa ricezione del suo Spirito, tanto, poi anzi, che se ne debba quindi e così pervenire a potergliene poi chiedere al Padre di proprio e anzi allora abbandonarci, esteriormente, per così però mostrare e proprio, infine, svelare, la pienezza ben ultima della sua inabitazione interiore che in noi stata, ormai lo sia resa, nell’essersene già dapprima adempiuto e colmato il dono paterno dello stesso Spirito.

E sarà infatti poi il corpo stesso mistico del Signore a poter ormai anzi arrivare a dire al Padre suo di essere esso stesso medesimo a Lui, infine, consegnargliene lo stesso Spirito, rendendoglielo. Come quando si dice che alla fine di tutto il Figlio riconsegna al Padre il regno. O, come quando si legge, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Nelle tue mani consegno il mio spirito.

Così che qui si potrebbe semmai realmente arrivare persino a poter ,infine dire, “abbandonaci Tu, Padre, nella tentazione” che altro ormai quindi, non significherebbe, termina Padre di tentarci, tu che pure lo facevi per il bene almeno provvisorio, perché però adesso è infatti il momento che nemmeno quello resta più necessario, e possiamo ora manifestare, nell'estasi di autonomia rispetto a un tuo intervento ancora correttivo ed esteriore, che conviene ormai invece mostrarci a lode della tua gloria, manifestando, che il tuo disegno si è infine rivelato efficace e conseguente e, compiuto, perché ora ne siamo arrivati a davvero attingerne l'esito. E non varrà allora nemmeno cercare di esprimere, ciò, ancora semmai dicendo “non ci abbandonare alla tentazione”, perché, questo anzi varrebbe persino come a dire “continua, ad oltranza, ad indurci nell’altra tentazione che resti la tua reiterata consolazione”, ed ovvero varrebbe anzi proprio come a dire “inducici, meglio, in tentazione”: come se Cristo, invece di prendere atto della drammatica esaltazione secondo cui Dio Padre gloriosamente infine e lo abbandonava, avesse invece intanto implorato e richiesto che ancor sempre il Padre non lo abbandonasse, e anzi, Cristo, e ne avesse allora strenuamente sempre preteso per sé da quegli lo Spirito, senza, invece, essere esso stesso infine ad anzi ora consegnarglielo. Come se Cristo dopo di aver umanamente affrontato la prova suprema della tentazione paterna nella prova della sua obbedienza al Getzemani e nella stessa consolazione angelica, e averla tutta tale tentazione superata, si fosse ritrovato a voler essere paternamente tentato (in questo caso: ancora poi consolato) anche fino nell'estremo della sua morte. Quando invece, Cristo, ha mostrato per noi la sua gloria, a lode del Padre, non oscillando infine entro la tentazione tra i margini di prova e consolazione, ma proprio invece consegnandovisi all’abbandono del Padre. Così che anche poi nelle sue stesse membra sempre saprà infine pur chiedere al Padre che ormai lo sigilli ed estingua, quel suo poi quindi averle esse già ormai tutte infine provate e consolate da così e poi anzi averne proprio anzi consentito, che allora davvero ne possano poi persino invece domandare che più ormai e non le consoli, mentre, che proprio e allora gliene domandino, “non ci indurre in tentazione”.