La regola pastorale di San Gregorio Magno Papa

L'idea di separazione tra pastorale e dottrina è nuova nella Chiesa, senza alcun precedente. Si tratta della evoluzione immediata di un idea sorta dopo il Concilio Vaticano II soprattutto grazie alla "pressione ideo-teologica"esercitata dalla rivista "Concilium" a riguardo del Diritto. Questa attivissima rivista sedicente "cattolica" ha tra i suoi fondatori Rahner, Congar, Schillebeeckx e l'immancabile Hans Kung. Essa ha propugnato la teorizzazione della separazione tra Diritto e Pastorale, separazione che nella prassi è stata recepita malauguratamente a quasi tutti i livelli. Quante volte in nome di una non ben specificata "pastorale" abbiamo assistito ai peggiori abusi? Bene di questo bisogna "ringraziare" i teologi di "Concilium" i quali hanno dato un appoggio ideologico-speculativo a questi abomini. Il passo successivo è quello a cui stiamo assistendo: dal Diritto alla Dottrina, la "pastorale" come un informe fluido mortale va fagocitando in pratica ogni cosa.

Si sta operando una sovversione del linguaggio a cui ci vogliamo ribellare. In termine "pastorale" ce lo stanno rendendo odioso, perché dietro di esso pretendono celare quel che in realtà ha nome di "APOSTASIA". Per questo, intendendo di riappropriarcene nella sua accezione originale e cattolica, consigliamo a tutti (soprattutto ai pastori) la lettura della REGOLA PASTORALE del Papa San Gregorio Magno, da cui ci permettiamo di presentarvi un estratto particolarmente interessante di questi tempi in cui all'interno della Chiesa si predica la misericordia verso tutti tranne che verso i cattolici.

"É necessario che la guida delle anime esplichi una vigile cura perché non la spinga la bramosia di piacere agli uomini, e quando si dedica assiduamente ad approfondire le realtà interiori o distribuisce provvidamente i beni esteriori, non cerchi di più l’amore dei sudditi che la verità; e quando sostenuto dalle sue buone azioni sembra, estraneo al mondo, il suo amore di sé non lo renda estraneo al Creatore.

Infatti è nemico del Redentore colui che, attraverso le opere giuste che compie, brama di essere amato dalla Chiesa in luogo di Lui; ed è così reo di pensiero adultero, come il servo per mezzo del quale lo sposo manda doni alla sposa ed egli brama di piacere agli occhi di lei. Poiché quando l’amor proprio si impadronisce della guida delle anime, talvolta la trascina a una mollezza disordinata, talvolta al contrario ad un aspro rigore.

Il suo spirito è portato alla mollezza dall’amor proprio quando, pur vedendo i sudditi peccare, non trova opportuno castigarli per non indebolire il loro amore verso di lui, e non di rado accarezza con le adulazioni quegli errori dei sudditi che avrebbe dovuto rimproverare. Perciò è detto bene, per mezzo del profeta: Guai a coloro che cuciono cuscinetti per ogni gomito e fanno guanciali per teste di ogni età, per rapire anime (Ez. 13, 18). Porre cuscinetti sotto ogni gomito è confortare con blanda adulazione le anime che vengono meno alla propria rettitudine e si ripiegano nei piaceri di questo mondo. Ed è come accogliere su un cuscino o su un guanciale il gomito o il capo di uno che giace, quando si sottrae il peccatore alla durezza della punizione e gli si offrono le mollezze del favore, così che chi non è colpito da alcuna aspra contraddizione giaccia mollemente nell’errore. E le guide delle anime che amano sé stesse, senza alcun dubbio offrono di queste cose a coloro che temono gli possano nuocere nella loro ricerca della gloria mondana.

Infatti esse opprimono con l’asprezza di un rimprovero sempre duro e violento quelli che vedono non avere alcuna forza contro di loro, e non li ammoniscono mai benignamente ma, dimentiche della mitezza del Pastore li terrorizzano in forza del loro potere. La parola di Dio li rimprovera giustamente dicendo per mezzo del profeta: Voi comandavate su di loro con austerità e con prepotenza (Ez. 34, 4). Infatti, amando più se stessi che il loro Creatore, si ergono contro i sudditi con tracotanza e non guardano a quello che hanno dovere di fare ma a ciò per cui hanno la forza; senza alcun timore del giudizio che seguirà, si gloriano sfrontatamente del loro potere temporale purché possano compiere con ogni licenza anche cose illecite e nessuno dei sudditi li contraddica. Pertanto, colui che desidera vivere perversamente, e che gli altri tuttavia ne tacciano, testimonia contro se stesso di desiderare che si ami lui più della verità, che non vuole venga difesa contro di lui. E non esiste certamente nessuno che viva in questo modo e, almeno entro un certo ambito, non pecchi.

Vuole invece che si ami la verità più di lui, chi non vuol essere risparmiato da nessuno ai danni della verità. Perciò infatti Pietro riceve volentieri il rimprovero di Paolo (cf. Gal. 2, 11 ss.); perciò David ascoltò umilmente la correzione di un suddito (cf. 2 Sam. 11, 7 ss.); poiché le buone guide di anime non sanno amare se stessi di un amore particolare e considerano un umile ossequio, da parte dei sudditi, una parola ispirata da una libera purezza d’animo.

Ma è soprattutto necessario che la cura del governo delle anime sia temperata da tanta sapiente moderazione che i sudditi possano esprimere con libera parola quanto hanno rettamente avvertito, anche se poi questa libertà non deve essere tale da erompere in superbia; perché non accada che se si concede ai sudditi una eccessiva libertà di parola, essi abbiano poi a perdere l’umiltà della vita. Bisogna pure sapere che è opportuno che le buone guide delle anime desiderino di piacere agli uomini, ma solo per attirare il prossimo all’amore della verità attraverso la dolcezza della stima che esse ispirano; non per desiderare di essere amate, ma per fare dell’amore di cui sono oggetto come una via attraverso la quale introdurre all’amore del Creatore i cuori di coloro che ascoltano.

Poiché è difficile che, per quanto dica la verità, sia ascoltato volentieri, un predicatore che non è amato. Dunque, chi presiede deve applicarsi a farsi amare per potere essere ascoltato; e tuttavia non deve cercare amore per se stesso, per non essere trovato come chi, nell’occulta tirannide del suo pensiero, si oppone a colui che per via del suo ufficio sembra servire. Ciò suggerisce bene Paolo quando ci manifesta gli aspetti nascosti della sua dedizione, dicendo: Come anch’io piaccio a tutti in ogni cosa (1 Cor. 10, 33). E tuttavia dice di nuovo altrove: Se piacessi ancora agli uomini non sarei servo di Cristo (Gal. 1, 10). Dunque, Paolo piace e non piace perché, nel suo desiderio di piacere, non cerca di piacere lui, ma che agli uomini piaccia la verità attraverso di lui".