Francesco I
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«Defensor civitatis» – Cristina Siccardi

Pio XII, già ai tempi in cui era Don Eugenio Pacelli, si trovò a vivere in maniera bruciante la spirale della Storia del suo tempo, senza peraltro restarne ustionato, nonostante l’opera di taluni pubblicisti non intellettualmente onesti. Figura oggi non politicamente corretta e non particolarmente amata da certi ambienti sia progressisti che ebraici, la sua immagine non è storicamente e pontificalmente scalfita.
Le sue doti e le sue competenze giuridiche lo proposero come personalità di primo piano della diplomazia vaticana: nel 1911 succedette a Monsignor Benigni quale sottosegretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari; nel 1912 fu nominato da San Pio X segretario aggiunto e nel 1914segretario della stessa Congregazione. Quando Gasparri fu nominato Segretario di Stato dal neoeletto Benedetto XV, Pacelli conservò la propria carica, partecipando in prima persona ai tentativi della Santa Sede di impedire il coinvolgimento dell’Italia alla prima Guerra mondiale e, più tardi, a favorirne una soluzione di compromesso.

Nel maggio 1917 fu consacrato,da BenedettoXV, Arcivescovo titolare di Sardi e contemporaneamenteNunzio pontificio a Monaco di Baviera, dove giunse il 26 maggio e dove rimase fino al 1920: era l’unica Nunziatura presente in Germania. Quando, nell’agosto del 1920, la Santa Sede e il Governo, ormai repubblicano, del Reich tedesco stabilirono diretti rapporti diplomatici, a Pacelli fu affidata anche la nuova Nunziatura di Berlino. Durante la sua residenza a Monaco, Pacelli assistette alla tumultuosa fase rivoluzionaria del 1918-1919 e al processo di edificazione della Repubblica di Weimar. Inviato a Monaco con il compito specifico di assecondare le iniziative di pace di Benedetto XV, poi tradotte nel vano appello ai governi delle potenze belligeranti del 1° agosto 1917, la Santa Sede, nella persona di Pacelli, si trovò ad agire in circostanze, compresi obiettivi e interlocutori, molto differenti rispetto allo spappolato Impero austrungarico e alla Germania pre-Grande Guerra.
Il quel difficile e insidioso contesto, il nuovo Nunzio seguì una linea diplomatica realista, ancorata all’indipendenza rispetto alle linee politiche che andavano maturando in Germania. Il 7 novembre del 1918 Kurt Eisner guidò la Rivoluzione repubblicana di Monaco di Baviera e proclamò lo Stato libero di Baviera, diventandone il primo Presidente e tentando d’instaurare un regime socialista moderato; ma quando nel 1919 il suo Governo fu messo in minoranza, venne assassinato. Da qui iniziò l’ascesa del nazismo. Pacelli auspicava come unica efficace risposta all’estremismo delle minoranze rivoluzionarie, sia social-comuniste che social-nazionaliste, la democratizzazione parlamentare del sistema politico tedesco, basata su di «un’ordinata rappresentanza popolare scelta indistintamente tra tutte le classi». Senza escludere iniziative che miravano alla stipulazione di un concordato con il Reich, Pacelli puntò principalmente sulla maggiore disponibilità del Governo di Monaco, con il quale condusse dal 1920 un negoziato diretto, concluso positivamente il 29 marzo 1924 con la firma del concordato con la Baviera. Negli anni successivi, il Nunzio Pacelli intrecciò trattative, interrotte nel 1928, con l’ambasciatore e con il commissario agli Esteri dell’URSS, Krestinski e Ciãerin, volte a migliorare la situazione della Chiesa in Russia. Pose inoltre le basi di due altri concordati, con la Prussia (14 giugno 1929) e con il Baden (12 ottobre 1932). Perirono, invece, i negoziati per il concordato con il Reich.

Il 16 dicembre 1929 ricevette la berretta cardinalizia da Pio XI e il 9 febbraio 1930 succedette a Gasparri alla Segreteria di Stato vaticana. Pacelli mise in piedi una Segreteria di Stato efficientissima, avvalendosi di collaboratori di notevoli qualità, come Ottaviani, Tardini e Montini. L’indirizzo seguito fu quello di garantire condizioni di relativa autonomia delle Chiese cattoliche nelle diverse Nazioni nei confronti di regimi politici tendenti alla subordinazione totalitaria delle istituzioni religiose. In questo quadro si colloca l’ulteriore sviluppo della linea concordataria realizzato da Pacelli e culminato nei due concordati con l’Austria e con il Reich tedesco nel 1933. Quest’ultimo, sollecitato dal vicecancelliere von Papen a due mesi dall’avvento di Hitler al potere, fu negoziato personalmente dal Segretario di Stato affiancato da Monsignor Ludwig Kaas e venne firmato il 20 luglio. Il testo prevedeva una serie di garanzie e di riconoscimenti dell’associazionismo cattolico e delle scuole cattoliche, nonché il divieto per gli ecclesiastici di iscriversi e di militare in partiti politici.
Il concordato con il Reich rispecchia i timori della Santa Sede e di Pacelli circa la natura totalitaria del nuovo regime e la preoccupazione di mantenere la Chiesa tedesca autonoma. Tuttavia, già all’indomani della firma, il Governo del Reich prese a tradire i patti. Scattò così un lungo contenzioso diplomatico con la Santa Sede destinato a trasferirsi, per iniziativa di Pio XI, su quello più apertamente dottrinale: sino alla pubblicazione, il 14 marzo 1937, dell’enciclica Mitbrennender Sorge. «Inimicus homo», così Pio XI definì Adolf Hitler in questo documento, che venne letto in tutte le parrocchie tedesche la domenica delle Palme, il 21 marzo 1937. Fu un atto pubblico ed internazionale, con cui la Santa Sede espresse la vibrata denuncia e la ferma condanna al Regime del Terzo Reich. Un atto che acuì la persecuzione anticattolica già in corso. La stesura dell’enciclica fu preceduta da una consultazione promossa da Pacelli in persona con una delegazione dell’episcopato tedesco, e la sua nascita fu seguita passo passodal Segretario di Stato con la collaborazione dei gesuiti tedeschi Leiber, Bea e di Monsignor Kaas.

Pius XII: Liturgiae sermonisque papae splendor

Come Segretario di Stato realizzò molti viaggi nei Paesi europei e americani. Nell’ottobre-novembre del 1936 visitò gli Stati Uniti in forma privata, incontrando, insieme aMonsignor Spellman, futuro Arcivescovo di New York, decine di vescovi, e stabilendo contatti diretti e durevoli con esponenti del mondo cattolico americano. Incontrò anche Roosevelt, all’epoca rieletto alla presidenza, aprendo così un canale diplomatico con gli Stati Uniti, grazie poi anche all’invio in Vaticano, dal febbraio del 1940, dell’ambasciatore Taylor.
La seconda Guerra mondiale, il cui scoppio vienepreceduto il 24 agosto dall’ultimo appello pontificio, «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra», segna in maniera indelebile il regno di Pio XII. L’opera diplomatica della Santa Sede diventa insostenibile in un’Europa divenuta, ideologicamente parlando, incompatibile con il pensiero della Chiesa di sempre e, dunque, di Papa Pacelli, già formulato nella prima enciclica, SummiPontificatus(20 ottobre 1939): la civiltà cristiana si contrappone ai sistemi totalitari, elevanti «lo Stato e la collettività a fine ultimo della vita, a criterio sommo dell’ordine morale e giuridico». Le cause originarie della guerravengono qui ricondotte all’abbandono della legge morale e della Rivelazione, al distacco dell’Europa«dall’unità di dottrina e di fede, di costumi e di morale una volta promossa dall’opera indefessa e benefica della Chiesa», alle concezioni totalitarie degli Stati, alla «corsa sfrenata verso l’espansionismo»”.
Gli atteggiamenti di prudenziale riserbo fra le parti belligeranti presi da Pio XII sono un atteggiamento che ricalca le orme già prese con la Grande Guerra, ora riproposto a fronte di una situazione politica densa di incognite e di gravissimi pericoli per la Chiesa e la cristianità, sia nel caso di una vittoria nazista, sia che fra i vincitori si annoveri l’Unione Sovietica. Egli non esita, comunque, a parlare degli orrori di quella guerra, come avviene nel radiomessaggio natalizio del 1942, quando rivolge il suo pubblico pensiero «alle centinaia di migliaia di persone le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragioni di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento». Ma arrivano anche atti di pubblica condanna, pronunciando esplicite denunce di responsabilità, a proposito degli eccidi di massa, sebbene la Santa Sede disponga al momento scarne e insufficienti informazioni. Alle consuete mansioni burocratiche, si sovrappone una gigantesca macchina organizzativa della Santa Sede per l’assistenza di tanti innocenti, di migliaia di ebrei perseguitati – nascosti in Vaticano e nelle diverse diocesi – e per l’ufficio informazione dei prigionieri, attuando un vasto ed internazionale soccorso di proporzioni immani.Tuttavia il Papa vorrebbe pronunciarsi più apertamente nell’accusa, ma non lo farà: s’impone di evitare danni e soprusi maggiori ai popoli, alla Chiesa, alla cristianità.Intanto il Führer progetta la cattura e la deportazione Pio XII nel 1944, ma il disegno sarà captato dall’intelligence britannica, che allerterà Montini (Cfr. A. Nogara, Quella notte del 1944, «L’Osservatore Romano», 5 luglio 2016).
La sua autorevolezza si espresse sul piano internazionale, sia come punto di riferimento dei cattolici di tutto il mondo, sia come interlocutore privilegiato dei governanti dell’intero Occidente.L’eroico e santo Pontefice si profuse per preservare Roma, città aperta, dalle distruzioni e per far sentire la sua paterna vicinanza a tutti gli italiani e, in particolare, ai romani quando, ieraticamente e benedicente, si recò il 19 luglio 1943 nel quartiere diSan Lorenzo fuori le Mura, dopo il bombardamento aereo degli alleati.Si estese ovunque la certezza che il Papa aveva fatto di tutto per salvare la capitale e nel giugno del 1944 una moltitudine di fedeli straripò inpiazza San Pietro per proclamare il Vicario di Cristo «defensor civitatis».
Cristina Siccardi
Fonte: Radici Cristiane, n.138 – novembre 2018

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