LA SACRA SCRITTURA E L'IMMORTALITA' DELL'ANIMA UMANA

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L'immortalità dell'anima è parte integrante della fede della Chiesa. Per dimostrare l’immortalità dell’anima umana - iniziamo col dire - è sufficiente il lume della ragione.
Antichi filosofi, del calibro di Platone e di Cicerone, vissuti rispettivamente il quarto e il primo secolo avanti Cristo, l’avevano riconosciuto.
Sant’Agostino nelle sue Confessioni ricorda che all’età di 18 anni ebbe la fortuna di leggere le opere di Platone e l’Ortensio di Cicerone e si convinse razionalmente dell’immortalità dell’anima.
Nel nostro sito abbiamo avuto occasione di indicare i segni che manifestano l’immortalità dell’anima umana.
Chiediamoci se vi siano nelle Sacre Scritture delle affermazioni che indichino chiaramente questa verità.
Ebbene, sì ve ne sono e anche abbastanza numerose.

Partiamo dall’Antico Testamento.
Qui è necessario suddividere l’Antico Testamento in due periodi.
Nel primo periodo si riconosce la sopravvivenza dell’uomo oltre la tomba.
Evidentemente non si tratta della sopravvivenza del corpo, diventato ormai cadavere, ma della sopravvivenza dell’anima.
Tale sopravvivenza è intesa come un’ombra.
Senza distinzione, queste anime si radunano nello Sheol con quelle dei loro antenati. .
È una sopravvivenza amorfa, uguale per tutti. In questo periodo non è ancora presente il concetto di rimunerazione, di premio o di castigo.
Proprio perché si tratta di una sopravvivenza come di un’ombra, non c’è vera vita e per questo chi finisce nella fossa (Sheol) non loda il Signore.
In questo senso si trovano nei Salmi espressioni come questa: “Compi forse prodigi per i morti? O si alzano le ombre a darti lode?” (Sal 88,11).
E anche: “Non i morti lodano il Signore né quelli che scendono nel silenzio, ma noi benediciamo il Signore da ora e per sempre” (Sal 115,17-18).
Per quanto non si tratti di una vera vita, tuttavia si enuncia chiaramente che non tutto finisce con la morte del corpo.
In ogni caso, anche in questo periodo, non viene mai negata l’immortalità dell’anima.

In un secondo periodo, che coincide con gli ultimi secoli prima della venuta di Cristo (qualcuno dice dal periodo posteriore all’esilio in Babilonia) si parla chiaramente della sopravvivenza dell’anima ed è anche netto il concetto di diversa rimunerazione per i giusti e per gli empi.
Ecco un testo che si legge spesso nelle liturgie esequiali: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace” (Sap 3,1-3).
Si tratta di una vita piena: “In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là.
Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro.
Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.” (Sap 3,5-9).
“Ma gli empi riceveranno una pena conforme ai loro pensieri; non hanno avuto cura del giusto e si sono allontanati dal Signore” (Sap3,10).
E ancora: “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura.” (Sap 2,23).

Nel Nuovo Testamento l’immortalità dell’anima è dichiarata apertamente da Nostro Signore quando dice: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il corpo” (Mt 10,28).
Ugualmente il Signore parla di una vera vita anche oltre la tomba, ben diversa dalla sopravvivenza come di un’ombra come pensavano i sadducei: “Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti, ma dei viventi!».” (Mt 22,31-32).
Nel discorso delle beatitudini il Signore fa riferimento chiaro alla vita futura quando dice: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,3-8).

Anche nelle parabole del Signore emerge chiaramente il concetto dell’immortalità dell’anima.
Si pensi in particolare alla parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Si legge: “Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.” (Lc 16,22-23).
Evidentemente il povero portato dagli angeli accanto ad Abramo vi è andato solo con la sua anima, perché il corpo era andato in corruzione.
Analogamente la stessa cosa vale per il ricco epulone.
Tralascio i riferimenti che si possono trovare negli altri testi del Nuovo Testamento.