Quale è il punto di rottura tra Bergoglio e i suoi Predecessori?

Il rischio è di pensare o parlare di Cristo come se egli fosse un individuo umano come siamo noi. Forse un giorno ci capiterà quello che san Girolamo racconta dei cristiani del IV secolo: ad un certo punto si svegliarono e scoprirono di pensare tutti più o meno come pensava Ario… svegliarsi ariani…

Con queste riflessioni ricordiamo a tutti i nostri Lettori che siamo anche noi in procinto di allentare gli editoriali per via del periodo estivo. Gli aggiornamenti andranno a rilento per poi riprendere in modo più costante dopo il 25 agosto. Ne approfittiamo per auspicare a tutti un periodo fruttuoso per sante letture, preghiera e arricchimento dello spirito.

Testo dell'articolo in originale, qui.

La domanda al titolo è, dunque, d’obbligo perché, tra i più svariati commenti ed email private, riceviamo opinioni di gente assai confusa molta della quale, dignitosamente umile, ci confida della grave confusione e dello smarrimento che vivono, altri invece che più superbamente ci mandano a quel paese ma senza portare alcunché di contributo atto, magari, a farci dire umilmente: “ok, scusateci, abbiamo capito male noi, il papa ha ragione…”.

Tra tutti gli editoriali che abbiamo fatto nel tempo, arricchiti sempre da link e fonti ufficiali quale prova di ciò che proponiamo alla vostra attenzione di queste “cronache”, vogliamo sottolineare oggi alcuni passaggi fondamentali a partire, per esempio, dall’editoriale di Sandro Magister del 2016 laddove riportava, niente meno che dal vescovo Bruno Forte, l’ennesima conferma di una chiara rottura tra il magistero di Bergoglio e quello dei suoi Predecessori. Ecco con quali parole ciò avveniva:

– Come funziona il magistero di papa Francesco l’ha spiegato pochi giorni fa un suo pupillo, l’arcivescovo Bruno Forte. Ha raccontato che durante il sinodo sulla famiglia, di cui era segretario speciale, il papa gli ha detto:
Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi non sai che casino ci combinano. Allora non parliamone in modo diretto, tu fai in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io“.
E così, grazie a questo “saggio” consiglio – ha proseguito Forte – le cose sono andate a “maturazione” ed è arrivata l’esortazione papale “Amoris laetitia”. Nella quale i riformisti hanno trovato ciò che volevano.
Quella di Forte non è una confidenza carpita a tradimento. L’ha detta dal palco del teatro della città di Vasto, di cui è arcivescovo, davanti a una platea gremita. “Tipico di un gesuita“, ha poi commentato con un sorriso.
Perché Francesco fa proprio così. Non dice mai tutto ciò che ha in mente. Lo fa solo indovinare. E lascia correre le interpretazioni anche più disparate su ciò che dice e scrive.

Non era un “caso” se una volta divenne persino proverbiale usare l’espressione del parlare “papale, papale“…. le encicliche e i Discorsi dei Pontefici non andavano, infatti, interpretati, ma compresi per una diretta ed indiscutibile applicazione dei contenuti, come a dire anche “o mangi la minestra o salti la finestra”… insomma, il famoso “sì, sì e no, no…” di Nostro Signore Gesù Cristo, tanto raccomandato proprio ai Suoi Discepoli. Quando parliamo di ROTTURA è di questo che si vuole intendere, e se volete leggete anche qui.

Nei due articoli precedenti, vedi qui, abbiamo però sottolineato e dimostrato come il pensiero di papa Francesco non ci piove oggi dal nulla, non è comparso dal nulla ma che è il frutto di una lenta ed inesorabile AGONIA iniziata certamente anche prima dell’ultimo concilio (e proprio in campo gesuitico, vedi qui), ma che in questo concilio ha potuto cantare vittoria tanto che, Benedetto XVI appena eletto papa, sentì la necessità di chiarire ai cardinali, ai vescovi e al popolo cristiano, quale fosse il vero compito di un Pontefice, ecco le sue parole:

“Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. (..)
Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode
…” (Benedetto XVI – Omelia dalla Cattedra 7.5.2005)

Ora, con tutta onestà e leggendo queste affermazioni, a quanti ci accusano di remare contro papa Francesco, potete voi affermare che Bergoglio si sta attenendo scrupolosamente a queste REGOLE che non sono un optional del ruolo petrino, ma che VINCOLANO un Pontefice al suo mandato e al suo ministero? Leggendo le parole (per altro mai smentite) che un vescovo attribuisce a Bergoglio e non in forma privata, badate bene, ma niente meno che da un pulpito, si può affermare che il papa si stia comportando rettamente e con giustizia, o non sta forse ingannando le Membra della Chiesa? Senza dimenticare la vera infallibilità papale in cosa consista, leggi qui.

Che in colloqui privati – chiosava Magister – si usi anche questo stile d’approccio, si può capire. Ma Jorge Mario Bergoglio lo esercita sistematicamente in pubblico, nei suoi atti di magistero ufficiale, anche quando tutti si aspettano che tiri le somme e dia una risposta chiara e definitiva. Rispetto al magistero dei papi precedenti, scolpito nella roccia, limato parola per parola, inequivocabile, quella di Francesco è una svolta epocale.

Una svolta che è una vera ROTTURA con i suoi Predecessori e non una rottura di metodo, il ché sarebbe stato accettabile e tollerabile, ma una rottura NEI CONTENUTI dottrinali che nessun vero cattolico può accettare, o subire, supinamente. In un altro editoriale del febbraio 2016, così descriveva la situazione sempre Sandro Magister:

C’è in Bergoglio un gesuitismo multiplo, in perenne movimento, che mai si lascia fermare o afferrare. Il suo eloquio è un continuo dire, disdire e contraddire….”

Quando sollecitiamo a studiare a fondo la deriva del gesuitismo modernista, è questo che intendiamo e lo stesso Stefano Fontana con il suo “La Chiesa di Karl Rahner” aiuta a capire meglio…. o se preferite anche il suo ultimo lavoro “Esortazione o rivoluzione? – Tutti i problemi di Amoris Laetitia”… così come i tanti editoriali del professor Roberto de Mattei da Corrispondenza Romana, possibile che siamo tutti noi in errore, che abbiamo capito male, oppure non c’è in atto una vera rivoluzione e non affatto una più autentica riforma dei costumi morali, anzi meglio dire immorali, entrati e giacenti da anni nella chiesa? Saremo pronti a “rivedere” la nostra posizione in materia, se qualcuno fosse in grado di provarci, prove alla mano, che ci stiamo sbagliando.

Insomma dal più sereno e chiarissimo parlar “papale, papale“, sentiamo oggi i nuovi “ismi” di Bergoglio elevati a “nuovi peccati” come, per esempio, nell’Evangelii gaudium dove troviamo l’uso del termine habriaqueísmo, letteralmente tradotto “doverfarismo”, così spiegata dall’Osservatore Romano dell’8.1.2014: “Quante volte ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele. Ci sono “vite consumate nel servizio” e ci sono vite che si consumano teorizzando quello che bisognerebbe fare. L’”ismo” del dover fare. Per questi ultimi Papa Francesco ha inaugurato un nuovo peccato (altro che abolirlo, il peccato!): il “doverfarismo”…

Carina la frase provocatoria tra le parentesi!! Già nel 2014 voci mediatiche denunciavano come nel magistero di Bergoglio il senso del PECCATO fosse messo all’angolo… “altro che abolirlo, il peccato“… Bergoglio ne ha generati di nuovi eliminando, anzi sostituendoli però, a quelli esistenti vedi il concubinato, i divorziati risposati con in piedi il primo ed unico vero matrimonio cristiano, vedi le coppie di fatto, ecc… La rottura con il magistero dei suoi Predecessori, c’è stata eccome, negarlo è da stolti! Tuttavia, come abbiamo dimostrato negli editoriali precedenti, questa rottura, era già in atto dal concilio

Senza alcun dubbio che il “fenomeno Bergoglio” (intendiamo il suo linguaggio e il suo pensare) ben si adatta, infatti, al linguaggio di una “nuova chiesa” che vuole piacere al mondo, la nuova chiesa post-conciliare, le cui parole ormai esprimono da tempo concetti che risultano svuotati dello spessore e significato originari… o che tale spessore potevano ancora avere, fino a Benedetto XVI, se non altro in materia DOTTRINALE. Questo è uno dei tanti “perché prevale” una comunicazione basata sull’effetto immediato, sentimentale, di pura papalatria e culto della persona, che esclude (e preclude) di ragionare e di approfondire accusando, chi ci provasse a farlo, di essere “contro il Papa”…. Oh certo! Un “fenomeno” per molti aspetti accattivante (lo hanno detto e testimoniato i nemici della Chiesa come Scalfari e lo stesso Melloni…) ma un linguaggio ed un magistero per nulla nutriente per la moltitudine che riceve in maniera acritica e superficiale il ripetitivo martellamento amplificato dai media…

Una sorta di virus letale che non ci si accorge quando colpisce, ma se ne vedono gli effetti devastanti, non più riparabili. O se preferite ci troviamo già immersi in quel rischio di pensare o parlare di Cristo come se egli fosse un individuo umano come siamo noi. Forse un giorno ci capiterà quello che san Girolamo racconta dei cristiani del IV secolo: ad un certo punto si svegliarono e scoprirono di pensare tutti più o meno come pensava Ario… svegliarsi ariani!

Se non credete a noi, leggete anche qui, fresco di giornata: Il cardinale Brandmüller accusa di eresia e apostasia il Sinodo vaticano sull’Amazzonia

Vogliamo concludere con queste riflessioni
ricordando a tutti i nostri Lettori che siamo anche noi in procinto di allentare gli editoriali per via del periodo estivo. Gli aggiornamenti andranno a rilento per poi riprendere in modo più costante dopo il 25 agosto. Ne approfittiamo per auspicare a tutti un periodo fruttuoso per sante letture, preghiera e arricchimento dello spirito.

“Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a instillargli l’imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere, dalla riforma sino ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo.
Vi hanno paralizzato nell’autocritica masochista, per neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto.
Femministe, omosessuali, terzomondiali e terzomondisti, pacifisti, esponenti di tutte le minoranze, contestatori e scontenti di ogni risma, scienziati, umanisti, filosofi, ecologisti, animalisti, moralisti laici: da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere.
Non c’è problema o errore o sofferenza nella storia che non vi siano stati addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro manforte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità.
Spesso, infatti, non è vero.
E se qualcosa di vero c’è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre.
Ma poi: perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche? […] Quella vergognosa menzogna dei “secoli bui”, perché ispirati dalla fede del Vangelo! Perché, allora, tutto ciò che ci resta di quei tempi è di così fascinosa bellezza e sapienza? Anche nella storia vale la legge di causa ed effetto…”

Léo Moulin (1906 – 1996), sociologo e scrittore belga, non certo dogmaticamente cattolico, come lui stesso affermava.

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Giulio Mannino