Francesco I
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Ora la neochiesa celebra apertamente la sodomia.

Ora la neochiesa celebra apertamente la sodomia. Infine, è caduta la maschera anche in questo particolare ambito: quello dell’omofilia, erroneamente detta omosessualità. La vera carità cristiana consiste nel dire di sì a tutti? di Francesco Lamendola

Infine, è caduta la maschera; e, dopo aver parecchio tergiversato e zigzagato, la neochiesa ha imboccato una volta per tutte l’autostrada che porta verso la rottura totale e definitiva col passato, vale a dire con la Tradizione e la vera Chiesa di Gesù Cristo, anche in questo particolare ambito: l’omofilia, erroneamente detta omosessualità (in natura l’omosessualità non esiste; la sessualità è sempre e solo eterosessualità, le piante coi fiori ci insegnano questo fin dai rudimenti della botanica). Ma lasciamo anzitutto che a parlare siano i fatti.

Il fatto numero uno è la sfortunata vicenda di due ragazzi vicentini di ventuno anni, i quali in montagna, durante le vacanze natalizie, sono morti nel sonno, intossicati dal monossido di carbonio rilasciato dalle braci che si erano portati in camera per riscaldarsi durante le ore notturne: un tipo d’incidente tutt’altro che raro, purtroppo. Solo che quei due ragazzi, che erano andati in montagna con due amiche, sono stati subito qualificati dai media con il nome di “fidanzati”. Fidanzati, come? Non delle ragazze; le quali, del resto, dormivano in un’altra camera, e perciò si sono salvate. Ma di chi, allora? Fra di loro. Ecco: la cosa è uscita quasi subito, anche se con un po’ di fatica, perché, all’inizio, qualche giornale e qualche rete televisiva aveva preferito definirli “amici”. Insomma, erano una coppia omofila e la cosa, evidentemente, aveva creato qualche imbarazzo. Ma subito i loro amici e le associazioni LGBT si sono scagliati contro “l’ipocrisia” del chiamarli amici, e hanno rivendicato il loro diritto ad essere ricordati per quello che erano: due fidanzati, ma proprio quel che si dice fidanzati ufficiali, da una data precisa, un anno fa. Le loro famiglie hanno scelto di celebrare i funerali con un rito unico, presso la parrocchia di San Giovanni Battista di Arzignano: d’accordo la Chiesa, nella persona del parroco e, indirettamente, in quella del vescovo. Come dire: che tutto il mondo sappia che si amavano. Immediate le congratulazioni della signora Monica Cirinnà, grande artefice della legge sulle unioni di fatto, coppie gay comprese: Queste famiglie sono un esempio virtuoso per tutti, amano e rispettano i loro figli con dignità anche nell’estremo dolore. Non poteva lasciarsi scappare la ghiotta occasione di fare il suo mini-spot omosessualista, la signora: e chi mai potrebbe sollevare la benché minima obiezione, davanti alla maestà della morte e al dolore di quelle famiglie? Questo, dunque, è il primo fatto: la tragica morte dei due ragazzi e la richiesta – perché di una richiesta si tratta, non di una decisione, che non spettava a loro – di tenere una sola cerimonia funebre, in un clima ideologico particolare, perché proprio le associazioni LGBT e tutta la cultura politically correct e gay-friendly non hanno voluto rispettare, col silenzio, il dolore di quelle famiglie, ma al contrario, tuonando contro il moralismo e l’omofobia cattolica - dei quali, peraltro, nessuno ha visto traccia - per una precisa scelta strumentale hanno voluto fare di quel dolore privato una pubblicità ideologica. E va bene.

Poi viene il secondo fatto. Perché si può domandare al prete quasi qualsiasi cosa, di questi tempi, ma non è detto che il prete sia obbligato a dir sempre di sì. Non è scritto da nessuna parte che le persone abbiano il diritto di pretendere e ottenere quel che vogliono, anche in contrasto con la morale cattolica e con il Magistero della Chiesa. Non è scontato, per esempio, che un ateo, vissuto notoriamente fuori dalla Chiesa e fuori dai Sacramenti, abbia poi il diritto di ricevere un funerale cattolico; meno ancora se si tratta di un pubblico peccatore, di un mafioso impenitente, per esempio, che ha sulla coscienza violenze e omicidi; e neppure nel caso di un suicida, perché anche il suicidio è un peccato mortale, oltre che un pessimo esempio per chi resta, e la dottrina cattolica, su questo punto, è molto chiara senza alcuna possibilità di equivoco. Tuttavia, ci siamo abituati a vedere che la Chiesa accoglie quasi sempre richieste di tal genere, per una malintesa forma di solidarietà e di compassione, in linea con la concezione del falso papa Bergoglio, secondo il quale la Chiesa è un ospedale da campo, dove quel che si deve fare innanzitutto è medicare le ferite. Anche al prezzo di contraddire se stessa e sbugiardare il quinto comandamento, cioè sbugiardare Dio. Il secondo fatto, dunque, è, o avrebbe dovuto essere, il modo in cui la Chiesa avrebbe deciso di rispondere a quella richiesta, in quel contesto, con quel clima, con quelle implicazioni: vale a dire nel clima della mobilitazione omosessualista e della esaltazione dell’amore gay, trasformando necessariamente un lutto privato in una celebrazione di una cosa che la Chiesa cattolica, almeno fino a prova contraria (dato che le uscite del gesuita Martin, o dei vescovi Bonny e Barrio, hanno il valore d’iniziative personali e non certo di Magistero) disapprova, anzi, condanna apertamente e considera un peccato molto grave. Ora, prima di andare avanti, sarà bene ricordare, velocemente, quel che dice la dottrina cattolica, sulla base del Magistero, a proposito di quel tale peccato.

Abbiamo scelto, a tal uopo, due testi, uno meno recente, l’altro più recente, e ufficiale. Il primo è il Dizionario di Teologia Morale diretto dal cardinale Francesco Roberti (Roma, Editrice Studium, 1955, 1961, p. 1427), senz’altro uno dei migliori pubblicati negli anni precedenti il Concilio, pur se risente della formazione prevalentemente giuridica del suo dotto direttore. Alla voce Omosessualità – adoperiamo pure questo termine improprio, visto che ormai lo usano tutti, indipendentemente da come la pensano: segno evidente che un punto a favore è stato segnato prima ancora di entrare nel merito del discorso, perché le parole orientano il pensiero, nel momento stesso in cui lo esprimono - si legge: Pervertimenti sessuali; Sessualità; Sodomia. Tralasciano la prima voce, perché comprende categorie fra loro assai diverse, e la seconda, perché troppo ampia e generica: leggiamo alla terza voce indicata, la più specifica, a firma di padre Cornelio Damen, redentorista, già professore di Teologia morale nel Pontificio Ateneo Urbano de Propaganda Fide in Roma):

1 - CONCETTO E DISTINZIONE. Sodomia, detta così dal peccato degli abitanti di Sodoma (Gen. 19), in senso proprio è il concubito fra due persone di sesso uguale. Atti venerei senza concubito si riducono, a meno che non siano solo come mezzo per provocare il piacere venereo, a questa specie a causa dell’affetto verso il sesso indebito; sodomia in senso improprio è chiamato anche il concubito fra persone di diverso sesso, ma in maniera contro-natura.
La sodomia in senso proprio, se praticata fra donne, si chiama anche amore lesbico o saffico; se commesso con bambini (e allora contiene spesso anche l’elemento della violenza) pederastia. A questo peccato hanno una inclinazione quasi innata i cosiddetti omosessuali, i quali a causa di una perversione dell’istinto naturale, disprezzano l’altro sesso e trovano il piacere sessuale soltanto con persone dello stesso sesso (v. “Pervertimenti sessuali”).

2 - GIUDIZIO MORALE. La sodomia è un peccato abominevole (Gen. 13, 13; Lev., 18, 22; 20, 13; Rom. 1, 26-27; 1 Cor 6, 9; 1 Tim 1, 10); ripugna intrinsecamente alla natura e al fine primario dell’atto sessuale: è lussuria contro natura (v: “Lussuria); è di specie diversa dalla semplice polluzione (Prop. 24a condannata da Alessandro VII; Decr 24 settembre 1665).

Il secondo testo è, semplicemente, il Catechismo della Chiesa cattolica, quello approvato in una prima stesura da Giovanni Paolo II con la dichiarazione apostolica Fidei Depositum dell’11 ottobre 1992, approvazione confermata poi, per la stesura definitiva, con la lettera apostolica Laetamur Magnopere del 15 agosto 1997 (Libreria Editrice Vaticana, 1992, 1992, p. 624) che gli dedica tre §§, 2357, 2358 e 2359; vale la pena di rileggerseli, come forse avrebbe fatto bene a rileggerseli quel sacerdote della diocesi di Vicenza, come pure il suo vescovo:
2357 - L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrazione sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Su manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (cf Gn 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tim 1,10), la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati” (Sacra Congregazione perla Dottrina della Fede, Dich. “Persona humana”, 8; AAS 68 ([1976] 85). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 - Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 - Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente, e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.

Ora, se questa è la posizione ufficiale e definitiva della Chiesa cattolica riguardo all’omosessualità, definita intrinsecamente disordinata sia negli atti (§ 2357), sia in quanto inclinazione (2358), e se quegli atti in nessun caso possono essere approvati (2357), tant’è che le persone omosessuali sono chiamate alla castità (2359), la decisione di concedere il doppio funerale ai due ‘fidanzati’ vicentini nella chiesa di Arzignano appare tutt’altro che scontata; anzi, se le parole hanno un senso e la dottrina morale cattolica è una cosa seria, è decisamente sorprendente. Forse sarebbe stato più giusto, con tutto il tatto e la delicatezza possibili, dire a quelle famiglie che la loro richiesta era inopportuna, visto anche il cima di strumentalizzazione da parte del mondo LGBT, ma, soprattutto, data la ferma e chiara posizione del Magistero riguardo alla situazione oggettiva in cui i due ragazzi si trovavano e che liberamente avevano scelto. Invece, ecco cosa ha detto il parroco di Arzignano, don Roberto Castegnaro: C’è rispetto per quella che è stata la loro relazione, non li consideriamo di certo pubblici peccatori.

La Chiesa condanna l’omosessualità esibita, io non ho conosciuto direttamente nessuno dei due, ma non mi sembra questo il caso.
Due menzogne e un press’a poco in due frasi: per la Chiesa, quelli erano due pubblici peccatori; e non è vero che la Chiesa condanna solo l’omosessualità esibita: non è una questione di bon ton, la condanna in sé e per sé. Circa l’esibizione, si vede che il buon prete, oltre a inventarsi una dottrina tutta sua, non sa andare in rete e vedere quel ch’è visibile a tutti. Poi c’è don Alessio Graziani, portavoce diocesano: La scelta di celebrare insieme i funerali di Alex e Luca risponde ad una precisa richiesta delle loro famiglie a cui la Chiesa in questo momento di immenso dolore desidera essere vicina con le parole della fede. Di fronte alla morte di due giovani, ogni altro commento ci pare quanto meno inopportuno. (…) Rispettiamo il dolore di queste famiglie e degli amici di questi due ragazzi e preghiamo con loro e per loro affidandoli a Dio che solo conosce veramente il cuore di ogni persona. Complimenti: è un vero capolavoro di ambiguità pilatesca: la butto sul patetico, taccio d’insensibilità chiunque osi esprimersi altrimenti. Che vuol dire: Di fronte alla morte di due giovani, ogni altro commento ci pare quanto meno inopportuno? Se fossero stati due vecchi, era invece permesso discutere? Il fatto della giovinezza inibisce ogni riflessione? Ma la Chiesa non può limitarsi ad “accompagnare “ il dolore degli uomini, pena non esser più la vera Chiesa, ma una sua mondana contraffazione.

Sì, è sgradevole fare questo discorso e per nessun motivo al mondo ci permetteremmo di giudicare quelle persone, perché è vero che solo Dio conosce l’intimo di ogni cuore umano. Pure, la Chiesa è la custode della Verità divina; e su ciò non può fare sconti, né concessioni, e sia pure per motivi di compassione o di umano rispetto. Essa non può fare o dire nulla che suoni come una smentita del proprio insegnamento ufficiale, perché tradirebbe la Parola di Dio: e il primo dovere del cristiano è quello di piacere a Dio piuttosto che agli uomini. Anche a costo, talvolta, di essere severo; severo, ma non privo di carità, al contrario.

Il punto è se la vera carità cristiana consista nel dire di sì a tutti, magari per rispetto del loro dolore, o non piuttosto nel mostrare la retta via, sempre e comunque, e specialmente in un momento storico, come questo, caratterizzato dal dilagare del relativismo filosofico e da un estremo soggettivismo etico. Il medico troppo pietoso è un pessimo medico, perché, pur di non far soffrire il paziente, lo lascerebbe morire, privandolo delle azioni necessarie alla sua salvezza. Gesù Cristo, il solo modello, era pietoso, ma non troppo, perché sapeva essere anche severo. Per amore delle anime e per amor di Dio, mai è sceso a compromessi con la Verità…
Del 07 Gennaio 2018

accademianuovaitalia.it
Sempliciotto
Perché quando muore un medico abortista non solo impenitente, ma fiero del lavoro svolto poiché convinto aver offerto una vita qualitativamente migliore ai genitori dei bambini uccisi,
perché, dicevo, la chiesa non celebra i funerali solenni a costoro per rispetto del dolore della famiglia?
Oltretutto secondo la dottrina, chiamiamola così, di Amoris Laetitia, detto medico convinto in coscienza …Altro
Perché quando muore un medico abortista non solo impenitente, ma fiero del lavoro svolto poiché convinto aver offerto una vita qualitativamente migliore ai genitori dei bambini uccisi,
perché, dicevo, la chiesa non celebra i funerali solenni a costoro per rispetto del dolore della famiglia?
Oltretutto secondo la dottrina, chiamiamola così, di Amoris Laetitia, detto medico convinto in coscienza della bontà delle sue azioni, non è assolutamente imputabile soggettivamente di peccato, quindi ha diritto ai sacramenti e certamente è in Paradiso o in Purgatorio.
All'Inferno no perché l'inferno non c'è, le anime cattive non esistono più.(Come infatti confermano tutto il Magistero e le innumerevoli apparizioni Mariane ai Santi)