Francesco I
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Nuovi studi fanno luce sull’eccidio di Mogadiscio del 1948: fu un pogrom premeditato dagli inglesi per colpire gli italiani

di © Gianfranco Cenci (*)– Tutti i diritti riservati
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Tra qualche settimana sarà il 71° anniversario dell’eccidio di Mogadiscio avvenuto l’11 gennaio 1948. Prendendo spunto da questa ricorrenza vorrei contribuire a sfatare una volta per tutte i dubbi, le bugie di comodo che ancora aleggiano su quei tragici fatti fin dal giorno successivo al loro compimento.
Non solo ma nello stesso tempo cercare di capire perché non si è mai data risposta ad una domanda molto semplice: Come mai a guerra finita da oltre 3 anni e firmata la pace da oltre un anno lo sparuto gruppo di i italiani ancora residenti in Somalia divenissero oggetto di un vero e proprio pogrom ad opera della potenza amministrante?
Potenza che aveva l’obbligo di garantire sicurezza alla popolazione inerme e disarmata ma fiduciosa per la presenza in forze di truppe scelte della vincitrice della seconda guerra mondiale e quindi accertare chi è stato l’autore del colossale cover up messo in atto dai Comandi Britannici evidentemente al solo scopo di non far schizzare fango su un esercito che era ancora impegnato in poco onorevoli campagne come quella di ostacolare gli ebrei scampati allo sterminio nazista nel poter raggiungere Israele.
Cercherò allora di dare queste risposte limitandomi a raccontare fatti, indicare documenti, e testimonianze, citare fonti autorevoli ed al di sopra di ogni sospetto. Le conclusioni le trarrà il lettore con il suo giudizio finale.
Debbo però fare ancora una premessa. Visto il continuo tentativo durato appunto 80 anni di accreditare tesi assurde quali quella della esistenza di una mera colpevole negligenza, desidero sgombrare il campo da questa ridicola tesi avvalendomi semplicemente di alcuni volumi nei quali si parla anche di questo avvenimento. Libri recenti e meno recenti ma che hanno il pregio, a mio avviso di essere di Autori che pur provenendo da diverse nazionalità, culture, orientamento politico giungono alle stesse conclusioni e cioè che l’eccidio fu particolarmente efferato e sostanzialmente inutile. Inutile perché se il pogrom doveva portare alla fuga degli italiani terrorizzati, ebbe invece l’effetto boomerang ed anzi rafforzò l’idea, in sede ONU, che il volere della stragrande maggioranza dei Somali erano favorevoli al ritorno dell’Italia come amministratrice anche se sotto tutela delle stesse N.U..
Il primo è il volume “SOMALIA – Ricordi di un mal d’Africa italiano” scritto dall’Ambasciatore Claudio Pacifico, edito nel 1996 edizione EDIMOND s.r.l.
Il secondo è il volume “SOMALIA – La storia mai raccontata” di Mohamed Trunji, storiografo somalo residente a Londra, scritto in inglese nel 2016 tradotto in italiano nel 2017.
Il terzo è il volume “SOMALIA – Passione italiana nel corno d’Africa” scritto dai Prof. R. Roncati e R. Maccanti nel 2017 edito da Solfanelli.
Naturalmente esiste anche un ulteriore lunghissimo elenco di pubblicazioni sui fatti dell’11 gennaio a cominciare dalla corposa narrativa di Del Boca e della Bullotta.
Ma queste tre opere citate sono quelle che essendo pubblicate per ultime hanno le notizie più aggiornate e di fonte “locale” in quanto il Trunji viene dalla Somalia, Pacifico ha vissuto in Somalia 4 anni fino all’ultima rivoluzione del 91 ed i professori agronomi Roncati e Maccanti hanno insegnato agraria per vari lustri in varie parti della Somalia. Non solo, ma proprio il fatto che questi tre libri di così varia estrazione giungono alle stesse conclusioni, mi hanno indotto a corroborare i loro racconti con le mie cognizioni, osservazioni e conclusioni.
Proprio a questo scopo comincerò con il descrivere la “scena del delitto” senza la quale sarebbe difficile giudicare chi ha fatto o non ha fatto qualcosa che avrebbe o non avrebbe dovuto fare. A questo fine bisogna partire dal’inizio e cioè dalla planimetria della Mogadiscio anteguerra che è qui riprodotta con relativa toponomastica.
Al centro della città e con direttrice sud-nord vi è corso Vittorio Emanuele Terzo che lambisce la Garesa (sulla destra) e attraversando i binari della ferrovia arriva alla piazza con il monumento ai caduti arabo-somali. Sulla sinistra di questa piazza è ubicato l’imponente edificio (triangolare a più piani) in mattoni rossi che era la Casa del Fascio divenuta dal febbraio 1941, data dell’occupazione inglese, Quartier Generale dell’Esercito Britannico fino al 1° aprile 1950 data dell’ammaina bandiera inglese e l’alzabandiera di quella italiana.
Il lato nord di questa piazza è chiuso da due fabbricati e cioè la sede dell’INAIL e più verso ovest il poliambulatorio M. RAVA. Da questo luogo parte il viale XXIV maggio luogo dell’inizio e della maggior violenza dei massacri. Questo viale chiamato anche dei villini Zoni dal nome del costruttore dei vari bungalow siti sul lato nord prosegue verso ovest fino alla sede della Lega e della tipografia Degli Eredi.
Quindi è da questo incrocio che sono partiti i saccheggi e uccisioni che sono proseguite per tutto il viale fino a raggiungere il limite est (Casa del Fascio) sotto gli occhi delle truppe schierate in formazione antisommossa e del cui comportamento parleremo più oltre. Ma in questo punto la marea assassina si è fermata non per l’intervento delle forze dell’ordine ma per l’arrivo delle cabile Hawuia (Abgal ed Averghidir) che pure armati solo con armi bianche (frecce e pugnale Billao il famoso pugnale somalo) hanno attaccato i somali del nord che si dedicarono subito ai saccheggi e rapine.
Questo intervento purtroppo causò sensibili perdite ai somali corsi in soccorso degli italiani (secondo Pacifico una cinquantina fra morti e feriti). Cifre sicuramente attendibili. La nostra Associazione A.N.R.R.A. è riuscita a recuperare i nomi di alcuni dei caduti doverosamente immortalati insieme ai 54 italiani nella stele situata nella cripta della chiesa di piazza Salerno a Roma. Per la cronaca la cerimonia della lapide è avvenuta con la partecipazione ufficiale dell’ Ambasciata somala a Roma al massimo livello. Questo è stato il minimo che potessimo fare in ricordo di questi generosi eroi venuti in soccorso senza nemmeno attendere alcuna sollecitazione.

Personalmente sono convinto che il massacro sia stato programmato dalle autorità militari locali NON AL MASSIMO LIVELLO. Questo perché reputo determinanti le testimonianze di Antonia Bullotta che in tal senso si esprime nel suo libro “Somalia sotto due bandiere” ed era ben noto a Mogadiscio che per la sua pluriennale attività alle dipendenze della B.M.A. fosse perfettamente al corrente delle attività delle massime Autorità locali.

A parte ciò una circostanza che avvalora la tesi dell’eccidio premeditato sta nella cronistoria degli avvenimenti. L’eccidio non fu un episodio casuale ed inaspettato bensì previsto e calcolato tanto è vero che alcune settimane prima dei fatti dell’11 gennaio (come riporta il libro di Roncati) il comando militare britannico fece arrivare, per rinforzare l’ordine pubblico, un battaglione di K.A.R. – King’s African Rifles cioè di fucilieri africani del Re. Questo corpo era una forza d’elite che cominciò la seconda guerra mondiale con l’attacco agli italiani in Somalia ed Etiopia e finì l’attività bellica in Birmania fino alla resa dei Giapponesi. Era composta di truppe africane Ghana (costa d’oro) Rodesia, Kenya, Uganda (Id Amin il dittatore ugandese era un K.A.R in Somalia, campione di pugilato) con graduati indiani ed ufficiali europei. Questa forza meccanizzata rappresentava il top delle forze armate africane ben armate, addestrate e disciplinate e la mattina dell’11 gennaio erano schierate a protezione del Quartier Generale e nello stesso tempo in stand by in caso di necessità per ordine pubblico.
Come si vede chiaramente dalla cartina la punta est del viale XXIV maggio era bloccata proprio da questi reparti ai quali però fu ingiunto di non muoversi in soccorso di coloro, bianchi o neri che fossero, che a poche decine di metri (Trunji nel suo libro parla di distanza di un tiro di pietra) venivano massacrati.
PERCHÉ fu dato questo ordine mentre alcuni ufficiali intervennero agendo di propria iniziativa (sempre come documentato nel libro di M. Trunji) a stento trattenendo le lacrime? Non solo, ma la disparità di forze era tale che non vi sarebbe stata nessuna necessità di uccidere nessuno, bastava brandeggiare una mitragliatrice di una Brent Carrier per far cessare qualsiasi violenza e massacro e mettere in fuga a gambe levate gli assassini come accadde ad un italiano il signor Cian che da casa sua lato ovest del viale con una pistola e tre soli colpi sparati in aria mise in fuga qualche dozzina di assalitori (testimonianza resa alla commissione d’inchiesta).
Da sottolineare inoltre il fatto che questo eccidio è durato oltre due ore dalle 11.00 alle 13.00 cioè una eternità e siccome ad uccidere 50 persone inermi bastano pochi minuti perché tutto questo tempo?
La risposta la si può trovare valutando un’altra circostanza e cioè che gli aguzzini non avevano solo il compito di uccidere gli italiani ma anche quello molto più interessante per gli assalitori: quello di razziare tutti i beni asportabili dalle case dopo averne ucciso o ferito gli occupanti. Infatti un altro degli interrogativi rimasti senza risposta da parte delle autorità britanniche è quello che tutti i beni razziati riempirono decine di autocarri venuti dal sud Garissa (Kenya) o dal nord (Hargheisa).
Che la razzia fosse premeditata e prevista come prezzo del misfatto è dimostrato dal fatto che queste decine di camion carichi fino all’inverosimile passarono tranquillamente tutti i numerosi posti di blocco che sotto l’occupazione militare a decine erano stati stabiliti lungo le rotabili. Evidentemente questi posti di blocco avevano ricevute precise istruzioni di girare la testa da un’altra parte e di evitare qualsiasi controllo.

Aggiungo un breve commento sui volumi che ho più sopra indicati: È mia ferma convinzione che essi rappresentato una narrazione dei fatti somali la più aderente alla realtà del paese. In questi libri e non solo per quelli dell’11 gennaio.
Pur partendo da presupposti diversi convergono su comuni conclusioni il che è un fatto tanto più straordinario quanto più si pensa che vengono da autori che nulla hanno in comune se non, e questo è fuori da qualsiasi dubbio, l’affetto e la simpatia per il Paese dove hanno passato parte della loro vita. Penso utile citarne solo alcuni:
dal libro di PACIFICO sui fatti dell’11 gennaio pagg. 46- 47: “In effetti con tipico pragmatismo britannico che coniuga sempre il fair play con l’esigenza di salvare prima e innanzi tutto la faccia del Paese, all’epoca le autorità inglesi mantennero segrete le conclusioni del rapporto e cercarono di accreditare pubblicamente la tesi delle responsabilità italiane, azzittendo non solo i poveri italiani di Mogadiscio, che sapevano benissimo chi era responsabile dell’eccidio […] Comunque l’eccidio finì per produrre un effetto esattamente contrario”.

Dal libro di TRUNJI pagg. 131 132: “L’ex Casa del Fascio che ospitava il Quartier Generale della Gendarmeria era solo a un tiro di sasso dai villini Zoni dove avvenne il progrom. Le truppe cui non mancavano fucili, mitragliatrici e carri armati furono testimoni passivi delle atrocità che si stavano commettendo”.

Dal libro di RONCATI e MACCANTI pag. 135: “Gli Autori citano opportunamente un giudizio assolutamente indiscutibile reso il 23 marzo 1949 dal Sen. U. Terracini che testualmente recita: Ebbene che cosa è stato quell’eccidio se non il tentativo da parte dell’Inghilterra, abile e perfida, di creare la persuasione che la popolazione della Somalia non vuole continuare a sopportare le presenza degli italiani”.
Questi rapidi accenni penso che bastino a suscitare la curiosità di coloro che desiderano approfondire le loro conoscenze sul periodo coloniale dell’Italia prima (De Martino) del fascismo, durante (de Vecchi di Val Cismon, Duca degli Abruzzi, Duca d’Aosta) e dopo con l’A.F.I.S.

italiacoloniale.com/…/nuovi-studi-fan…

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(*) L'avvocato Gianfranco Cenci nacque nel Villaggio "Duca degli Abruzzi" nella Somalia Italia nel 1931, frequentò il liceo classico a Mogadiscio e la facoltà di giurisprudenza a Roma. È specializzato in diritto internazionale ed ebbe prestigiosi incarichi dall'ONU quali quelli di redigere la carta costituzionale ed i quattro codici per alcuni paesi africani. Attualmente vive a Roma ed è presidente dell'associazione degli Italiani Reduci dalla Somalia.
Marziale
La perfida Albione