La guerra del re Giosafat contro gli Ammoniti, figura della battaglia spirituale degli ultimi tempi

Ecco perché (forse) non meritiamo l'intervento di Dio... Un IMPORTANTE episodio biblico ci aiuta a capire...

Si tratta della battaglia del re Giosafat conto gli ammoniti, battaglia che fu alla fine vittoriosa per un intervento prodigioso soprannaturale che premiò il re fedele ed il popolo ebreo. Il titolo dell'articolo si può comprendere alla luce di questa considerazione: confrontando ciò che fecero Giosafat ed il popolo di'Israele e ciò che, diversamente da loro, noi popolo di cattolici non stiamo facendo si può spiegare (almeno in parte) il perché di una prova spirituale che continua senza che Dio sia ancora intervenuto a salvare la sua Chiesa e a liberare dal giogo di Babilonia i suoi eletti. Il discorso risulta interessante ed attuale. Penso che nella sequela dei santi esempi che brillano in questa importante pagina biblica possa trovarsi la soluzione soprannaturale alle gravi difficoltà che oggi stiamo sperimentando.

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COMMENTO DI DON DOLINDO RUOTOLO

2 CRONACHE, CAPITOLO 20


L’episodio di guerra raccontato in questo capitolo è uno dei più impressionanti nella storia delle divine misericordie, è una rivelazione palpante di quello che può operare la preghiera e la fiducia in Dio.

Il Sacro Testo dice che i figli di Moab e di Ammon, e con loro degli Ammoniti, si radunarono per combattere contro Giosafat. L’assalto sarebbe dovuto essere improvviso, ma una moltitudine così grande che si avanzava minacciosamente fu notata, ed alcuni messaggeri ne portarono notizia a Giosafat, dicendo che una grande moltitudine veniva dai paesi al di là del mare e dalla Siria, ed era accampata ad Cazezon-Tamar, antico nome di Engaddi. I critici notano nel Testo delle confusioni che attribuiscono ad errore dei copisti. Prima di tutto notano che essendosi detto che vennero a combattere i figli di Ammon, il soggiungere subito dopo: e con essi degli Ammoniti è errato, perché gli Ammoniti erano proprio i figli di Ammon. Nell’ebraico invece di Ammoniti si ha Maoniti, nei Settanta si ha Minei; i critici preferiscono leggere Minei. Inoltre è errata l’ambasciata fatta a Giosafat che l’esercito veniva dalla Siria, perché veniva in realtà da Edom. Queste apparenti confusioni, però, non sono errori di copista, sono la dimostrazione del terrore che invase il popolo vedendo avanzare quella moltitudine. Era logico che in quei momenti di angustia, osservandosi di lontano l’esercito invasore, si generasse una confusione sui luoghi dai quali veniva e sulle genti che lo componevano. Chi portava la notizia dell’invasione non poteva discernere questi particolari, parlava secondo le sue impressioni, e l’autore sacro ha conservato nel Testo questa naturale confusione che derivava dall’agitazione del popolo.

Giosafat, all’annuncio di un pericolo così grave, impreparato com’era alla guerra, agitato dal timore, si rivolse al Signore, e per attrarne sul popolo la misericordia, indisse un pubblico digiuno. Il popolo venne da tutte le parti in Gerusalemme per pregare, e Giosafat, raccoltolo nell’atrio del tempio, chiamato qui nuovo, perché era stato edificato o restaurato da lui, cominciò solennemente a pregare. Noi avremmo trovato inutile, anzi dannosa quell’adunanza e quella preghiera, in un momento nel quale non c’era tempo da perdere e nel quale si sarebbero dovuto radunare in fretta tutte le forze disponibili; ma Giosafat fu immensamente più saggio raccogliendo il popolo nella penitenza e nella preghiera, e diede ai secoli un esempio che rimase memorabile e che mostrò quanto sia importante ricorrere al Signore nei pericoli nazionali.

La preghiera di Giosafat fu commovente; egli invocò il Signore come Dio dei padri, per ricordargli le opere buone dei patriarchi e l’elezione particolare del popolo; si appellò a Lui come a dominatore di tutte le nazioni; ne invocò la potenza, innanzi alla quale nessuno poteva resistere. Queste invocazioni toccavano il cuore di Dio, non perché Egli avesse bisogno di quei ricordi per intervenire, ma perché essi eccitavano nel popolo la fede e gli aprivano il cuore alla fiducia. È proprio per questo che la preghiera è più forte ed efficace quando ricorda, per esempio, al Signore i meriti di Gesù Cristo, le virtù della Madonna, le opere buone dei santi; noi allora più che ricordare a Dio quello che ci rende degni di essere esauditi, lo ricordiamo a noi, e ci uniamo con quel ricordo a Gesù Cristo, alla Vergine Santissima e ai santi. Nasce in noi a quei ricordi un senso di profonda compunzione che ci raccoglie di più nella preghiera; fiorisce nell’anima un sentimento di umiltà, perché essa riconosce la propria indegnità; si rianima la nostra fiducia, appoggiandosi ai meriti ineffabili che ci riconciliarono con Dio e ci aprirono le porte della misericordia.

Giosafat ricordò che Dio aveva donato quella terra al suo popolo, sterminando quelli che l’occupavano; ricordò la promessa fatta ad Abramo, chiamandolo amico di Dio, quasi ad intenerire il Signore nel rievocare quell’intima benevolenza con la quale lo amò. Ricordò poi quello che aveva fatto il popolo per Dio, elevandogli un tempio, e le speranze riposte nella preghiera fatta in quel luogo santificato dalla presenza divina.

Per attrarre sui nemici il castigo divino, ricordò che Israele li aveva risparmiati quando uscì dall’Egitto, e che essi, come tutta ricompensa, venivano ora ad aggredirlo per togliergli la terra data a lui da Dio; perciò invocò il giudizio del Signore, cioè il castigo su quella gente, lo invocò con forza, confessando l’impotenza e l’angustia in cui era il popolo che non aveva altra forza per difendersi che la protezione divina.

La preghiera, magnifica e commovente, era seguita da tutto il popolo il quale stava innanzi a Dio con i bambini innocenti, per attrarre la misericordia presentando come supplica viva quelle anime pure, insieme con le mogli e con i figli, per unire tutti nella preghiera. Si pregava e si piangeva, e la moltitudine dava uno spettacolo di debolezza, mentre lontano rumoreggiavano le armate offrendo uno spettacolo di forza terrificante; eppure l’apparente debolezza era la forza che doveva travolgere il nemico.

Il Signore, nella sua paterna delicatezza, non volle lasciare quel popolo nell’angosciosa incertezza nella quale era: investì, col suo Spirito, Iacaziel, levita della famiglia di Asaf, il quale parlò in nome di Dio, assicurando tutti che il Signore faceva sua quella battaglia, che avrebbe combattuto Egli stesso per loro. A quell’annuncio tutti caddero bocconi per terra adorando il Signore, mentre i leviti della stirpe di Keat e di Core lodavano a gran voce il Signore Dio d’Israele.

Al mattino seguente si vide una battaglia di nuovo genere: il popolo avanzò verso il deserto di Tekoa, e Giosafat, stando in mezzo alle schiere, esortò tutti a rinnovare la loro fede in Dio e nei suoi profeti. Invece di ordinare i reparti d’assalto, ordinò i cantori sacri, perché avessero cantato il salmo 117: Lodate il Signore perché è eterna la sua misericordia. Ci dev’essere una grande forza d’impetrazione in questo salmo, dato che il Signore rispose al popolo con un miracolo ogni volta che lo cantò; anche quando fu consacrato il tempio, alle prime note di questo salmo la gloria di Dio riempì tutta la Casa. Certo, appena i leviti cominciarono a cantare, un panico indescrivibile invase i nemici; forse erano avvolti dalla nebbia mattutina e non si vedevano bene l’un l’altro, forse, tesi nella preoccupazione, quel canto sembrò loro un formidabile grido di nemici irrompenti o il segno di un’imboscata pericolosa; il fatto si è che essi rivolsero le armi contro loro stessi e si sterminarono, senza che Giuda avesse avuto bisogno di combattere.

Da un’altura del deserto di Tekoa, Giuda vide il campo di battaglia tutto disseminato di cadaveri, e discese nella valle per raccogliere le spoglie. Per tre giorni durò il bottino, e non furono sufficienti a raccoglierlo tutto, tanto era abbondante; dopo tre giorni avanzandosi la putrefazione dei cadaveri, il popolo dovette ritirarsi da quella valle, che fu chiamata Valle della Benedizione, e ritornò trionfante in Gerusalemme, recandosi al tempio fra canti e suoni per ringraziare il Signore della strepitosa vittoria che riempì di terrore tutti i popoli vicini. Da allora nessuno ardì muover guerra a Giosafat e il regno godé la pace.

Dio ci mostra in un quadro sensibile quello che sono in realtà le forze spirituali della sua Chiesa, questa grande inerme aggredita da tutte le parti e sempre vittoriosa. Vengono contro di essa i nemici, ed essa non si arma che di preghiera: fa appello a Dio, al suo amore, alla sua alleanza, alla sua misericordia col Sacrificio della Messa, rinnovazione vera di quello del Calvario; ordina le schiere dei suoi cantori organizzando la pubblica preghiera nelle sue cattedrali. I Canonici sono e devono essere le sue armate che, cantando i salmi, travolgono in rotta i nemici, scompigliandoli senza neppure aggredirli. Sorgono in mezzo a lei come voci rassicuranti i santi che vedono Dio più da vicino, Iacaziel, perché conversano con Lui; essi vengono dalle anime consacrate al Signore che si ricordano più spesso di Lui, Zaccaria, sue figlie, tutte occupate della sua conoscenza, Benaià, col cuore contrito per tenero amore, Ieiel, ripiene dei doni celesti, viventi nella speranza soprannaturale e nell’aspettazione di Dio, Mattania, congregate nel suo nome e per suo amore, Asaf. Essi comunicano al popolo le parole soprannaturali che lo rianimano nelle vie di Dio, riaccendono nel suo cuore la fede, rinnovano in lui la speranza, lo infiammano di amore per Dio.

Allora non c’è forza che possa resistere alla Chiesa. Quello che avvenne materialmente ai nemici di Giuda, avviene spiritualmente e realmente ai nemici della Chiesa: essi sono sconvolti, si combattono fra loro, si sterminano, e quando la sposa del Re d’Amore giunge alla vedetta di Tekoa, al giorno nel quale radunata dalla tromba del giudizio, vede tutto dall’alto, non trova che cadaveri nel campo nemico, prima così formidabile e minaccioso. Uno sguardo anche fugace ai secoli passati ci fa intendere la realtà della visione che la Chiesa avrà nell’ultimo giorno: i campi nemici sono già un cimitero di morti, sterminati dalla fede e dalla preghiera della Chiesa. Le eresie, le sette, le insidie, gli stessi eserciti armati, si sconvolsero, si annientarono scambievolmente, e non lasciarono sul terreno che cadaveri, ossa spolpate e detriti putrefatti.

Satana, perciò, oggi più che mai, insidia le potenti schiere della preghiera pubblica della Chiesa, e riduce senza voce i canonici delle cattedrali e i sacerdoti. Chi è beneficiato non è uno che poltrisce su di un banco, sussurrando distrattamente delle preghiere, o cantando negligentemente dei salmi; è un combattente, il più forte combattente nell’aspra tenzone della Chiesa, colui che da solo può sgominare il nemico e ridurlo all’impotenza. È dunque un dovere pregare e cantare bene, è una responsabilità immensa farlo male. Chi vuole riformare una città, una Diocesi, un regno deve riordinare la preghiera nelle chiese e nelle cattedrali, deve ridonare ai canonici il loro vero splendore che non è fatto solo di paramenti esteriori, ma è fatto di fede e di fervore. Questa è la vera cappa di un beneficiato ecclesiastico: la sua fede; questo è l’ornamento del suo cuore: la sua preghiera; questa è l’arma della sua potenza: il suo canto di lode al Signore.

Si levano oggi più agguerriti che mai i settari di tutte le categorie, si levano per combattere a fondo la Chiesa. Sono i veri Moabiti e gli Ammoniti, i figli traviati del Padre celeste, i figli ribelli del popolo di Dio, sono i Siri, gli apostati, che si armano contro la Chiesa per demolirla. Uniamoci tutti in preghiera, uniamoci con i bambini innocenti, con i fanciulli, con le donne, accompagniamo la preghiera dei sacerdoti pregando liturgicamente con loro, e per incanto, i figli infedeli del Padre, i figli separati del popolo di Dio, gli apostati di tutte le categorie saranno sconfitti, e si formerà di tutti gli uomini un solo ovile sotto il paterno dominio di un solo pastore.