Francesco I
2,5K

Biritualismo, l’attuale avversario della Messa tradizionale

di jeannedarc

di G. Z.
In seguito alla rinuncia di Papa Benedetto XVI all’esercizio del ministero petrino, si sta verificando, in seno alla Chiesa, una sorta di assestamento post-sisma. Nonostante il crescente sconcerto che l’attuale pontificato sta provocando in seno alla Chiesa, dobbiamo però riconoscere che esso ha il merito di portare a galla i pensieri di molti cuori: l’inconciliabilità fra la Fede Cattolica autentica e le dottrine del Concilio Vaticano II.

Certamente non si può non apprezzare la coraggiosa azione di Benedetto XVI di riconsiderare e ridimensionare l’importanza del Concilio Vaticano II o di liberalizzare l’uso del Messale del 1962. Un atto eroico il suo, per il quale io per primo sono riconoscente per averne beneficiato. Tuttavia, i fatti hanno ampiamente dimostrato come la ben nota “ermeneutica della continuità” non abbia portato i frutti sperati. L’azione di riportare al centro della considerazione dei fedeli l’esistenza di un’“Altra” Messa, non è andata esente da alcune pecche che in qualche modo hanno contribuito ad annullarne l’efficacia o, quantomeno, a frenarne l’utilità.
Oggi a distanza di 8 anni dal Summorum Pontificum ci è possibile fare un bilancio, giacché il nocciolo della questione sembra ormai manifestarsi pienamente: quale convivenza potrebbe mai sussistere tra il rito quasi bimillenario della Chiesa di Roma e il rito assemblato artificialmente dalla commissione Bugnini dopo il Concilio Vaticano II?

La stessa terminologia utilizzata per creare un sistema biforme all’interno dell’unico rito romano è artificiosa e arbitraria quanto la Messa di Paolo VI. Quale messaggio viene infatti inviato a quei sacerdoti volenterosi di apprendere a celebrare la Messa tradizionale, se quel modo di celebrare viene chiamato “straordinario” e quello moderno invece “ordinario”? I termini significano la realtà che indicano, e perciò, in una tale ottica, la Messa Tradizionale non può che finire su una bella teca da esposizione ed estratta in poche e rare occasioni giacché è una liturgia “straordinaria”, un “modello” a cui guardare mentre l’evoluzione liturgica procede… Ossia, con il Summorum Pontificum si vuole affermare che la Santa Messa cosiddetta «Vetus ordo» o nella forma «Extraordinaria» è parte integrante della Tradizione della Chiesa ma si affianca in maniera speculare e complementare alla forma «Ordinaria» o «Novus ordo».

Questo rientra e riflette perfettamente nel linguaggio equivoco e ambiguo del Concilio Vaticano II, secondo cui nella Sacrosantum Concilium si sottolinea l’importanza del gregoriano e del latino e però si afferma contemporaneamente la liceità della celebrazione in lingua volgare e l’uso di altri generi musicali oltre al gregoriano. Insomma una direttiva che lascia libertà al singolo sacerdote di adattare a seconda delle necessità “pastorali” il rito della Messa. Infatti la Sacrosantum Concilium essendo inscritta nella mentalità liberale del Vaticano II non può altro che essere una costituzione, diciamo così, “pro choice”, appunto, liberale. Il tentativo di Ratzinger di conciliare entrambi i riti ponendoli sullo stesso piano anzi, affermando che essi possano vicendevolmente fecondarsi, ha un che di sacrilego. D’altra parte egli stesso nel ben noto Motu Proprio aveva dichiarato: “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura”. Un’affermazione che sembra cozzare con la realtà dei fatti, giacché la rottura c’è stata e radicale; negare questo, significa negare la realtà dei fatti.

Inoltre non è mai esistita una “doppia forma” siffatta di un unico rito. La differenza è, infatti, sostanziale e non meramente nominale o estetica. Non è il medesimo rito celebrato in “modi” o “forme” diverse come potrebbe essere una Messa bassa accanto ad una Messa cantata o a una Messa solenne in Tertio, qui si parla di due messali completamente diversi. Stiamo parlando cioè di una Messa la cui origine è pressoché irrintracciabile in una data precisa o riferibile ad un suo “inventore” o, se proprio ne vogliamo trovare Uno, dobbiamo riferirci direttamente a Nostro Signore Gesù Cristo, come dice San Paolo: «Ego enim accépi a Domino quod et tràdidi vobis, quoniam Dòminus Iesus in qua nocte tradebatur, accèpit panem, et gratias agens fregit, et dixit: Accìpite, et manducate: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradetur: hoc facite in meam commemorationem» (I Cor). L’“altra” Messa, invece, quella moderna, ha una data di nascita e un inventore ben precisi. Di essa sappiamo l’origine, le sue modalità di attuazione e le finalità a cui tale rivoluzione liturgica è stata indirizzata: la dissoluzione progressiva del dogma cattolico. Questo dogma che altro non è che il Canon Fidei ossia la regola della Fede, è racchiuso ed espresso nella fissità sempre nuova e mai bisognosa di riforma del rito romano antico. Oltretutto, per due forme dello stesso rito, di regola non dovrebbero esserci due messali i quali, se confrontati sinotticamente, “sembrano” appartenere a due religioni radicalmente diverse, l’una certamente cattolica l’altra un po’ cattolica ma anche un po’ no.

Ma senza dilungarci troppo su questioni liturgiche ampiamente dibattute da persone ben più autorevoli del sottoscritto, dobbiamo andare dritti al sodo. Si avverte oggi più che negli anni passati, la necessità di prendere le distanze in maniera netta e coraggiosa da un rito, che per la sua ambivalenza e ambiguità, non risulta essere uno strumento valido per conservare e trasmettere la Fede Cattolica. Questo perché non basta non dire eresie formali per restare nell’alveo cattolico, ma bisogna affermare l’integralità della verità giacché “ciò che non è affermato è negato”.
Paolo VI prima messa "protestantizzata"

Bisogna prendere posizione, non è più possibile tenere il piede su due staffe barcamenandosi tra i due riti.
Si vede infatti concretamente come coloro i quali hanno abbracciato la prospettiva ratzingeriana, si ritrovano oggi a frequentare (o celebrare) la Messa moderna al pari dell’Antica perdendo la nozione e il valore della Santa Messa di sempre, ridotta ad una mera “gemella ritrovata” della nuova. Non solo, in questa ottica bi-rituale si scivola progressivamente verso un affievolimento della devozione e del fervore che i Sacramenti eccitano in coloro che li ricevono. Tale raffreddamento della carità verso Dio e la sua Chiesa è il naturale esito di una posizione liberale di compromesso. Si entra così in una mentalità che potremmo definire dell’“indifferentismo rituale”. In altre parole, è indifferente l’una o l’altra Messa. Sono valide entrambe, dunque, sono cattoliche entrambe. Ma allora perché prendersela tanto se i novatores vogliono privarci della Messa tradizionale? Perché tanto rumore per nulla? Sarebbe più coerente e sensato dire: dato che l’importante è la grazia e la validità del sacramento, e visto che entrambe le Messe ce le assicurano in egual misura, teniamoci la Messa moderna e facciamola finita con queste diatribe archeo-liturgiche. Tanti strepiti e convegni solo per una sorta di nostalgico attaccamento archeologico? Solo perché la Messa tradizionale è parte del patrimonio della Chiesa? Sembra un’argomentazione piuttosto debole. Ma, a mio avviso, l’aspetto più deleterio e contraddittorio di questa ambivalenza, che di fatto è stata creata dal Summorum Pontificum, è l’esperienza di molti e buoni sacerdoti i quali, pur rendendosi conto dell’infinita differenza sussistente tra le due Messe, invece di optare in maniera definitiva ed esclusiva per la Messa di sempre, rimangono al centro di questo bivio sforzandosi di infondere elementi di cattolicità in una Messa, come quella inventata da Paolo VI e Bugnini che cattolica non è.

Sono, anzi, essi stessi a confessare che per rendere la Messa più “dignitosa”, più “edificante”, più “bella” o addirittura “più cattolica”, operano una sorta di collage prendendo parti del rito tradizionale trasfondendole nell’impianto del rito moderno, come ad esempio il salmo 42 all’Introito o il Canone in Latino, o mettendo un po’ di canto gregoriano, o celebrando coram Deo. Ma questo sia per loro che per i fedeli è un’attività frustrante e, in fin dei conti, deludente. Si vede cioè in questo tentativo e sforzo che certamente procede da una pia intenzione, una sorta di sdoppiamento di personalità, una schizofrenia liturgica che non rende giustizia né a Dio, né alla Chiesa né al sacerdote che offre l’Unico Sacrificio espiatorio. Questi sforzi di “cattolicizzare” un rito che di per sé può tranquillamente essere anche non cattolico a seconda del sacerdote celebrante, ha un qualcosa di alchimistico. Non a caso già sotto Benedetto XVI nel 2011, in occasione del convegno annuale “Summorum Pontificum”, il card. Kurt Koch preconizzava una futura “fusione” tra il rito moderno e il rito tradizionale, un ibrido! Evidentemente la tendenza dialettica di conciliare tesi e antitesi per creare una “sintesi” faustiana è proprio un vizio della mentalità germanica. Non ci si avvede, tuttavia, che questa stessa mentalità che vede la liturgia cattolica come un oggetto da assemblare, rifondere, riplasmare e costruire a seconda delle esigenze dei tempi è la medesima mentalità liberale espressa nel Concilio e che ha portato alla rivoluzione liturgica del 1969. Il liberalismo vede la dottrina cattolica come una verità in evoluzione e in continuo adeguamento o, come disse lo stesso card. Koch nel suddetto convegno, “un processo di autopurificazione”.
Ad oggi, sul fronte dei sostenitori del “Summorum Pontificum” e dell’ermeneutica ratzingeriana de “la riforma della riforma”, non sembra che si siano fatti passi avanti. Ancora si difende la fantomatica tesi della felice coesistenza delle due forme, e questo perché non si vuole ammettere che il problema della Chiesa contemporanea non risiede in un incomprensibile “post-concilio” caduto dal cielo senza radici, come un frutto inspiegabilmente avvelenato da un albero buono. Un velo impedisce agli occhi di coloro che si ostinano a difendere il Concilio Vaticano II di vedere la verità, e cioè che è proprio nell’ultima assise che risiede la causa dei mali, della confusione e della crisi che la Chiesa Cattolica sta attraversando nell’ora presente come un Calvario.

S.S. Benedetto XVI celebra "Ad Orientem" nella Cappella Sistina

Nonostante ci siano fedeli che chiedono e si avvicinano assetati alla fonte inesauribile della Grazia, i sostenitori del biritualismo confondono i semplici e li ingannano dicendo loro candidamente che entrambe le Messe sono uguali, si ci sono delle differenze, delle preghiere un po’ diverse, qualche segno di croce e qualche genuflessione in più o in meno, ma sostanzialmente sono cattoliche entrambe e, dunque, equivalenti. Quale schizofrenia per quei poveri sacerdoti che devono dividersi in due modi di vivere la fede così diversi, spaccati tra due liturgie, che possono predicare liberamente se si trovano nelle cerchie ristrette di fedeli alla Messa tradizionale ma che si devono trattenere ed autocensurare se si trovano in parrocchia o in contesti liturgici, diciamo, “pubblici”.

Urge che si gettino le maschere perché solo la Verità ci renderà liberi. La Messa di Paolo VI-Bugnini partorita da volontà umana, ricorda il concepimento di Ismaele frutto di un compromesso umano per realizzare i piani di Dio senza e contro l’intervento di Dio. La convivenza dei due riti è impossibile, tanto meno una fusione. Solo Isacco fu scelto da Dio per essere immolato, mentre Ismaele fu rigettato. Il Sacrificio è Unico perché Unica è la Vittima. Il Figlio legittimo, cioè l’erede, e il figliastro non avranno parte insieme. “Lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio invece vi resta per sempre” (Gv 8,35). Sembra riecheggiare oggi a noi l’intimazione di Sara al suo signore e marito Abramo: “Scaccia quella schiava e il suo figlio; ché non deve il figlio d’una schiava esser erede col figlio mio Isacco” (Gn 21,10).

Senza parole: quando fare la comunione non ha più nulla di sacro !

Certamente il Signore viene a richiedere oggi, come in ogni tempo, uno spirito di martiri. Bisogna essere disposti al martirio per poter abbracciare in maniera unica e indissolubile l’unico rito romano cattolico. Bisogna immolarsi per amore, rinunciando ad ogni doppiezza e ambiguità per dare la vita per la Santa Messa di sempre, per dare la vita per Cristo, per dare la vita per la Chiesa. Bisogna essere disposti ad essere abbandonati, perseguitati, cacciati, umiliati e disprezzati ma non è forse questa la via che il Signore stesso ci ha indicato per seguirLo e imitarLo e salvare così le anime nostre? “Qui vult post me venire abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me. Qui enim volùerit animam suam salvam facere, perdet eam; qui autem perdiderit animam suam propter me, inveniet eam” (Mt 16 24-26).

radiospada.org