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“La Croce ha le ali”... Tratto da “Trionfo del Cuore” - LA SOFFERENZA CHE DIVENTA BENEDIZIONE - Opera di Gesù Sommo Sacerdote - Famiglia di Maria

Il giornalista spagnolo, Manuel Lozano Garrido (1920-1971), chiamato “Lolo”, è riuscito ad accettare la sua malattia incurabile come un dono dalle mani di Dio, diventando così un vero apostolo della gioia. In modo mirabile ha creduto al mistero della “corredenzione” come vocazione di tutti i sofferenti. Nel 2010 è stato il primo giornalista beatificato.

Manuel Lozano Garrido nacque come quinto di sette fratelli e sorelle nella cittadina di Linares, in Andalusia, nel sud della Spagna. Era un bambino gaio, birichino, che amava la recitazione, il calcio e tanto la natura. In seguito alla prematura morte dei genitori, profondamente credenti, per i fratelli e le sorelle ebbe inizio un periodo molto duro. A undici anni Manuel entrò a far parte di un gruppo giovanile di Azione Cattolica, divenuto poi la sua famiglia spirituale. Qui si sviluppò il suo carattere altruista e pieno di buon umore, con il quale conquistò i suoi contemporanei, e la sua luminosa capacità di giudizio come anche i suoi alti ideali. Qui furono poste le fondamenta di un amore ardente verso Cristo, l’Eucaristia e la Madonna, un amore che diede le ali al suo zelo di guadagnare uomini per Cristo. Qui scoprì anche la sua passione per la scrittura: “A quindici anni mi fu abbastanza chiara la scelta della mia futura professione ... volevo diventare giornalista”.

Riusciremo!

Lolo aveva sedici anni quando nel 1936 scoppiò la Guerra Civile in Spagna e con essa una forte persecuzione della Chiesa. Furono proibite le funzioni religiose, molti sacerdoti e laici vennero arrestati e uccisi. Anche alcuni amici di Lolo, giovani di Azione Cattolica, subirono il martirio. Dall’unico sacerdote non arrestato della città Lolo fu incaricato di portare ai cattolici perseguitati la S. Comunione. Questa esperienza di portare con sé il Signore Eucaristico, durante la guerra, lasciò tracce profonde nel giovane Manuel. Fu presto scoperto, arrestato e imprigionato per tre mesi. Ma anche in prigione non perse il suo buon umore! Dopo la sua liberazione, Manuel, ad appena diciassette anni, dovette andare al fronte repubblicano.

Nel 1939, terminata la guerra, oltre agli studi per diventare insegnante, riprese il suo apostolato. Da quel momento operò instancabilmente come catechista, faceva visita ai malati, scrisse i suoi primi articoli, come responsabile della propaganda del centro giovanile di Azione Cattolica, e addirittura condusse un programma radiofonico. Nell’estate del 1940 Manuel partecipò ad un grande pellegrinaggio per giovani al Santuario della ‘Vergine del Pilar’ a Saragozza. Lì, davanti all’immagine della Madonna, un sacerdote ricordò ai presenti quei loro coetanei che, solo pochi mesi prima, avevano sacrificato la loro vita per Cristo e rivolse ai ragazzi la domanda che Gesù aveva posto a Giacomo e Giovanni: “Potete bere il calice che io bevo?”. Nel loro affetto ed entusiasmo i giovani risposero: “Lo possiamo!”. Manuel aveva vent’anni. Tre anni dopo il Signore gli affidò un calice colmo fino all’orlo, molto diverso da come Lolo se l’era immaginato. Nel 1942, mentre prestava di nuovo servizio militare a Madrid, comparvero progressivamente i segni di una grave malattia. Inizialmente accusò forti dolori alle gambe; poi in breve tempo non riuscì più a salire le scale. Solo dopo una visita a Madrid, la diagnosi fu terrificante: morbo di Bechterew, una malattia reumatica della spina dorsale, fino ad oggi incurabile, che, accompagnata da dolori insopportabili, porta inarrestabilmente alla paralisi totale! Manuel accettò questa croce incondizionatamente. Fu dimesso dal servizio militare con la diagnosi di ‘malato inguaribile’. Forse all’inizio prese il congedo come un dono, tuttavia, con il peggiorare della malattia, per i dolori e i periodi bui, dovette crescere sempre più nell’accettazione della croce. “Accettare la volontà di Dio... Noi diciamo: accetto, accetto! Ma lo facciamo come qualcuno che dà a Dio un assegno in bianco, sperando che la somma che Egli scriverà sarà la più bassa possibile. Accettare: una bella parola, nel nostro immaginario è un contatore a gocce. L’accettazione cristiana è molto di più che un accettare. Significa amare come un dono la volontà di Dio, sia quando Egli ci dà che quando ci toglie qualche cosa. Significa fidarsi completamente che tutto ciò che Dio fa o permette è pura bontà”. Egli chiese a Gesù solo questo: “Prestami il Tuo cuore per l’uno, i tre, i cinque anni che mi restano di vita. Il Tuo cuore, non per l’egoismo di poter realizzare tutto facilmente e senza sforzo, ma per adempiere al mio dovere di amarTi senza misura” .

La Consolatrice di Lourdes e la forza della Santa Eucaristia
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