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Francesco I
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Padre Pio, Fatima e il mistero della sofferenza vicaria - radioromalibera.org | Podcasts audio.

«Maria è l’unica sorgente che ha fatto sgorgare padre Pio e Fatima – si legge in “Padre Pio nella sua interiorità”, scritto da don Negrisolo, don Castello e Padre Manelli –. Due momenti di un’unica azione soprannaturale gestita da Maria, che ha il fine di stabilire il Trionfo del suo Cuore Immacolato, perché si realizzi il Regno di Cristo. È il fine per cui lavorò padre Pio, gloria vivente di Maria, in riparazione degli eventi futuri». Si potrebbe dire, in modo programmatico e aforistico, come fa Socci nel suo “Il segreto di padre Pio”, che «Fatima e padre Pio insieme sono la grande risposta del cielo all’origine del secolo del male».

Se AD 2017 è stato l’anno di Fatima con l’anniversario centenario delle apparizioni della Bianca Signora alla Cova da Iria, AD 2018 è l’anno di padre Pio, la cui memoria è ripresentata da ben due anniversari: il centesimo dell’impressione delle stimmate e il cinquantesimo della morte.
I tre anniversari concatenati, uno dopo l’altro, incentrati sull’evento-Fatima e l’evento-padre Pio, sembra siano l’occasione di cui Dio si serva per ricordare a tutti la grandissima attualità di questi due “segni” nel quadro dei problemi del mondo e della Chiesa odierni; da Fatima e da padre Pio parte un messaggio unico e consimile. Quale?

Una “corrente satanica”

Il sacerdote padovano don Attilio Negrisolo, figlio spirituale di san Pio da Pietrelcina dal 1946, in una sua catechesi sul Santo del Gargano, sosteneva che i secoli peggiori della storia dell’umanità sono tre: il II, il XV ed il XIX. Ma, oltre questi, ve n’è stato uno pessimo: il XX. «Oggigiorno – affermava – in modo particolare, vi è davvero una “corrente satanica”, che sconvolge tutto!».
Una lettura teologica della parabola storica dell’umanità, tuttavia, permette di notare come il declino del mondo prenda le mosse da un momento ben preciso. Nel memorabile Discorso agli uomini di Azione Cattolica nel XXX della loro unione del 12 ottobre 1952, il Venerabile papa Pio XII seppe tratteggiare il piano diabolico steso a tavolino e portato avanti dalle forze nemiche di Dio e della Chiesa, cogliendo l’essenza velenosa del processo rivoluzionario, che dura ormai da secoli.
Quell’attacco coordinato di forze avverse alla Fede cristiana e alla Chiesa cattolica a cui fa riferimento Pio XII ha, infatti, i suoi prodromi già nel XV-XVI sec. nel fenomeno dell’umanesimo del Rinascimento, che preparò il terreno a Lutero (prima rivoluzione), lavorò a piene mani nel XIX secolo dopo la tragica esperienza della rivoluzione anticristiana in Francia (seconda rivoluzione), per poi inalberarsi, violento, durante il XX secolo con il comunismo prima (terza rivoluzione) e poi con il Sessantotto, esito volgare di tutto il processo (quarta rivoluzione) che porta alle estreme conseguenze i principi velenosi e autodistruttivi che la Rivoluzione ha sviluppato nell’arco di sei secoli. Noi ci troviamo, attualmente, nel post-Sessantotto, che comporta tutto quello sfacelo e distruzione radicale, tale da non risparmiare alcun valore.

La Rivoluzione rinnega Dio

In questo senso, la Rivoluzione si presenta come la categoria filosofico-teologica che proclama – prima in modo sotterraneo e poi palese – il rinnegamento orgoglioso da parte dell’uomo del progetto di Dio sull’umanità, rimuovendo gradualmente i fondamenti su cui Dio aveva costruito l’economia della Salvezza e con cui ha rivelato Se stesso e la sua Misericordia all’uomo.
Il vantaggio che si ricava, così, dalla lettura dell’evento Fatima-padre Pio come un unico magistrale intervento della Provvidenza che vive di due fasi è quello di scorgere, in filigrana, un medesimo “programma” che accomuna e collega gli eventi, il messaggio e le profezie di Cova da Iria con la figura e l’opera del Santo stimmatizzato del Gargano. Sia l’uno che l’altro, a livello cronologico, cominciano la loro “missione” nel momento in cui la Rivoluzione assume il volto empio, ateo e blasfemo del Comunismo: le apparizioni della Bianca Signora alla Cova da Iria, infatti, iniziarono nel maggio del 1917 ed ebbero termine nel successivo ottobre, quando il Comunismo era appena sorto in Russia; san Pio da Pietrelcina, invece, cominciava la sua missione di “corredentore” e di “vittima espiatrice” ad un anno esatto da quegli eventi ossia con l’impressione delle stimmate visibili, il 20 settembre 1918.
Sarebbe già possibile da qui affermare che l’intervento “controrivoluzionario” di Dio nel XX secolo non solo non è mancato, ma è stato altresì proporzionato alla violenza con cui Satana, manovrando gli agenti della Controrivoluzione, si preparava a sferrare il suo crudele attacco alla Chiesa e al mondo.

Una profonda devozione per Fatima

Il Santo frate cappuccino nutriva una profonda devozione per il mistero di Fatima. Una delle ragioni principali era di certo quel messaggio corredentivo proposto dalla Vergine e incarnato dai tre veggenti, che trasmisero, con la loro vita ancor più che con le loro parole, l’urgente appello da Lei consegnato al mondo cento anni fa. Questa carità sacrificale è il più fruttuoso amore per i poveri del mondo, perché non ubriaca nell’illusione di salvarli dai mali sociali e dai disagi economici – ricordava il Signore: «I poveri li avrete sempre con voi» (Gv 12, 8) – ma, per mistero soprannaturale, realizza una “vicaria spirituale” tramite la preghiera e la sofferenza, per cui i veri amanti di Dio e delle anime liberano tanti loro fratelli dal peccato e dalle fiamme dell’inferno.

«Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?» (Memorie di Suor Lucia, I, 162)»: questa medesima richiesta, in modo sorprendente, il Signore l’avrebbe rivolta al santo frate di Pietrelcina.
Nel suo Il segreto di padre Pio, Antonio Socci faceva questa significava riflessione:
«La cosa veramente sconvolgente, indicibile, è la sofferenza vicaria, l’esistenza di vittime che silenziosamente, da tutti ignorate, si caricano di sofferenze per pagare colpe altrui, espiano per tutti, liberando anche tante anime del Purgatorio».
«Nei dolori diletto Dio»
Fu così per padre Pio. Egli scrisse:
«Gesù mi dice che nell’amore è Lui che diletta me; nei dolori invece sono io che diletto Lui. Ora, desiderare la salute sarebbe andare in cerca di gioie per me e non cercare di sollevare Gesù. Sì, io amo la croce, la croce sola; l’amo, perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Oramai Gesù vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è votato a Lui ed alle sue pene» [Epistolario I. Corrispondenza con i direttori spirituali (1910-1922)].
La missione dello stigmatizzato del Gargano fu quella di rinnovare e riattualizzare la passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Quel frate era davvero un alter Christus Crucifixus e da questo fatto fondamentale si spiegano tutte le altre cose straordinarie che avvenivano in lui e attraverso di lui: prodigi, miracoli, profezie, locuzioni, bilocazioni, ecc.
L’impegnativa missione affidata dal Cielo al frate di Pietrelcina comportava sofferenze fisiche e spirituali inaudite. Egli, con il trascorrere del tempo, comprendeva sempre più a fondo il significato di quelle sofferenze, che lo avevano segnato fin da piccolo.
Le piaghe dell’anima gli procuravano dolori ancora più profondi delle ferite del corpo: «prima dei chiodi alle mani ed ai piedi, l’anima era già crocifissa», ricordava a suoi direttori.

La “croce” che, come un “cireneo”, portava per espiare le colpe del popolo di Dio, si componeva di dolore corporale con le malattie e le stimmate; ma concerneva anche un’estenuante “flagellazione dell’anima” con le vessazioni diaboliche, le incomprensioni, le persecuzioni da lui tutte pazientemente sopportate ed offerte. I segni della passione, nel corpo del venerato padre Pio riattualizzano, come in una sorta di sacro memoriale, le sofferenze e la morte redentrice del Salvatore. Non avvenimenti dovuti al caso o ad una serie di circostanze più o meno fortuite, esse sono al contrario il sigillo di tutta la missione di Cristo.
La duplice dimensione della Croce
L’opera santificatrice e salvatrice del “cireneo del Gargano” si dispiega fondamentalmente nella duplice dimensione della Croce: quella verticale, nell’impegno di ascesi, di assimilazione a Cristo e di ricerca di Dio Padre, vissuta accettando le stimmate, la reclusione in convento e il peso del mistero sacerdotale; quella orizzontale, nell’impegno a salvare gli altri, a offrirsi vittima per i poveri peccatori, consapevole che la salvezza e la santificazione della anime sempre si paga e sempre si pagherà con la “moneta del dolore”.
Il mistero della sofferenza nella vita di padre Pio va letto essenzialmente in prospettiva cristologica e soteriologica, in quell’orizzonte cioè che disvela un autentico valore nella sofferenza, in quanto carica della “capacità redentiva”; ma è Cristo Crocifisso e Risorto cha ha dato alla sofferenza umana questa potenzialità radicale, dandole altresì un senso, un volto, un significato. Il patimento, dopo l’Incarnazione redentrice di Gesù Cristo, non sarà mai più segno dell’abbandono di Dio, bensì della partecipazione e comunione al grande mistero della redenzione da Lui attuata.

Vocazione alla sofferenza vicaria

Il primo volume dell’Epistolario del Padre attesta con chiarezza questa sua vocazione alla sofferenza vicaria mentre egli andava progressivamente disponendosi all’accettazione del volere divino.
In una lettera del 29 luglio 1910 si legge:
«parmi di racconsolarmi ed incoraggiarmi a sempre più correre nella via della croce. Soffro è vero, ma intanto non mi dolgo perché Gesù così vuole».
Degno di nota è anche uno scritto indirizzato al suo direttore spirituale, padre Agostino da San Marco in Lamis, in data 20 settembre 1912:
«Egli [Cristo, ndr] si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù».
È, in effetti, la “testimonianza autoconfessata” della chiamata del Signore, a lui rivolta, alla sofferenza vicaria.
Si legge in un’altra lettera del 27 agosto del 1918, scritta da padre Benedetto da San Marco in Lamis (a quel tempo direttore spirituale del giovane padre Pio) al sacerdote cappuccino, nel tentativo di offrire una spiegazione teologica della mistica grazia della trasverberazione del cuore, di cui padre Pio era da poco stato insignito:
«Tutto quello che avviene in voi è effetto di amore, è prova, è vocazione a “corredimere”, e quindi è fonte di gloria Il fatto della ferita compie la passione vostra come compì quella dell’amato sulla croce».

Il Bene trionferà

Questa immedesimazione al Cristo Crocifisso, così, ben più che semplice imitazione di Gesù, è piuttosto principio efficace di collaborazione attiva alla Redenzione, flusso vivo del Sangue di Cristo. Sarà mons. Piero Galeone a svelare quello che sembra uno dei più grandi misteri mai registrati dall’agiografia cristiana, che sortisce effetti meravigliosi in questi ultimi tempi e di cui la nostra generazione è testimone.
Ne parla sempre Antonio Socci nel suo Il segreto di Padre Pio:
«Mons. Piero Galeone ha rivelato un segreto che lascia senza parole: “Padre Pio mi rivelò di aver chiesto a Gesù e di aver ottenuto non solo di essere vittima perfetta, ma anche vittima perenne, cioè di continuare a rimanere vittima nei suoi figli, allo scopo di prolungare la sua missione di “corredentore” con Cristo sino alla fine del mondo. Egli mi ha detto e confermato di aver avuto dal Signore la missione di essere vittima e padre di vittime sino all’ultimo giorno”».
Le conseguenze di una simile rivelazione non possono che essere grandiose. C’è speranza. Il Bene trionferà.
Perché, come la Bianca Signora aveva promesso a Fatima:
«Infine il mio Cuore Immacolato trionferà».
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Questo testo di fra Pietro M. Pedalino è stato tratto dal periodico Radici Cristiane. È possibile acquistare la rivista anche on line o sottoscrivere un abbonamento, cliccando www.radicicristiane.it

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Tina 13
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