Sì, la mafia è un vero pericolo nell'emergenza coronavirus

Non perché lo scrive Die Welt, ma perché lanciano l'allarme la Direzione centrale anticrimine e gli esperti del settore: il crimine organizzato si muove per infiltrare l'economia legale in crisi

L’emergenza economica causata dal coronavirus sta apparecchiando la tavola per la mafia. A dirlo non è il famigerato editoriale del quotidiano tedesco Die Welt, che ha scandalizzato la politica italiana, a cominciare dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ma due circolari, vergate dalla Direzione centrale anticrimine (Dac) della Polizia di stato e spedite a tutti i questori. Il 27 marzo prima e il 4 aprile poi, il ministero degli Interni ha suonato il campanello d’allarme: tenere gli occhi aperti, vigilare sui settori più fragili e più colpiti dalle misure di contenimento del contagio, prevenire la corruzione e l’infiltrazione negli appalti pubblici e in sanità. Il rischio che la mafia si inserisca c’è ed è alto.

Aziende chiuse, negozi, bar e ristoranti con le saracinesche abbassate, lavoratori in panchina, famiglie che stanno intaccando i propri risparmi prestano il fianco alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Da aiuti immediati per fare la spesa a prestiti alle imprese in difficoltà, in una situazione di emergenza la mafia può sfoderare un'economia parallela e sommersa per consolidare il consenso sociale, incamerare pezzi di aziende pulite con cui lavare denaro sporco e arricchirsi, fare concorrenza sleale al mercato regolare e accaparrarsi sussidi di Stato o dell'Unione europea.

E poi c’è l’interrogativo sulla ripartenza. Perché, quando avverrà (il governo ha ormai posto come orizzonte il 3 maggio), “non si ripartirà a pieno regime e non si ritornerà subito a quanto si fatturava un mese fa”, osserva Mario Peserico, che ha la delega alla legalità in Confcommercio Milano, Lodi e Monza. “Ci stanno già arrivando le prime richieste di aiuto, da tutta Italia”, spiega Lino Busà, coordinatore nazionale di Sos impresa, l’associazione contro racket e usura di Confesercenti. Confindustria stima perdite fino a 100 miliardi di euro. L’istituto nazionale di statistica calcola che un lockdown fino a giugno costerebbe un calo del 9,9% nei consumi delle famiglie.

Come un terremoto

Per Transcrime, centro di ricerca sul crimine dell'università Cattolica di Milano, bisogna prepararsi a quello che si è già visto succedere dopo una calamità naturale, come un terremoto o un'esondazione. Eventi imprevisti, dirompenti, che mettono in ginocchio l'economia locale e attraggono investimenti per la ricostruzione, che “sono state occasioni prolifiche per le organizzazioni criminali”, ha scritto in una recente nota del centro il direttore, Ernesto Savona.

Per comprendere i rischi post-emergenza Covid-19, “il terremoto è un termometro importante”, gli fa eco Vincenza Rando, vicepresidente di Libera, associazione contro le mafie. Da L’Aquila all’Emilia, inchieste giudiziarie e processi hanno svelato l’assalto alla diligenza. L’altro parallelo, per Franco Mirabelli, senatore del Partito democratico in commissione Antimafia, è con la crisi del 2008. Più lunga e strutturale, ma che a sua volta ha spalancato varchi all’infiltrazione del denaro malavitoso.

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Denaro prêt-à-porter

Liquidità. È questa la parola magica, tant’è che titola anche l’ultimo decreto varato dal governo Conte: 400 miliardi di euro alle imprese. Già criticato da associazioni di categoria e imprenditori per tempi e modalità di erogazione. “Oggi le mafie possono arrivare prima dello Stato”, avverte Busà. Tradotto: hanno soldi, liquidi, pronti all’uso.

Lo scenario migliore per le mafie vede attività imprenditoriali fragili chiuse – spiega Savona -. Penso al piccolo commercio, le pmi, costruzioni, bar e ristoranti con problemi di liquidità, che trovano nella mafia un'opportunità immediata con prestiti a tassi bassi e la compartecipazione all'attività stessa”. Per l’avvocato Rando, “ci sono tutte le condizioni perché si insinuino in una filiera imprenditoriale che si regge sul quotidiano, presente in luoghi importanti del territorio e che finora ha fatto buona economia”.

I settori più a rischio sono la ristorazione, l’alberghiero (che nel solo ponte di Pasqua l’anno scorso fatturava 8 miliardi di euro, ricorda l’associazione di categoria Federalberghi), i negozi in franchising, i piccoli supermercati, tutta la filiera agroalimentare. Ma questa è una rassegna limitata, tant’è che la stessa Dac invita i questori a fare mappe delle criticità sul territorio. Perché ci sono altri tipi di imprese già permeabili all’infiltrazione mafiosa, come la logistica, che in questo periodo lavorano a pieno ritmo e “proprio per questo potrebbero attirare investimenti criminali”.

Il know how mafioso usa le piccole e medie imprese perché non sa gestire quelle ad alto valore aggiunto”, osserva Savona. E aggiunge: “Nella camorra abbiamo anche assistito al salto di qualità: l’imprenditore mafioso che diventa capo della cosca”.

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Le armi economiche

Sono vari gli strumenti che la mafia può mettere in campo. Primo: “Prestito a usura a tassi bassi”, osserva Busà. Nel 2017, un rapporto di Confesercenti e Sos Impresa ha evidenziato il peso crescento dell’usura di mafia, che ha acquisito “quote sempre più ampie del mercato del credito a nero”. Gli incassi del narcotraffico o delle scommesse accumulano somme considerevoli, che i boss possono prestare in poche ore, mettendo un piede dentro le aziende in difficoltà. L’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), relativa alle attività del primo semestre del 2019, sottolinea come per la ‘ndranghetasempre funzionali al reperimento di liquidità risultano le estorsioni e l’usura, spesso utilizzate come veri e propri cavalli di Troia per penetrare l’economia legale, attraverso la progressiva acquisizione di imprese “pulite””.

E questo scenario, delineato per la provincia di Vibo Valentia, si ripete tal quale da nord a sud. Rafforzato peraltro dal fatto che le denunce contro gli usurai sono rimaste costanti, e basse. Mentre in cinque anni, stimava Confesercenti, il taglio medio dei prestiti era passato da 90mila euro a 120mila, per un giro d’affari complessivo nel 2017 di 24 miliardi.

L’infiltrazione, spiega sempre la Dia, può avvenire con “imprenditori mafiosi se che si propongono come soci e finanziatori di imprese in difficoltà, salvo poi rilevarne la proprietà e acquisirne la gestione”. Contro il sistema di teste di legno e prestanome, ricorda Peserico, due mesi la Camera di commercio di Milano e la questura hanno siglato un protocollo per lo scambio di dati sensibili – per esempio sull’anagrafica del gestore di un locale pubblico – che potrebbe mettere sotto osservazione un’attività.

Poi c’è la corsa ai sussidi, sia nazionali che europei, e agli appalti. Soldi che la mafia è pronta a incamerare, intervenendo sulle imprese, ma anche sulle famiglie. Per esempio con la spesa: “Fanno servizio sociale di tenuta, che consente di espandere il consenso e di avere controllo sull’economia”, osserva la numero due di libera. Posizioni che un domani potranno consentire anche di distrarre aiuti di Stato, forme di sostegno al reddito o altri sussidi.

E Rando non nasconde le preoccupazioni “per il settore sanitario”. Secondo Mirabelli “dobbiamo evitare che in una fase di ripartenza si abbassino le tutele di legalità e si riducano i controlli e i criteri per la partecipazione agli appalti”. Per questo per l’avvocato “servono rigore e fiducia per ripartire. E il coraggio dell’etica. L’imprenditore deve dire: io i soldi della mafia non li voglio”.

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Questione internazionale

Come il coronavirus si è rilevata un’emergenza che non si può affrontare alzando barriere tra i paesi, così lo è la lotta alla mafia. “Questa è una crisi economica che riguarda l’Europa”, osserva Rando. Come europeo è il problema di tagliare i ponti tra la malavita e l’economia legale. Fenomeno già visto, ricorda Mirabelli, “durante la crisi del 2008.Io penso che molti paesi hanno le difese abbassate su questo tema: Spagna e Germania, dove la criminalità organizzata si è facilmente insediata”.

L’Unione europea, però, ha sviluppato alcuni anticorpi. Negli anni scorsi il centro Transcrime ha sviluppato con altre università europee un progetto, Marc, che ha messo a punto alcuni indicatori per sigillare leggi e regolamenti da distorsioni malavitose. In sostanza, si controlla, sia prima di emanare la norma, sia dopo la sua promulgazione, se questa è stata in qualche modo adoperata dalla criminalità per i suoi loschi affari. Sulla base di quello studio la Commissione europea ha adottato oggi una procedura di controllo che verifica i rischi criminali connessi a una direttiva, prima che sia emanata.

Serve capacità di analisi e di deduzione di sintomi predittivi, anche con strumenti tecnologici e big data, per chiudere la stalla prima che i buoi scappino – osserva Savona -. Semplificare le leggi e fare ex ante una valutazione dei rischi criminali connessi. C’è un modello a livello europeo. Perché non farlo anche in Italia?