È morta ieri notte in un ospedale di Buenos Aires Clelia Luro, la vedova dell'ex vescovo Jerónimo Podestá. Da arcivescovo di Buenos Aires, nel 2000, Jorge Mario Bergoglio aveva assisito Podestá sul letto di morte. E da allora era rimasto in contatto con la vedova telefonandole anche da Papa. Nel 1966 Podestà, quarantacinquenne vescovo della diocesi di Avellaneda, aveva incontrato Clelia - all'epoca trentanovenne, separata e madre di sei figlie - iniziando con lei una relazione che lo avrebbe portato ad abbandonare l'episcopato nell'anno successivo. Nel 1972 era stato dimesso dallo stato clericale e aveva sposato la donna.


La Luro, pochi giorni dopo l'elezione di Papa Francesco, aveva raccontato in un'intervista: «Un mese prima di morire Jerónimo (Podestá) mi disse: "Clelia, voglio andare a parlare con l'arcivescovo"». La donna gli chiese perché, dato che il predecessore di Bergoglio non l'aveva ricevuto. «È un gesuita molto intelligente, mi starà ad ascoltare» era stata la risposta dell'ex vescovo. «Rimasero a parlare per due ore, Jerónimo fu molto contento».


Quando Bergoglio seppe che Podestá era ricoverato, «mi telefonò chiedendomi se poteva chiamarlo. Gli risposi: certo, sarà contento. Gli dissi che stava nell'ospedale San Camillo e parlammo. Quando lo portarono in rianimazione, Bergoglio era impegnato in un'udienza, e la suora lo avvertì. Lui concluse l'udienza e venne». L'arcivescovo andò portando l'olio per l'unzione degli infermi. L'ex vescovo non era cosciente «ma mi strinse forte la mano», avrebbe raccontato Bergoglio alla donna.


«Io lo so che cosa ha significato per Jerónimo mentre stava partendo da questa vita la vicinanza di Bergoglio. L'arcivescovo disse alle suore: "Non mandate via Clelia dalla rianimazione, lasciatela fino alla fine. Prima mi lasciavano stargli vicino per soli quindici minuti. Da allora è nata la mia simpatia e la mia gratitudine per Bergoglio... È un uomo di gesti, e uno crede per i gesti». La donna nei mesi scorsi aveva raccontato delle telefonate intercorse anche dopo l'elezione.


A proposito del celibato sacerdotale, l'allora cardinale Bergoglio, nel dialogo con il rabbino Abraham Skorka pubblicato nel libro «Il cielo e la terra», aveva detto: «È un tema che viene discusso nel cattolicesimo occidentale, su sollecitazione di alcune organizzazioni . Per ora si tiene ferma la disciplina del celibato. C'è chi dice, con un certo pragmatismo, che stiamo perdendo manodopera. Se, per ipotesi, il cattolicesimo occidentale dovesse rivedere il tema del celibato, credo che lo farebbe per ragioni culturali (come in Oriente), non tanto come opzione universale».


«Per il momento - continuava Bergoglio - io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori... La tradizione ha un peso e una validità. I ministri cattolici scelsero gradualmente il celibato. Fino al 1100 c'era chi lo sceglieva e chi no... è una questione di disciplina e non di fede. Si può cambiare. Personalmente a me non è mai passata per la testa l'idea di sposarmi».


Quello che il futuro Papa non tollerava, era la doppia vita dei sacerdoti. «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna, io lo ascolto - diceva Bergoglio nel dialogo con il rabbino - cerco di tranquillizzarlo e poco a poco gli facco capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha anche diritto ad avere un padre con un volto. Io mi impegno a regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono, altri no. Alcuni purtroppo non vengono nemmeno a dirlo al vescovo».


Correggersi, per Bergoglio significa «fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità. A volte dico loro: "Se non sei in grado di sopportarlo, prendi una decisione"».

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