Il giorno di Natale, in Nigeria, lo Stato islamico – secondo quanto riferisce l’agenzia Asianews – ha “decapitato” 11 cristiani, che erano stati da loro catturati. I Jihadisti hanno rivendicato la strage come “messaggio ai cristiani del mondo intero”. Anche alla vigilia di Natale, in un villaggio cristiano vicino a Chibok, avevano ucciso sette persone e avevano rapito un giovane.

Tuttavia questo macello del terrorismo musulmano non sembra interessare ai nostri media e ai governi dell’Occidente (con l’eccezione di Boris Johnson che in questi giorni ha tuonato contro le persecuzioni ai cristiani e contro il boicottaggio a Israele).

A quanto pare solo se muoiono sui gommoni che affondano davanti alle coste libiche, in partenza verso l’Italia, le popolazioni africane fanno notizia e infiammano la coscienza dei “buoni” e degli umanitari.

La notizia degli undici cristiani decapitati a Natale e dei sette uccisi il giorno prima è caduta nella generale indifferenza (come altri episodi analoghi negli anni scorsi). Niente prime pagine, né titoloni. Niente proclami accorati di Bergoglio, che parla spesso di popolazioni africane, ma solo se si trasformano in migranti che vogliono arrivare in Italia e possono essere evocati contro Salvini e contro i cosiddetti “sovranisti”.

Per la povera gente dell’Africa che muore ammazzata nella sua terra non si accendono i riflettori, tanto più se sono cristiani (uccisi in quanto cristiani) e se a massacrarli sono gli islamisti. In Vaticano per loro nessuno s’indigna.

Eppure queste ultime stragi fanno parte di quella guerra, scatenata dai musulmani di Boko Haram e altri gruppi jihadisti, che in Nigeria, negli ultimi dieci anni, secondo i dati dell’Onu, ha fatto circa 36 mila vittime e due milioni di sfollati.

I cristiani sono il gruppo umano più perseguitato del pianeta. Secondo l’ultimo rapporto della World Watch List del 2019 sono saliti a 245 milioni i fedeli di Cristo che subiscono persecuzione. Su 150 Paesi monitorati, ben 73 mostrano un livello di persecuzione “alta, molto alta o estrema”. L’anno precedente erano 58.

Anche i martiri cristiani – uccisi per la loro fede – sono cresciuti: dai 3.066 del 2017 ai 4.305 del 2018. È un dramma che va avanti da anni, ma che da noi sembra aver commosso e indignato – ad esempio – più il mondo ebraico che le gerarchie clericali.

Tempo fa il Rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni lanciò l’allarme su queste persecuzioni che sembrano lasciare indifferente l’Occidente. Il mondo ebraico ben conosce la persecuzione, nella sua storia, così Di Segni intervenne sul “Foglio” con un articolo intitolato: “Colpevoli silenzi e reazioni insufficienti dietro il dramma dei cristiani”.

Scriveva: “La comunità ebraica non può rimanere indifferente davanti alle persecuzioni religiose che colpiscono oggi i cristiani in molte parti del mondo”.

Ma subito segnalava una strana “rimozione” collettiva: “La persecuzione dei cristiani, in un paese cristiano come l’Italia, non è notizia che solleva attenzione, l’attenzione che merita. O forse sono i sistemi di informazione che non la mettono al centro dell’attenzione”.

Poi aggiungeva qualcosa sulla Chiesa: “Si rimane perplessi dalla timidezza delle reazioni cristiane davanti all’entità degli orrori. Nell’esperienza della comunità ebraica, purtroppo vi sono stati tanti episodi recenti di intolleranza antisemitica; li abbiamo denunciati con forza e abbiamo ricevuto la solidarietà e la simpatia di molti. Per i cristiani perseguitati avremmo voluto dimostrare la nostra simpatia e solidarietà scendendo in piazza e manifestare, come molti hanno fatto per noi. Trovare qualcuno a cui esprimere solidarietà, per non parlare di una sponda organizzativa, è stata un’ardua impresa”.

Sono parole misurate, ma la sostanza è impressionante. Il Vaticano è insofferente di fronte a chi gli chiede di intervenire in difesa dei cristiani perseguitati. Non è animato dalla volontà di soccorrere i perseguitati, ma dal desiderio di non dispiacere né al mondo musulmano, né al mondo comunista.

Questo è anche il motivo dell’incredibile silenzio di Bergoglio sulle manifestazioni di massa a Hong Kong dove i cattolici sono stati in prima fila in difesa della libertà della città dal regime comunista di Pechino (a cui, peraltro, Bergoglio ha praticamente sottomesso la Chiesa perseguitata con il recente controverso accordo, contestato dagli eroici cattolici cinesi).

E’ uno strano silenzio, quello su Hong Kong, per un papa che a getto continuo interviene sulle questioni politiche di altri paesi, come l’Italia, dove i suoi attacchi ai “sovranisti” – anche durante le campagne elettorali – sono così faziosi da essere consonanti con quella Sinistra che, contro il centrodestra, lancia l’allarme fascismo (e che infatti esalta Bergoglio).

Di ritorno dal recente viaggio in Giappone, in aereo, Bergoglio non ha potuto più sfuggire alle domande dei giornalisti su Hong Kong, ma ha trovato il modo per eludere egualmente il problema dicendo che non conosceva abbastanza la situazione.

Una risposta imbarazzante, condita da parole di affetto per la Cina (“mi piacerebbe andare a Pechino, io amo la Cina”), che ha suscitato la gratitudine del portavoce del regime comunista e il deluso rammarico del leader pro democrazia di Hong Kong, Joshua Wong.

Bergoglio è, in genere, un sostenitore e propagandista delle cause del “pensiero unico” politicamente corretto (e sostanzialmente anticattolico). Ma non del cattolicesimo.

I cristiani – e specialmente quelli perseguitati – non vedono in lui un padre, né un loro difensore. Spesso nemmeno amico. Mentre si mostra amico di regimi persecutori come quello cinese.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 dicembre 2019

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