Il caso che ha suscitato più ironie, nella rivoluzione del politicamente corretto, è quello del parlamentare Usa Emanuel Cleaver, del partito Democratico, che, recitando la preghiera di inizio dei lavori del Congresso, ha concluso con “Amen and Awomen” (in realtà “amen” non è maschilista: è un’antica parola ebraica-aramaica che non c’entra nulla con l’inglese “men”).

Ormai la rivoluzione “politically correct” galoppa dappertutto, anche in Emilia dove un tempo sognavano altre rivoluzioni: il comune di Castelfranco Emilia ha deciso di usare sui propri canali social lo “schwa”(una “e” rovesciata) per promuovere un linguaggio inclusivo e non discriminatorio (così dicono) verso le donne o verso chi non si riconosce nel cosiddetto “binarismo di genere”.

Dunque scrivono: “A partire da mercoledì 7aprile moltǝ nostrǝ bambinǝ e ragazzǝ potranno tornare in classe!”, anziché “molti nostri bambini e ragazzi” (maschile che, nell’italiano corrente, include tutti).

Lo schwa è un segno grafico difficile da pronunciare. I napoletani, nel loro dialetto, usano un suono simile, per esempio nell’espressione mamm’t, ma non c’entra nulla con il “politicamente corretto”.

Se però si contesta l’uso del maschile universale, si dovrebbe cominciare a correggere anche quelle parole che finiscono in “a”, ma includono maschi e femmine. Sarebbe da ridere.

Si dovrebbe chiamare “dentisto” chi finora era “dentista”, ma è di sesso maschile. Così pure l’elettricista (che diventa elettricisto) o il pianista maschio (che diventa pianisto), il violinista maschio (violinisto) o il tassista (che diventa tassisto) o il barista, lo stilista e il marmista. Ma anche “socialista, comunista ed ecologista” – per i maschi – diventerebbero socialisto, comunisto ed ecologisto.

A Castelfranco però vanno oltre e, contro il “binarismo” maschio/femmina, aboliscono il genere stesso delle parole. È una conquista di uguaglianza? O è un altro traguardo grottesco del “politically correct”? Siamo sicuri che sia proprio ciò di cui oggi si sente il bisogno?

L’insospettabile Friedrich Engels, braccio destro di Marx, nell’“Anti-Dühring” osserva che “ogni rivendicazione di uguaglianza che va oltrefinisce necessariamente nell’assurdo”.

Quello emiliano sembra proprio un egualitarismo che “va oltre”. Rientra nella moda ideologica che è stata definita ironicamente “pertuttismo”. Ma è soprattutto ciò che è maschile a essere preso di mira, condannato come retaggio della “società patriarcale”.

Il filosofo francese Jean-Claude Michéa, nel suo libro “I misteri della sinistra: dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto”, indicava un caso emblematico di questa crociata ideologica contro il maschile, nell’iniziativa del partito di sinistra svedese (che aveva 22 parlamentari): “il 12 giugno 2012, quel partito ha depositato presso il consiglio regionale della contea di Sörmland un progetto di legge che punta a vietare a tutti gli ‘individui di sesso maschile’ di urinare in piedi. Il fatto – del tutto incomprensibile nel XXI secolo – che ancora non esista in Svezia una legge che stabilisca un modo di urinare che possa finalmente essere lo stesso per tutti costituisce infatti – agli occhi dei militanti di quel partito di estrema sinistra – una discriminazionevergognosa e ideologicamente inaccettabile (del resto, l’unica maniera democratica di urinare non poteva evidentemente essere quella imposta dalla norma maschile)”.

L’uguaglianza politicamente corretta nella minzione è garantita solo dal democratico catetere. Di questo passo lo imporranno a tutti?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 15 aprile 2021

 

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