Padre Cristoforo
F. Gonin, Padre Cristoforo
È uno dei frati cappuccini del convento di Pescarenico, padre confessore di Lucia e impegnato ad aiutare i due promessi contro i soprusi di don Rodrigo, non sempre con successo: è descritto come un uomo di circa sessant'anni, con una lunga barba bianca e un aspetto che reca i segni dell'astinenza e delle privazioni monastiche, anche se conserva qualcosa della passata dignità e fierezza. Viene introdotto nel cap. III, quando Lucia spiega di avergli raccontato in confessione delle molestie di don Rodrigo, e in seguito la giovane chiederà a fra Galdino di avvertire il padre di raggiungere lei e la madre prima possibile. Il personaggio compare direttamente nel cap. IV, attraverso un lungo flashback che racconta la vita precedente di Cristoforo e le circostanze che lo indussero a farsi frate: si chiamava Lodovico ed era figlio di un ricco mercante ritiratosi dagli affari, che viveva come un nobile e aveva allevato il figlio con modi signorili (il cognome del personaggio e la città non sono menzionati dall'anonimo, secondo la finzione dell'autore). Il giovane Lodovico, non accettato dagli aristocratici della sua città, era in cattivi rapporti con loro e a poco a poco era divenuto un difensore di deboli e oppressi, circondandosi di sgherri e bravacci coi quali compiva talvolta azioni inclini alla violenza. In seguito a un duello nato per futili motivi cavallereschi con un nobile noto per la sua prepotenza, Lodovico aveva ucciso il suo avversario ed era rimasto ferito egli stesso (nello scontro era morto un suo fedele servitore di nome Cristoforo); portato dalla folla in un convento di cappuccini per salvarlo dalla giustizia e dalla vendetta dei parenti del morto, Lodovico aveva maturato la decisione di farsi frate e aveva poi chiesto perdono al fratello dell'ucciso, scegliendo come nome quello di Cristoforo per espiare la morte del servitore da lui indirettamente provocata (il nome significa, etimologicamente, "portatore di Cristo"). Tutto questo spiega il fatto che fra Cristoforo conservi qualcosa dell'antico orgoglio nobiliare, nonché la sua abitudine a trattare coi potenti e l'indubbio prestigio che gode fra la gente del paese e delle terre vicine a Pescarenico; il rimorso che prova ancora per l'omicidio commesso lo induce a respingere ogni ipotesi di violenza e a rimproverare aspramente Renzo, ogni qual volta il giovane manifesta propositi vendicativi nei confronti di don Rodrigo.
È dunque con la carità e la fiducia nella Provvidenza che padre Cristoforo tenta di aiutare i due promessi: affronta don Rodrigo nel suo palazzo (V-VI) e tenta dapprima di farlo recedere dai suoi piani con parole diplomatiche, quindi lo attacca con empito oratorio accusandolo delle sue malefatte (il signorotto arriva a proporre che Lucia venga a palazzo e si metta sotto la sua "protezione"). In seguito, dopo la "notte degli imbrogli" e il fallito tentativo da parte di Rodrigo di rapire Lucia (VIII), consiglia ai due promessi di lasciare il paese e indirizza Renzo a Milano, dove dovrà rivolgersi a un suo confratello del convento di Porta Orientale, mentre Agnese e Lucia andranno a Monza e verranno accolte nel convento dove vive Gertrude, a cui sono presentate da un altro padre cappuccino. Entrambi andranno incontro a varie vicissitudini, in quanto Renzo verrà coinvolto nei tumulti del giorno di S. Martino e dovrà fuggire nel Bergamasco (XII ss.), mentre Lucia sarà rapita dai bravi dell'innominato grazie proprio alla complicità di Gertrude, amante di Egidio (XX). Nel frattempo don Rodrigo ottiene, grazie all'intervento del conte zio, che Cristoforo sia trasferito a Rimini, dove il frate si recherà in ossequio al voto di obbedienza, e da qui si porterà a Milano dopo lo scoppio della peste, per accudire gli ammalati nel lazzaretto: in questo luogo di sofferenza ritroverà Renzo che è in cerca di Lucia (XXXV ss.) e alla fine scioglierà il voto di castità che Lucia aveva pronunciato la notte in cui era prigioniera al castello dell'innominato. La notizia della sua morte a causa della peste verrà data a Lucia dagli altri cappuccini del lazzaretto (XXXVII).
Curiosamente, nel Fermo e Lucia era dapprima indicato col nome di padre Galdino (I, 3-4), poi il nome mutava in Cristoforo da Cremona (I, 4) e ciò avvalora l'ipotesi in base alla quale Manzoni si sarebbe ispirato alla figura storica di Cristoforo Picenardi, padre cappuccino originario di Cremona e vissuto agli inizi del XVII secolo, dalla giovinezza alquanto turbolenta (come il Lodovico manzoniano) e che prestò la sua opera di assistenza ai malati nel lazzaretto di Milano, dove morì anch'egli di peste. Il nome di Galdino nella redazione definitiva sarà invece attribuito al laico cercatore delle noci, che nel Fermo si chiamava fra Canziano (e compariva in quell'unico episodio).
Questi i capitoli in cui compare:
È dunque con la carità e la fiducia nella Provvidenza che padre Cristoforo tenta di aiutare i due promessi: affronta don Rodrigo nel suo palazzo (V-VI) e tenta dapprima di farlo recedere dai suoi piani con parole diplomatiche, quindi lo attacca con empito oratorio accusandolo delle sue malefatte (il signorotto arriva a proporre che Lucia venga a palazzo e si metta sotto la sua "protezione"). In seguito, dopo la "notte degli imbrogli" e il fallito tentativo da parte di Rodrigo di rapire Lucia (VIII), consiglia ai due promessi di lasciare il paese e indirizza Renzo a Milano, dove dovrà rivolgersi a un suo confratello del convento di Porta Orientale, mentre Agnese e Lucia andranno a Monza e verranno accolte nel convento dove vive Gertrude, a cui sono presentate da un altro padre cappuccino. Entrambi andranno incontro a varie vicissitudini, in quanto Renzo verrà coinvolto nei tumulti del giorno di S. Martino e dovrà fuggire nel Bergamasco (XII ss.), mentre Lucia sarà rapita dai bravi dell'innominato grazie proprio alla complicità di Gertrude, amante di Egidio (XX). Nel frattempo don Rodrigo ottiene, grazie all'intervento del conte zio, che Cristoforo sia trasferito a Rimini, dove il frate si recherà in ossequio al voto di obbedienza, e da qui si porterà a Milano dopo lo scoppio della peste, per accudire gli ammalati nel lazzaretto: in questo luogo di sofferenza ritroverà Renzo che è in cerca di Lucia (XXXV ss.) e alla fine scioglierà il voto di castità che Lucia aveva pronunciato la notte in cui era prigioniera al castello dell'innominato. La notizia della sua morte a causa della peste verrà data a Lucia dagli altri cappuccini del lazzaretto (XXXVII).
Curiosamente, nel Fermo e Lucia era dapprima indicato col nome di padre Galdino (I, 3-4), poi il nome mutava in Cristoforo da Cremona (I, 4) e ciò avvalora l'ipotesi in base alla quale Manzoni si sarebbe ispirato alla figura storica di Cristoforo Picenardi, padre cappuccino originario di Cremona e vissuto agli inizi del XVII secolo, dalla giovinezza alquanto turbolenta (come il Lodovico manzoniano) e che prestò la sua opera di assistenza ai malati nel lazzaretto di Milano, dove morì anch'egli di peste. Il nome di Galdino nella redazione definitiva sarà invece attribuito al laico cercatore delle noci, che nel Fermo si chiamava fra Canziano (e compariva in quell'unico episodio).
Questi i capitoli in cui compare:
Lucia spiega di avergli raccontato in confessione delle molestie di don Rodrigo. La giovane chiede a fra Galdino di farlo venire al più presto da loro.
Si reca di buon mattino alla casa di Agnese e Lucia. Con un lungo flashback, ci vengono narrate le sue origini: Lodovico, figlio di un mercante, uccide in duello un nobile e in seguito decide di farsi frate, ricevendo tuttavia il perdono del fratello dell'ucciso e, in pegno dell'avvenuta riconciliazione un pezzo di pane che conserva. Alla fine del capitolo giunge alla casa delle due donne. Ascolta da Agnese e Lucia il resoconto dell'accaduto, quindi le consola e riflette sul da farsi. Giunto Renzo, lo rimprovera e lo esorta a non farsi giustizia da sé. Va al palazzo di don Rodrigo per affrontare il signorotto e viene accolto al banchetto, durante il quale c'è una disputa cavalleresca. Chiamato a fare da arbitro, risponde che secondo lui non dovrebbero essersi sfide né duelli, suscitando l'ilarità del conte Attilio. Assiste in silenzio alle altre chiacchiere dei commensali, finché il padrone di casa si apparta con lui in un'altra sala. Parla con don Rodrigo al suo palazzo, tentando dapprima di farlo recedere dai suoi propositi in modo diplomatico, poi esplodendo di rabbia e accusando apertamente il signorotto, che lo caccia in malo modo. Prima di uscire, viene avvicinato da un anziano servitore che ha informazioni da rivelargli e gli promette di raggiungerlo l'indomani al convento. Alla fine il frate giunge alla casa di Agnese e Lucia. Riferisce a Renzo, Agnese e Lucia l'infelice esito del suo colloquio con don Rodrigo ed esorta nondimeno a confidare nella Provvidenza, del cui intervento afferma di avere già prova. Dice che il giorno seguente non potrà venire in paese e prega Renzo di raggiungerlo al convento, dove lui dovrà attendere il servitore di don Rodrigo, oppure di mandare lì una persona fidata. Se ne va e si affretta a tornare al convento prima di notte. Benché non venga narrato, ci viene fatto capire che il servitore di don Rodrigo lo informa del suo piano per rapire Lucia e che lui in seguito esorta Menico a dare l'avviso ai suoi protetti. Attende a tarda sera al convento l'arrivo di Renzo, Agnese e Lucia, rallegrandosi di vederli tutti e tre sani e salvi. Li fa entrare nel monastero, discutendo col laico sagrestano fra Fazio che trova irregolare la presenza delle due donne (lo mette a tacere con la frase Omnia munda mundis, "tutto è puro per i puri"). Informa i tre dei piani di don Rodrigo, dunque suggerisce loro di lasciare il paese e di rifugiarsi altrove (le due donne a Monza, Renzo a Milano). Consegna loro delle lettere da presentare a frati cappuccini una volta giunti a destinazione e prende in consegna le chiavi delle rispettive abitazioni. Dà loro indicazioni su come raggiungere un barcaiolo che li porterà al di là del lago e un barocciaio che li accompagnerà a Monza con un calesse. Si congeda dai tre con commozione e confidando nella Provvidenza divina. Apprende con preoccupazione che Renzo è ricercato dalla giustizia in seguito al tumulto di S. Martino, quindi scrive al padre Bonaventura per avere ragguagli (il cappuccino non saprà dirgli nulla). Accerta che Renzo è al sicuro nel Bergamasco e informa Agnese e Lucia tramite un pesciaiolo di Pescarenico. È costretto a lasciare il convento per le trame del conte zio. Viene chiamato dal padre guardiano del convento di Pescarenico, che lo informa dell'ordine da parte del padre provinciale di partire subito alla volta di Rimini. È rammaricato all'idea di lasciare i suoi protetti, ma confida nell'aiuto di Dio e accetta il comando con serena ubbidienza, chinando la testa di fronte al superiore. Raccoglie le sue cose, incluso il "pane del perdono" avuto dal fratello dell'uomo ucciso, e lascia il convento. Ritrova Renzo al lazzaretto di Milano, durante la peste, quando il giovane vi si è introdotto in cerca di Lucia: viene spiegato che il frate, rimasto sino allora a Rimini, allo scoppio dell'epidemia ha chiesto di essere mandato a curare gli appestati e la richiesta è stata accolta, anche per la sopravvenuta morte del conte zio. Apprende da Renzo delle traversie del giovane e di Lucia, rammaricandosi di aver mandato la giovane a Monza. Suggerisce a Renzo di cercare la ragazza nella processione dei guariti e in alternativa di accedere al quartiere delle donne. Rimprovera aspramente Renzo quando esprime propositi di vendetta verso don Rodrigo e poi gli mostra il nobile agonizzante, chiedendogli di pregare per lui. Si separa da Renzo. È raggiunto da Renzo mentre assiste un moribondo, quindi è informato da lui che Lucia è viva e guarita, ma anche dell'impedimento del voto, che per il giovane non vale. Afferma di dover parlare con Lucia, quindi chiede a Renzo di accompagnarlo da lei, non prima di essere andato a sincerarsi delle condizioni di don Rodrigo. Raggiunge Lucia e le chiede del voto, che poi scioglie in quanto la promessa è nulla. Si congeda dai due promessi, consegnando loro il "pane del perdono" dicendo di mostrarlo ai figli che avranno e di allevarli nella carità. La sua morte per la peste viene appresa da Lucia al lazzaretto. |