Parte del gruppo e

Gli effetti del coronavirus sull’organismo

Ecco una panoramica degli effetti nocivi del COVID-19 sull’organismo umano.

da Amy McKeever

pubblicato 22-02-2020

https://www.nationalgeographic.com/content/dam/science/2020/02/11/coronavirus-body/01_coronavirusbody_1198473034.jpg
Questa foto, scattata il 3 febbraio 2020, mostra un dottore che esamina una TAC del torace durante il giro di visite in un reparto in quarantena a Wuhan, l’epicentro dell’epidemia del nuovo coronavirus, nella provincia centrale cinese di Hubei.
FOTOGRAFIA DI STR/AFP via Getty Images

Nota dell’editore: questo articolo è stato aggiornato il 15 Marzo.

C'è ancora molto da scoprire sul nuovo coronavirus che sta lacerando il mondo, ma una cosa è certa: questa malattia può scatenare una tempesta nell’intero organismo umano. Questa era la natura anche degli scorsi coronavirus zoonotici, quelli passati dagli animali all’uomo, come la SARS e la MERS.

Diversamente dai loro "cugini" – che danno origine a comuni raffreddori – questi coronavirus emergenti possono far divampare un vero e proprio “incendio virale” in molti degli organi umani, e la nuova malattia - cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato il nome di “COVID-19” - non fa eccezione, nei casi gravi.

Questo spiega i tragici effetti che l’epidemia di COVID-19 ha già causato, superando il bilancio delle vittime della SARS, nel giro di qualche settimana. Il tasso di mortalità del COVID-19 sembra essere un decimo di quello della SARS, ma il nuovo coronavirus si è diffuso più velocemente.

Sono stati riportati focolai in oltre 50 Paesi con oltre 150.000 casi confermati e oltre 5.300 decessi. Nel frattempo, i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie(CDC) statunitensi hanno annunciato l’arrivo del virus anche in America e Trump ha vietato i viaggi dall'Europa in USA per 30 giorni. 

In Italia si contano oltre 21.000 contagi e 1441 morti: un contagio che ha portato Giuseppe Conte a estendere il decreto 8 marzo all'intero territorio nazionale dichiarando tutto il paese zona rossa. E dal 12 Marzo al 25 Marzo saranno chiusi bar e ristoranti (con la possibilità di effettuare servizio a domicilio se ci sono le necessarie condizioni igieniche), mercati su strada, centri commerciali, centri estetici, parrucchieri. Sospese le mense dove non è possibile tenere la distanza di un metro l’uno dall’altro. Rimarranno aperti i supermercati, le farmacie, i tabaccai e le edicole. L'Organizzazione mondiale della sanità ha definito così il Coronavirus una pandemia

Ma cosa succede all’organismo umano quando viene infettato dal coronavirus? Il nuovo ceppo è geneticamente così simile alla SARS che ha “ereditato” il titolo di SARS-CoV-2. E così, abbinando le prime ricerche sul nuovo focolaio alle lezioni imparate da SARS e MERS, si può formulare una risposta.

I polmoni: ground zero

Per la maggior parte dei pazienti il COVID-19 inizia e finisce nei polmoni, perché, come l’influenza, i coronavirus sono malattie respiratorie.

Si diffondono tipicamente mediante la tosse e gli starnuti delle persone infette, attraverso le micro gocce che possono trasmettere il virus ai soggetti che si trovano a stretto contatto. Anche i coronavirus si manifestano con sintomi simili a quelli tipici dell’influenza: i pazienti possono presentare dapprima febbre e tosse, che progrediscono poi diventando polmonite o peggio.

Dopo l’epidemia di SARS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò che la malattia tipicamente attaccava i polmoni in tre fasi: replicazione virale, iperattività immunitaria e distruzione del polmone.

Non tutti i pazienti hanno attraversato le tre fasi, in realtà solo il 25% dei pazienti affetti da SARS arrivarono all’insufficienza respiratoria, l’ultimo stadio dei casi più gravi. Allo stesso modo, il COVID-19, secondo alcuni dati, causa sintomi lievi nell’82% circa dei casi, e il resto sono casi gravi o critici.

Osservando meglio, il nuovo coronavirus sembra seguire altri pattern della SARS, afferma il Professore associato della University of Maryland School of Medicine Matthew B. Frieman, che studia i coronavirus altamente patogeni.

Nei primi giorni dell’infezione, il nuovo coronavirus invade rapidamente le cellule dei polmoni umani. Tali cellule sono di due tipi: quelle del primo tipo producono muco, le altre sono dotate di strutture simili a capelli, e sono pertanto chiamate ciliate.

https://www.nationalgeographic.com/content/dam/science/2020/02/11/coronavirus-body/02_coronavirusbody_1197870977.jpg
Membri dello staff medico che si abbracciano in un reparto di isolamento nell’ospedale di Zouping nella provincia meridionale cinese di Shandong.
FOTOGRAFIA DI STR/AFP via Getty Images

Il muco, per quanto ripugnante quando viene espulso, aiuta a proteggere i tessuti polmonari dai patogeni e assicura che gli organi preposti alla respirazione non si secchino. Le cellule ciliate “scuotono” il muco, eliminando corpi estranei quali pollini o virus.

Frieman spiega che la SARS tipicamente infettava e uccideva le cellule ciliate, che infine si staccavano, riempiendo le vie aeree del paziente con residui e fluidi, e ipotizza che lo stesso stia succedendo nel caso del nuovo coronavirus. Questo sarebbe il motivo per cui i primi studi sul COVID-19 hanno evidenziato che molti pazienti sviluppano la polmonite in entrambi i polmoni, accompagnata da sintomi quali il respiro corto.

Ecco dove inizia la fase due, ed entra in gioco il sistema immunitario. Allarmato dalla presenza di un’invasione virale, il nostro organismo si affretta a combattere la malattia inondando i polmoni con cellule immunitarie che hanno il compito di eliminare il danno e riparare il tessuto polmonare.

Quando lavora correttamente, questo processo infiammatorio è rigorosamente controllato e confinato solo alle aree infettate. Ma a volte il sistema immunitario va in tilt e queste cellule uccidono tutto quello che incontrano, incluso il tessuto sano.

“Il sistema immunitario provoca quindi in questi casi più danno che beneficio,” dice Frieman. Sempre più residui intasano i polmoni, e la polmonite peggiora.

Durante la terza fase, il danno a carico dei polmoni aumenta, e può arrivare a determinare insufficienza respiratoria. Anche se non sopraggiunge la morte, alcuni pazienti sopravvivono con danni permanenti ai polmoni. Secondo l’OMS, la SARS determinava nei polmoni la formazione di fori “a nido d’ape”, e questo tipo di lesioni sono presenti anche nei malati che hanno il nuovo coronavirus.

Questi fori sono probabilmente creati dalla risposta iperattiva del sistema immunitario, che crea cicatrici che proteggono e irrigidiscono i polmoni. Quando questo avviene, spesso il paziente deve essere sottoposto a ventilazione meccanica, per supportare la respirazione.

Nel frattempo l’infiammazione rende più permeabili anche le membrane tra le sacche d’aria e i vasi sanguigni, il che determina l’ingresso di fluido nei polmoni, compromettendo la loro capacità di ossigenare il sangue.

“Nei casi gravi, praticamente l’organismo riempie i polmoni di liquidi e non si riesce a respirare,” dice Frieman. “È così che le persone stanno morendo”.

Lo stomaco: un passaggio comune

Durante le epidemie di SARS e MERS, quasi un quarto dei pazienti aveva la diarrea - una caratteristica significativa di questi coronavirus zoonotici. Ma Frieman dice che non è ancora chiaro se i sintomi gastrointestinali abbiano o meno un ruolo fondamentale nell’ultima epidemia, dato che i casi di diarrea e dolore addominale sono stati rari.

Ma perché un virus respiratorio dovrebbe andare a infastidire gli organi addominali poi? Quando un qualsiasi virus entra nel nostro corpo, si mette in cerca di cellule umane dotate dei “passaggi” che preferisce: le proteine sull’esterno delle cellule chiamate recettori. Se il virus trova un recettore compatibile su una cellula, la può invadere.

Alcuni virus sono esigenti, e scelgono solo alcuni tipi di “passaggi”, altri invece sono un po’ più “promiscui”. “Possono con grande probabilità penetrare in tutti i tipi di cellule,” dice Anna Suk-Fong Lok, Vice rettore per la ricerca clinica della University of Michigan Medical School ed ex Presidente dell’American Association for the Study of Liver Diseases (Associazione americana per lo studio delle malattie epatiche).

Entrambi i virus di SARS e MERS possono penetrare nelle cellule che rivestono l’intestino e il colon ascendente e il piccolo colon, e tali infezioni sembrano prosperare negli intestini, e possono essere la causa del’anomalia o della perdita di fluido che poi diventa diarrea.

Ma Frieman dice che non sappiamo ancora se il nuovo coronavirus si comporti allo stesso modo. I ricercatori ritengono che il COVID-19 usi lo stesso recettore della SARS, e questo “passaggio” si può trovare nei nostri polmoni e nell’intestino tenue.

Due studi — uno sul New England Journal of Medicine e una prestampa in medRxiv che ha coinvolto 1.099 casi — hanno rilevato il virus anche in campioni di feci, il che potrebbe indicare che il virus potrebbe diffondersi anche per via fecale. Ma questo è tutt’altro che comprovato.

“Non sappiamo assolutamente se questo tipo di trasmissione fecale sia in atto per questo virus di Wuhan,” dice Frieman. “Ma sicuramente è presente nelle feci e sembra che le persone presentino sintomi gastrointestinali in associazione a questo”.

Tempesta di sangue

I coronavirus possono creare problemi anche in altri sistemi dell’organismo, a causa della risposta immunitaria iperattiva già menzionata. Uno studio del 2014 indicava che il 92% dei pazienti affetti da MERS presentava almeno una manifestazione del coronavirus al di fuori dei polmoni.

In effetti, segni di “attacco all’intero organismo” sono stati testimoniati in tutti i casi di coronavirus zoonotici: livelli elevati di enzimi epatici, bassa conta dei globuli bianchi e delle piastrine e bassa pressione sanguigna. In rari casi, i pazienti hanno sofferto di insufficienza renale acuta e arresto cardiaco.

Ma questo non è necessariamente un segno che il virus si stia diffondendo in tutto il corpo, dice Angela Rasmussen, virologa e ricercatrice associata della Columbia University Mailman School of Public Health. Potrebbe essere una tempesta di citochine.

Le citochine sono proteine usate dal sistema immunitario come segnali di allarme: esse radunano le cellule immunitarie sul sito dell’infezione. Le cellule immunitarie quindi uccidono il tessuto infetto nel tentativo di salvare il resto dell’organismo.

L’uomo si affida al sistema immunitario quando si tratta di difendersi dalle minacce. Ma durante un’infezione da coronavirus che sfugge al controllo, quando il sistema immunitario scarica citochine nei polmoni senza nessun criterio, l’azione delle cellule immunitarie da mirata diventa un tutti contro tutti, dice Rasmussen “invece di sparare al bersaglio con la pistola, è come usare il lanciamissili,” afferma.

Ecco dove nasce il problema: l’organismo non mira più alle cellule infette, attacca anche i tessuti sani. Le implicazioni si estendono al di fuori dei polmoni. Le tempeste di citochine creano un’infiammazione che indebolisce i vasi sanguigni nei polmoni e fa sì che i fluidi filtrino e penetrino nelle sacche d’aria. “Praticamente si sanguina dai vasi sanguigni,” dice Rasmussen. La tempesta si riversa nel sistema circolatorio e crea problemi a livello sistemico in più organi.

Da qui le cose possono volgere al peggio. In alcuni dei casi più gravi di COVID-19, la risposta delle citochine — abbinata a una minore capacità di pompare ossigeno al resto del corpo — può portare all’insufficienza di diversi organi. Gli scienziati non sanno esattamente perché alcuni pazienti presentino complicazioni al di fuori dell’area dei polmoni, ma questo potrebbe essere collegato a condizioni preesistenti quali cardiopatie o diabete.

“Anche se il virus non arriva a reni, fegato, milza e altri organi, può avere chiari effetti a valle su tutti questi organi,” dice Frieman. E qui la cosa si fa seria.

Fegato: danno collaterale

Quando un coronavirus zoonotico si diffonde dal sistema respiratorio, il fegato è spesso uno degli organi “a valle” che ne soffre. I medici hanno rilevato segni di danno epatico nei casi di SARS, MERS e COVID-19 spesso lievi, tuttavia i casi più gravi hanno portato a danni epatici più importanti e addirittura a insufficienza epatica. Quindi cosa accade?

“Una volta che il virus entra nel flusso sanguigno, può arrivare a qualsiasi parte del corpo,” dice Lok. “Il fegato è un organo molto vascolarizzato, quindi [il coronavirus] può arrivarci facilmente.”

Il fegato svolge un lavoro fondamentale per il corretto funzionamento dell’organismo. La sua funzione principale è quella di filtrare il sangue proveniente dallo stomaco, espellendo le tossine e creando nutrienti che il corpo può usare. Produce inoltre la bile, che aiuta l’intestino tenue a metabolizzare i grassi. Il fegato contiene inoltre gli enzimi, che accelerano le reazioni chimiche nell’organismo.

In un organismo normale, spiega Lok, le cellule epatiche muoiono continuamente, rilasciando enzimi nel flusso sanguigno. Questo organo pieno di risorse rigenera quindi nuove cellule e ricomincia il processo. Grazie a questo processo di rigenerazione, il fegato può sopportare una serie di eventi avversi.

Quando si hanno livelli elevati di enzimi nel sangue, tuttavia — caratteristica comune dei pazienti affetti da SARS e MERS — c’è un segnale di allarme. Potrebbe essere una lesione lieve dalla quale il fegato si riprende velocemente oppure può essere qualcosa di più grave, anche insufficienza epatica.

Lok dice che gli scienziati non hanno compreso del tutto le conseguenze dei virus respiratori nel fegato. Il virus potrebbe infettare direttamente il fegato, replicando e uccidendo le cellule lui stesso, oppure queste cellule potrebbero essere un danno collaterale a seguito della risposta immunitaria dell’organismo che scatena una grave reazione infiammatoria nel fegato.

Comunque sia, Lok precisa che l’insufficienza epatica non è mai stata la sola causa della morte dei pazienti di SARS. “Quando arriva a cedere il fegato,” continua, “spesso scopri che il paziente non solo ha problemi ai polmoni e al fegato, ma anche ai reni. A quel punto l’infezione è diventata sistemica”.

Reni: è tutto collegato

Il sei percento dei pazienti della SARS — e un quarto abbondante dei pazienti di MERS — presentavano gravi danni ai reni. Studi hanno dimostrato che il nuovo coronavirus può fare lo stesso. Può essere un risvolto relativamente poco comune della malattia, ma è fatale. In definitiva il 91,7% dei pazienti di SARS con compromissione renale grave sono morti, secondo uno studio del 2005 su Kidney International.

Come il fegato, i reni agiscono da filtro per il sangue. Ogni rene contiene circa 800.000 microscopiche unità distillanti chiamate nefroni. Questi nefroni hanno due componenti principali: un filtro per pulire il sangue e piccoli tubuli che restituiscono “benefici” all’organismo e smaltiscono i “rifiuti” nella vescica, sotto forma di urina.

Sembra che siano i tubuli renali le parti più colpite da questi coronavirus zoonotici. Dopo l’epidemia di SARS, l’OMS dichiarò che il virus era stato rilevato nei tubuli renali, che possono infiammarsi.

Non è raro trovare un virus nei tubuli, se questo è nel flusso sanguigno, afferma Kar Neng Lai, Professore Emerito dell’Università di Hong Kong e nefrologo consulente presso l’Hong Kong Sanatorium and Hospital. Dato che i reni filtrano continuamente il sangue, a volte le cellule tubulari intrappolano il virus causando un danno transitorio, o lieve.

Tale danno può diventare letale se il virus penetra nelle cellule e inizia a replicarsi. Ma Lai — che ha fatto anche parte del primo gruppo di ricercatori che hanno lavorato sulla SARS e ha contribuito allo studio di Kidney International — dice che non c’erano prove che il virus della SARS si stesse replicando nei reni.

Questo dato, dice Lai, suggerisce che il grave danno renale dei pazienti di SARS potrebbe essere dato da una diversa serie di cause, comprese pressione bassa, sepsi, trattamenti farmacologici o disturbi metabolici. Nel frattempo i casi più gravi che hanno portato a grave insufficienza renale hanno mostrato segni di tempesta di citochine.

L’insufficienza renale grave può essere causata a volte anche dall’assunzione di antibiotici, insufficienza di più organi, oppure ventilazione meccanica prolungata. Tutto è collegato.

Gravidanza e coronavirus?

Le riviste mediche hanno pubblicato diversi studi su questa epidemia - alcuni più controllati e autorevoli e altri meno, considerata la fretta dei ricercatori di fornire responsi. Nel frattempo i canali dell’informazione riportano ogni sviluppo. Tutte queste informazioni turbinano su internet, dove riuscire a discernere i fatti dalle bufale è un’impresa ardua.

“La situazione davvero non ha precedenti in termini di aggiornamenti “al minuto” sugli sviluppi degli studi sul tema,” dice Rasmussen. “È davvero complesso cercare di capire e distinguere tra tutte le informazioni i dati effettivamente supportati e validati dalle notizie speculative, e da quelle completamente false”.

Ad esempio i medici all’ospedale di Wuhan hanno dichiarato che due neonati sono risultati positivi al test del nuovo coronavirus, uno di questi a sole 30 ore dalla nascita. Naturalmente, questa inquietante dichiarazione è dilagata tra le agenzie di stampa, dato che sollevava la questione della possibile trasmissione del virus dalla mamma incinta al feto, o durante il parto o l’allattamento.

Ma freniamo un attimo. La trasmissione madre-neonato non è stata osservata nella SARS e nella MERS, nonostante i numerosi casi di donne incinte. In più, ci sono altri modi in cui un neonato potrebbe contrarre il coronavirus, dice Rasmussen, ad esempio nascendo in un ospedale congestionato dai casi di pazienti infetti durante una febbrile emergenza.

Infatti, uno studio pubblicato su The Lancet offre prove preliminari che il coronavirus non può essere trasmesso dalla madre al bambino. Nel report, i ricercatori osservano nove donne con polmonite da COVID-19. Alcune hanno avuto complicazioni della gravidanza, ma in tutti i casi i bambini sono nati vivi e non presentavano prove di trasmissione dell’infezione.

Questo studio non esclude del tutto la possibilità di trasmissione del virus in gravidanza, ma sottolinea la necessità di usare cautela nel formulare ipotesi sulla malattia. “È necessario che ci sia un elevato standard di prove a supporto, prima di poter fare affermazioni a riguardo — e sicuramente prima di cominciare a modificare la gestione dei casi a livello clinico o in termini di politica pubblica,” conclude Rasmussen.

Frieman concorda. Spera che questa epidemia apporti più finanziamenti per la ricerca sul coronavirus, come recentemente assicurato dall’Unione Europea e dalla Fondazione Bill & Melinda Gates.

Frieman aggiunge che è necessario che il supporto e l’interesse permangano anche dopo che l’epidemia sarà risolta, diversamente da quanto successo con la ricerca sulla SARS. “Subito dopo l’epidemia di SARS sembrava ci fossero un sacco di soldi, poi sono scomparsi,” dice Frieman. “Perché non abbiamo risposte? Perché nessuno finanzia queste cose".