Il 2020 è stato un anno di intenso raccoglimento, riflessione ed autocritica per il popolo ungherese. A giugno è caduto il centenario del trattato del Trianon, l’accordo di pace del primo dopoguerra che ha determinato lo smembramento dell’impero austro-ungarico e il ridimensionamento del territorio ungherese di due terzi, mentre ad agosto hanno avuto luogo gli annuali festeggiamenti di Santo Stefano, patrono d’Ungheria, durante i quali il primo ministro Viktor Orban si è rivolto alla nazione per parlare del futuro della nazione e della civiltà europea.

Un messaggio agli ungheresi

Il 15 agosto 1038 è il giorno in cui morì re Stefano (István király), il leggendario condottiero che riuscì nell’impresa storica di sedentarizzare i magiari e convertirli dal paganesimo al cattolicesimo, decretando la nascita del regno di Ungheria. Per le sue gesta, che non si esaurirono nella semplice cristianizzazione del popolo magiaro, il condottiero fu canonizzato il 20 agosto 1083 e dal 1771, per decisione della regina Maria Teresa, quella data è diventata il giorno in cui si celebra la festa della nazione.

Quest’anno, a causa della pandemia, la maggior parte degli eventi culturali tradizionalmente organizzati in memoria del santo patrono è stata annullata, e i festeggiamenti sono stati circoscritti ad uno spettacolo pirotecnico, all’inaugurazione del “Monumento di Coesione Nazionale” in cui sono elencati i 12mila villaggi e città perduti a causa del Trianon, e ad un seguitissimo discorso alla nazione da parte di Orban che, per via del suo contenuto, è stato tradotto e popolarizzato anche all’estero.

L’Ungheria è stata privata per sempre del suo impero a Versailles, ridotta ad una piccola entità statuale senza sbocco sul mare e carente di risorse naturali, ma Orban ha lavorato intensamente nell’ultimo decennio per ricostruire un’influenza informale in tutti quei territori persi nelle stanze del palazzo del Trianon, dalla Transilvania rumena alla Transcarpazia ucraina, comunicando alla nazione di essere riuscito a “compiere i nostri impegni per quanto riguarda il centesimo anniversario del Trianon” perché, oggi, gli interessi di Budapest non possono più ignorati e “i cento anni di solitudine sono giunti alla fine”.

Il compito delle generazioni future sarà quello di preservare i risultati conseguiti da Fidesz in una decade, perché “i popoli che vogliono il bene della loro patria e vogliono vivere le loro vite secondo il loro stile, devono combattere per la libertà ogni minuto, anche se ciò non sembra sempre così ovvio. […] La vita è un dovere ed è contraria allo zeitgeist. Il futuro dell’Ungheria dipende da questo. L’egoismo ha conquistato l’Europa, ma coloro che prevedono di compiere i loro obblighi non saranno perduti, non saranno tentati da desideri fatui, non saranno vinti dal vuoto egoismo”.

Un messaggio all’Europa

Dopo il paragrafo obbligatoriamente dedicato all’Ungheria, che è la vera protagonista del 20 agosto, Orban ha ritagliato dello spazio per parlare all’Europa, reiterando una visione geopolitica intrisa di messianismo esposta in maniera approfondita nel luglio 2018 a Băile Tuşnad (Transilvania) durante un lungo discorso indirizzato alla comunità magiara locale.

Il futuro della civiltà europea è cupo, questa è l’opinione del primo ministro ungherese, perché “l’Occidente ha rinunciato al potere della nazione, alla felicità derivante dal matrimonio e dai figli; hanno abbandonato l’Europa cristiana. Invece, stanno giocherellando con un cosmo senza Dio, con la migrazione, con le società aperte e con le famiglie arcobaleno”.

Quest’ultimo punto è estremamente importante perché Orban, pur essendo un conservatore, raramente ha rilasciato esternazioni pubbliche sul tema dei diritti lgbt, limitandosi a criticarli indirettamente parlando della necessità-dovere di difendere il tipo di famiglia voluto dal cristianesimo. Negli ultimi mesi, però, forse per via del clima aleggiante nella vicina Polonia, sia Orban che Fidesz hanno incrementato il ricorso alla retorica anti-lgbt.

Avendo l’Europa occidentale deciso di abdicare dal ruolo storico di Scutum saldissimum et antemurale Christianitatis, la missione di custodire i valori del messaggio cristiano e perpetuare quella visione specifica di civiltà è ricaduta sull’Europa centrale, corrispondente all’alleanza Visegrad. Ed è proprio nel corso di questo passaggio che Orban ha dimostrato un’incredibile consapevolezza circa le costrizioni che impediscono e impediranno all’Ungheria di guidare il fronte della rinascita identitaria, poiché la capacità di proiettare (anche culturale e ideologico) oltreconfine è stata ridotta permanentemente dal Trianon; ragion per cui ad assumere il timone dovrà essere la Polonia.

“Noi, quindi, proteggeremo i nostri confini e lasceremo la nostra patria ai nostri figli – non ai migranti. L’Occidente ha perso fascino ai nostri occhi. [Proteggere l’Europa cristiana] Sarà possibile soltanto se comprendiamo che spetta a noi, centro-europei, organizzare l’Europa centrale. I popoli dell’Europa centrale non hanno avuto un’occasione del genere per secoli: con la guida polacca, essi potrebbero adesso diventare padroni del loro fato, dal mar Baltico ai Balcani”.

Il discorso è terminato con la presentazione di un piano in sette punti per “la sopravvivenza dell’Ungheria” mescolante frasi ad effetto come “la patria esiste soltanto finché c’è qualcuno ad amarla”, slogan come “ogni bambino ungherese è un nuovo guardiano”, e messaggi subliminali come “i Paesi hanno confini, le nazioni no”. Quest’ultimo passaggio è un chiaro riferimento al disegno egemonico portato avanti da Fidesz nell’Europa centro-orientale per de-secolarizzare le minoranze magiare ritrovatesi a vivere sotto un’altra bandiera nel dopo-Trianon e che ha portato alla nascita di piccole enclavi etniche sotto il controllo di Budapest, soprattutto in Romania ed Ucraina.

L’asse con la Polonia

La decisione di evidenziare che il futuro dell’alleanza Visegrad e del progetto geopolitico ed ideologico non passa da Budapest, ma da Varsavia, è indicativo della piena fiducia riposta da Orban nella classe dirigente di Diritto e Giustizia (PiS). Sono Polonia e Ungheria i veri protagonisti dell’alleanza Visegrad, legati da una stretta collaborazione multidimensionale che spazia dalla condivisione dell’ideologia, come palesato dal recente accordo riguardante la protezione dei cristiani perseguitati nel mondo, al supporto reciproco in campo diplomatico, recentemente ribadito dalla decisione di Budapest di accettare e seguire la linea polacca sul dossier Minsk.

Polonia e Ungheria sono anche i principali giocatori nel panorama centro-orientale, due piccole potenze regionali in ascesa che, godendo del beneplacito statunitense, stanno poco alla volta realizzando una micro-egemonia all’interno dell’Unione Europea.

Nella stessa frase in cui Orban parla del ruolo-guida che dovrà assumere la Polonia nel condurre i popoli centro-europei a compiere il loro destino, che consisterebbe nel resistere alla spinta omologante e annichilente del liberalismo globalista e post-identitario occidentale, non va trascurato il riferimento al progetto di un’Europa centrale estesa “dal mar Baltico ai Balcani”, ovvero a quel progetto geopolitico noto come l’Iniziativa dei Tre Mari, che è sua volta ispirato alla visione del padre della Polonia moderna, Józef Piłsudski, nota come Intermarium (Międzymorze).