Intervista esclusiva a Fideliter,
n° 57, maggio 1987 

di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre
Fondatore della Fraternità San Pio X


Pubblicata sul sito della Casa Geralizia della FSSPX


Intervista rilasciata in esclusiva alla rivista Fideliter, organo ufficiale del Distretto francese della FSSPX
 


Se è mio dovere, consacrerò dei vescovi

Monsignore, la sua ultima dichiarazione pubblica è un violento atto d’accusa contro la riunione di preghiera di Assisi [27 ottobre 1986]… Non ha l’impressione di confondere l’ecumenismo di Papa Wojtyla con l’ideologia deformata del dialogo interreligioso – così in voga nel corso degli ultimi anni – che nega l’unicità storica della salvezza cristiana?

Mons. Lefebvre: Io vedo un solo tipo di ecumenismo: quello promosso dal Concilio, che sottolinea il rispetto e la collaborazione con le false religioni, poste sullo stesso piano. Si tratta di una nuova concezione che è stata imposta e che è in contraddizione con la Tradizione. Al posto della Chiesa «missionaria» è apparsa la nuova Chiesa «ecumenica». La riunione di Assisi consacra questa nuova Chiesa, è questo è enorme, scandaloso. D’altra parte, questa iniziativa ha un precedente significativo: un secolo fa, a Chicago, nel 1894, si tenne uno spettacolare Congresso delle religioni mondiali, al quale presero parte dei vescovi cattolici americani.
Se si accosta il discorso fatto allora da costoro a quello che il Papa ha rivolto ai cardinali lo scorso dicembre sullo «spirito di Assisi», si trovano delle analogie impressionanti.
Ma un secolo fa, il Papa Leone XIII ha condannato senza riserve la partecipazione dei vescovi degli Stati Uniti al Congresso di Chicago.
No, è uno scandalo, una blasfemia pubblica: si pensi ai missionari cattolici che, in Africa, hanno visto alla televisione i rappresentanti delle religioni animiste pregare ad Assisi su invito del Papa… Con quale spirito potranno continuare l’ardua opera di evangelizzazione fra le popolazioni che seguono questi riti pagani? Se la salvezza è possibile anche senza la conversione a Cristo nella Chiesa, e continuando ad adorare i propri falsi dei, che senso ha ancora la missione? Allora tutte le religioni sono uguali, buone… Se questo Papa fosse vissuto al tempo delle persecuzioni romane dei primi secoli, forse il cristianesimo avrebbe trovato un posto rispettabile nel Pantheon delle religioni.

Lei traccia una caricatura dell’ecumenismo del Papa! Giovanni Paolo II non ha mai detto che ogni religione è una via ordinaria di salvezza. Anche ad Assisi, egli ha proclamato senza equivoci la certezza che solo Cristo salva e porta a compimento il senso religioso naturale.

Mons. Lefebvre: Certo, la posizione del Papa non è quella del liberalismo puro, secondo il quale tutte le religioni si equivalgono. Ma si può parlare di cattolicesimo liberale, che pone al primo posto la coscienza e rende soggettiva la verità, che ciò nonostante professa. Lei non è d’accordo, ma se si esamina attentamente il protocollo seguito ad Assisi, si vede come la “filosofia” ispiratrice è stata quella di mettere su un piano di assoluta parità tutte le religioni rappresentate. Si può obiettare che il Papa sedesse al centro degli invitati, ma io sono sicuro che quand’egli si recherà a Tokyo, per la prossima edizione della riunione di preghiera, non essendo più il padrone di casa non occuperà più uno speciale posto di preminenza. Sarà uno tra gli altri.

Tuttavia, quando è uscito dall’udienza del 18 novembre 1978, il tono delle sue dichiarazioni era ben diverso: «Ho fiducia – ha detto – che con Giovanni Paolo II tutto diventi possibile». A cosa deve il suo cambiamento di attitudine?

Mons. Lefebvre: Ero stato colpito da un passaggio del suo discorso, nel quale affermava che il Concilio doveva essere letto alla luce della Tradizione. In fondo, mi sono detto, si può sperare in una revisione del Vaticano II. Ma la mia aspettativa è stata delusa. Chissà, forse sono stati gli uomini della Curia che gli hanno impedito di andare avanti su questa linea… Tutti sanno che in Vaticano agisce un’influente mafia liberal-massonica, senza il «placet» della quale non è possibile alcun cambiamento. Così si è arrivati al momento attuale della Chiesa in cui si celebra il trionfo del liberalismo.

Dopo questa udienza, lei non ha più incontrato il Papa in privato?

Mons. Lefebvre: No. Io ho avuto dei contatti ufficiali solo col cardinale Ratzinger, il cardinale Oddi e il cardinale Gagnon. A titolo più “ufficioso” ho anche incontrato il francese Jean Guitton, che dimostra di essere estremamente interessato al mio «caso».

Si può pensare che nel corso di questi incontri lei abbia discusso di eventuali soluzioni del suo «caso». Ce ne può parlare?

Mons. Lefebvre: La Santa Sede sarebbe disposta a «regolarizzare» l’esistenza della nostra opera, la Fraternità Sacerdotale San Pio X, alla quale venne ritirata nel 1975, con una decisione che io ritengo invalida sul piano giuridico, l’approvazione ecclesiastica accordata il 1 novembre 1970. E’ stato detto che il Papa sarebbe del tutto disposto ad erigere la Fraternità in Prelatura personale. Noi avremmo inoltre l’autorizzazione, già prevista in parte dall’indulto del 1984, di celebrare la Messa secondo l’antico rito di San Pio V. Il tutto a condizione, tuttavia, che noi si sottoscriva una dichiarazione di piena accettazione dei decreti e delle riforme del Vaticano II. Ma questo, in coscienza, non ci è possibile.

Il 29 gennaio 1979, lei ha dichiarato con soddisfazione ad un giornale svizzero: «Il Papa stesso mi ha detto che basterebbe una dichiarazione da parte mia nella quale io dico di accettare il Concilio secondo la Tradizione». Allora un accordo è sembrato possibile, o sono io che mi sbaglio?

Mons. Lefebvre: Anche il cardinale Ratzinger, quando fu nominato Prefetto del Sant’Uffizio, pensava che il nostro caso avrebbe potuto essere risolto in pochi mesi. Ma bisogna essere onesti. La frase che lei ha citato può essere interpretata in diverse maniere. Che significa “accettare il Concilio secondo la Tradizione?” Noi ne abbiamo parlato diverse volte, proprio con il cardinale Ratzinger, per lui questo significa che le tesi del Vaticano II dovrebbero essere integrate in quelle della Tradizione. Ma, integrare è un verbo ancora vago. A mio avviso bisogna distinguere. Vi sono alcuni testi conciliari evidentemente conformi alla Tradizione, che non pongono alcun problema: penso a Lumen Gentium, ma anche ad altri documenti come quelli sulla formazione sacerdotale e sui seminari. Vi sono poi dei testi ambigui, che tuttavia in certo modo possono essere correttamente «interpretati» secondo il magistero precedente. Ma vi sono anche dei testi francamente in contraddizione con la Tradizione e che non è possibile «integrare» in alcun modo: la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa, il decreto sull’Ecumenismo, quello sulla Liturgia. Qui l’accordo diventa impossibile…

Per quanto ne sappiamo, lei ha votato a favore del decreto sulla Liturgia…

Mons. Lefebvre: Sì, devo ammetterlo… ma non potevo prevedere fino a che punto sarebbe andata la riforma liturgica…

E lei ha celebrato per alcuni anni la Messa secondo il nuovo rito…

Mons. Lefebvre: Io ho celebrato la Messa secondo le nuove direttive liturgiche del 1965, ma mai secondo quelle definitive del 1968, che portano la firma di Mons. Bugnini. In ogni caso, è la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa che è il vero pomo della discordia, perché dall’introduzione di questo principio liberale nella Chiesa derivano gli altri errori. La rottura con la Tradizione in questo caso è evidente: undici Papi, da Pio VI a Pio XII, hanno condannato il liberalismo, e il Concilio l’ha approvato. Nessuno può convincermi che non esista una contraddizione. Quando nel corso dell’udienza che ho avuto a Castel Gandolfo nel settembre 1976, posi la questione a Paolo VI, egli mi rispose: «Non è questo il momento di parlare di teologia». Come se si trattasse di una questione puramente accademica!

E il cardinale Ratzinger, quale risposta le ha dato?

Mons. Lefebvre: Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede mi aveva chiesto di mettere per iscritto le mie opinioni e i miei dubbi su questo tema. E’ quello che feci, e nel novembre 1985 gli inviai uno studio di centocinquanta pagine dattiloscritte. Nel gennaio del 1986, egli mi rispose che aveva ricevuto questi documenti e che ne aveva apprezzato la cura filologica. Noi sappiamo che la Santa Sede ha chiesto a tutti gli episcopati di inviare a Roma uno studio sul tema della libertà religiosa e che l’episcopato francese ha già inviato il suo contributo. Il padre gesuita che ne è il redattore ha scritto: «E’ tragico che tutti i Papi del XIX secolo non abbiano compreso la verità cristiana che si trova nei principii della Rivoluzione francese». Come si vede, vi è rottura, e come!

Rivisitare il Vaticano II

Dati questi preliminari, la sola soluzione del «caso» Lefebvre che lei potrebbe accettare, sembrerebbe essere un pubblico disconoscimento del Vaticano II da parte del Sommo Pontefice. Ma, lo vedrebbe lei il Papa, una domenica mattina, affacciarsi in piazza San Pietro e annunciare ai fedeli che dopo più di vent’anni egli si è accorto che il Concilio si è sbagliato e che bisogna abolire almeno due decreti votati dalla maggioranza dei Padri e approvati da un Papa?

Mons. Lefebvre: Andiamo, via! A Roma si saprebbe trovare una modalità più discreta… Il Papa potrebbe affermare con autorità che alcuni testi del Vaticano II hanno bisogno di essere meglio interpretati alla luce della Tradizione, così che diventi necessario cambiare alcune frasi, per renderle più conformi al magistero dei Papi precedenti.
Bisognerebbe che si dica chiaramente che l’errore può essere solo tollerato, ma che esso non può avere dei «diritti»; e che lo Stato neutrale sul piano religioso non può né deve esistere. Ma, ovviamente, io non mi faccio illusioni: anche se il Papa volesse apportare queste correzioni, non potrebbe farlo. Quella «mafia liberal-massonica» di cui ho parlato prima non potrebbe tollerarlo.

Lei ha una certa tendenza a vedere «complotti» un po’ dappertutto. Cinque giorni prima di essere colpito dalla sospensione a divinis, scrivendo a Paolo VI, lei ha denunciato «un’intesa segreta tra gli alti dignitari ecclesiastici e massoni, stabilita  prima del Concilio».

Mons. Lefebvre: Ma, tutti i giornali americani hanno scritto che, prima del Concilio, il cardinale Bea, fondatore del Segretariato del Vaticano per l’ecumenismo, aveva incontrato all’hotel Astoria di New York i capi della più influente loggia giudeo-massonica, ed aveva chiesto loro che cosa si aspettassero dal Concilio. E quelli hanno risposto: «Una dichiarazione sulla libertà religiosa».

Lei ha più volte qualificato come difensori dell’«ordine cristiano» personaggi come Franco, Salazar e adesso Pinochet. I regimi dittatoriali sono dunque la sola possibile traduzione storica dello «Stato cattolico»?

Mons. Lefebvre: Prendiamo Pinochet. Io non dico che il suo regime sia perfetto, ma almeno troviamo i principii cristiani come programma fondamentale del suo orientamento politico. E’ un uomo di giustizia e d’ordine e favorisce la presenza della Chiesa cattolica, anche se i vescovi cileni – che paradosso! – non gli sono per niente riconoscenti. Sembra piuttosto che i vescovi cileni vogliano per il loro paese un nuovo Allende. Per fortuna, il popolo cattolico non li segue su questo punto. Io sono stato a Santiago un mese fa, per inaugurare l’apertura di una delle nostre chiese. Io credo che i fedeli ci seguirebbero in massa, se avessimo sacerdoti sufficienti, tanto sono esasperati dall’attitudine della loro gerarchia! Quando Pinochet è sfuggito ultimamente ad un attentato, nella capitale si sono svolte delle manifestazioni di solidarietà e di affetto nei suoi confronti. Molte di esse hanno avuto un carattere religioso spontaneo. La gente gridava: «Grazie, Vergine Santa, di aver protetto la vita del generale».

Può tracciare a grandi linee un quadro dell’estensione della sua Opera nel mondo?

Mons. Lefebvre: Noi siamo presenti in ventotto nazioni e su tutti i continenti, salvo l’Asia, benché stiamo progettando di fondare una casa in India. Noi gestiamo cinque seminari, quasi novanta priorati, diverse scuole a Parigi, un Istituto universitario. Duecento sacerdoti e cinquanta religiosi sono effettivamente membri della nostra Fraternità. Ma un ben più gran numero di sacerdoti e di suore, senza esserne membri, si riconoscono nella nostra Opera.

Un isolamento che è solo apparente

Il vostro crescente isolamento nella Chiesa, non le fa venire qualche dubbio?

Mons. Lefebvre: Il nostro isolamento è più apparente che reale. Numerosi vescovi e almeno una dozzina di cardinali mi hanno detto in privato che condividono la nostra posizione. Potrei fare nomi e cognomi. Io so per esempio che un certo numero di cardinali non erano d’accordo con la riunione di Assisi e hanno manifestato le loro riserve al Papa. Ma soprattutto, noi non ci sentiamo isolati rispetto al passato, alla Tradizione. Noi ci facciamo forti delle parole e del magistero della Chiesa che ci hanno preceduto.

Recentemente, due casi di defezione nei vostri ranghi hanno avuto un’eco discreta nell’opinione pubblica: i sei giovani seminaristi di Ecône e il convento di Padre Joly a Flavigny. Come lo spiega?

Mons. Lefebvre: I seminaristi sono stati influenzati da dei sacerdoti dall’esterno, che hanno ventilato loro lo spauracchio della scomunica. Ma, è normale che in un seminario si producano di tanto in tanto degli abbandoni. Bisogna dire che a fronte delle defezioni motivate dal nostro presunto «irrigidimento» nei confronti di Roma, ve ne sono altre motivate dalla nostra presunta «debolezza» nei confronti del Papa.

Parlare di «influenze esterne» è forse valido per quello che riguarda i seminaristi, ma questo non vale nel caso del Padre Joly.

Mons. Lefebvre: Egli è sempre stato un uomo molto chiuso. Era difficile entrare nel suo convento. Un giorno, quasi all’improvviso, egli ha deciso di accettare di nuovo la giurisdizione del vescovo di Digione. Strano. Era molto più tradizionalista di me. Io ho effettuato ventiquattro ordinazioni nel suo convento. Ormai dovrà celebrare la nuova Messa di Paolo VI.

La Fede cattolica in pericolo

Ammettiamo, come semplice ipotesi, che lei abbia ragione. Ora, la storia della Chiesa e la Tradizione dei suoi santi, non ci insegnano proprio che è la via diritta dell’obbedienza la sola che col tempo porta i suoi frutti?

Mons. Lefebvre: Se si trattasse solo di una difficoltà «disciplinare», io non avrei alcuna esitazione. Se Pio XII fosse oggi vivente e mi chiedesse di chiudere il seminario di Ecône, la mia obbedienza sarebbe immediata e senza problemi. Ma oggi, ciò che è in ballo è la Fede stessa. Io sento che la Chiesa «conciliare» cambia e mette in pericolo il centro della Fede cattolica. Per questo motivo l’obbedienza non è più possibile. Neanche il Papa ha il potere di cambiare la Fede, egli ne è solo il servitore. Accettare la libertà religiosa, l’ecumenismo, le riforme conciliari, per me significherebbe contribuire all’opera di «autodemolizione» della Chiesa. In coscienza, questo non mi è possibile. Il liberalismo del Papa distrugge dall’interno la Fede cattolica.

Scusi, ma quale definizione dà lei della Fede?

Mons. Lefebvre: La Fede è l’insegnamento della Chiesa nel corso dei secoli, conformemente all’insegnamento degli Apostoli.

Questa sembra una definizione della Tradizione piuttosto che della Fede…

Mons. Lefebvre: Allora le do un’altra definizione, quella contenuta nel giuramento antimodernista di San Pio X: la sottomissione dell’intelligenza e della volontà alla Rivelazione di Dio, perché Dio è l’autorità suprema e non può sbagliarsi.

E a lei sembra che veramente Paolo VI e Giovanni Paolo II abbiano cambiato in sostanza questo nocciolo fondamentale della Fede?

Mons. Lefebvre: Io penso che essi diano un’altra definizione della Fede. Per loro la Fede è un sentimento religioso, un atto interiore, soggettivo.

Soggettivo? Redemptor Hominis dice che «Cristo è il centro del cosmo e della storia»! il che è cosa diversa dall’interiorità pura!

Mons. Lefebvre: Ma allora perché mettono una così grande enfasi sulla coscienza, sul dovere di «rispettare» le coscienze? La coscienza è fatta per obbedire alla Rivelazione, non per se stessa. Il problema è che per gli ultimi Papi – cristianamente parlando – il «soggetto» viene prima dell’«oggetto». Mentre per la Tradizione della Chiesa è vero esattamente il contrario: l’oggetto precede il soggetto… Esiste dunque un obbligo morale di aderire alla Fede cattolica, obbligo che lo Stato, in quanto organizzazione suprema della comunità pubblica, può e deve riconoscere e privilegiare.

Senza negare un principio fondamentale della Tradizione, secondo cui, San Tommaso in testa, l’obbedienza al dato della Rivelazione, se non è pienamente libera e cosciente non è una vera obbedienza, si può discutere sulla validità storica o meno dello «Stato cattolico» nel mondo odierno; ma ciò che appare quanto meno esagerato è fare della sua necessità un articolo di Fede.

Mons. Lefebvre: A mio avviso, le questioni sono inseparabilmente connesse. L’accettazione del principio della «libertà religiosa», rivela una visione «soggettiva» della Fede. Il Papa Wojtyla può anche affermare che Cristo è il centro del cosmo e della storia, ma al tempo stesso percepire questa affermazione come l’«opinione» personale dei cattolici, negando così il carattere «esclusivo» e «cattolico», e cioè universale, della Fede. No, tutto ciò è inaccettabile, va contro la Tradizione, contro la Fede, e contro il magistero di undici Papi, da Pio VI a Pio XII. Io scelgo di seguire questi undici Papi e non gli ultimi due.

Ha consacrato segretamente un vescovo?

Monsignore, lei ha più volte minacciato di consacrare un vescovo che prosegua la sua opera. Alcuni pensano che lei lo abbia già fatto segretamente: può in coscienza smentire queste voci?

Mons. Lefebvre: Sì, nella maniera più categorica. Se lo farò, lo farò pubblicamente.

Quali circostanze dovranno presentarsi perché lei compia questo passo che comporta «ipso facto» la scomunica?

Mons. Lefebvre: Io aspetto un segno della Provvidenza. Quale, non lo so. Non sono pronto a farlo in fretta… forse tra un anno. Ma voglio precisare una cosa: i vescovi che consacrerò, se ne consacrerò, non avranno alcuna autorità speciale nella Fraternità. Essi avranno solo il compito di amministrare le ordinazione sacerdotali e di conferire la Cresima. Essi non avranno un territorio, una regione; la giurisdizione dell’Ordine appartiene al Superiore generale: è lui il capo della Fraternità, che invia le persone e fonda i priorati. Attualmente, il Superiore generale è Don Schmidberger, che è stato eletto dal Capitolo generale del 1982, con un mandato di dodici anni, quindi fino al 1994. E’ lui che mi succede come autorità all’interno della Fraternità.

Salvo errori da parte mia, lei ha utilizzato il plurale parlando di consacrazioni episcopali.

Mons. Lefebvre: Se in coscienza giudicherò necessario, per il bene dell’opera da me fondata, di compiere questo passo, non consacrerò uno, ma tre o quattro o forse cinque vescovi. L’opera ha delle case nel mondo intero e io devo tenerne conto pensando all’avvenire.

Ma, concretamente, cos’è che le potrebbe impedire di compiere questo atto apertamente scismatico?

Mons. Lefebvre: Se la situazione ecclesiale ritornasse normale, se si ritornasse alla Tradizione, non vi sarebbero più problemi.

Dio solo è maestro dell’avvenire

Monsignore, come immagina questo «ritorno» alla Tradizione? Pensa che possa prodursi nel corso degli anni che le restano da vivere?

Mons. Lefebvre: Dio lo sa. Chi può dire quali avvenimenti ci riserva il prossimo avvenire? Forse scoppierà un conflitto mondiale e la situazione cambierà radicalmente… Che il cambiamento avvenga sotto questo pontificato, per il momento sembra improbabile, quasi un miracolo. Ma chissà?

Al solo pensiero di concludere la sua vita non riconciliato con la Chiesa, quali sentimenti prova?

Mons. Lefebvre: Si possono considerare fuori dalla Chiesa solo coloro che non hanno la Fede, perché, nella Chiesa cattolica, la ragione fondamentale dell’unità è la Fede. Quelli che provocano lo scisma sono coloro che cambiano la Fede. Io sono certo di appartenere alla Chiesa cattolica di sempre, la Chiesa eterna…

Nella sua ottica, il Papa sarebbe dunque scismatico?

Mons. Lefebvre: Sì… forse… più o meno. Ma la riunione di Assisi costituisce un fatto gravissimo. E se il Papa, la cui funzione è di confermare nella Fede, non compie più il suo dovere, che fare? La situazione ha raggiunto il massimo grado di gravità. Io non vedo dei precedenti analoghi nella storia della Chiesa. Nel XIV secolo, un papa, Giovanni XXII, fu condannato e deposto da un Concilio speciale perché non fu trovato conforme alla dottrina cattolica su un punto. Oggi, è ancora peggio: non si tratta di un solo articolo, ma è tutto un contesto che non è più cattolico.

Veramente la minaccia di una scomunica da parte della gerarchia cattolica attuale la lascerebbe indifferente?

Mons. Lefebvre: Assolutamente indifferente. Quale valore può avere una scomunica decisa dall’attuale governo liberale della Chiesa? Per più di un secolo, i Papi conservatori hanno condannato e scomunicato i Lamennais, i Buonaiuti, i Loisy, perché liberali e modernisti. Oggi sono questi che detengono il potere nella Chiesa, e vogliono scomunicare i tradizionalisti e cioè i veri cattolici.




settembre 2017

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