Cerca
Logo
Cerca
+

"Mi dimetto alle 29.00". Gli errori al neon di Benedetto approvati dalla Segreteria di Stato

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Vai al blog
  • a
  • a
  • a

Scusate se ci torniamo sopra, ma qui sembra che la surreale gravità della questione non sia stata ancora messa a fuoco. Emergono ulteriori dettagli su come Benedetto XVI abbia scritto la sua Declaratio di “dimissioni”, (a detta di molti) formalmente invalida e certamente mai ratificata. Guarda caso, gli errori e i refusi individuati sottolineano con l’evidenziatore proprio questi due aspetti.

Come già vi abbiamo illustrato, illustri latinisti come Luciano Canfora e Wilfried Stroh, seguiti qualche mese dopo dal Card. Ravasi, ministro della cultura vaticano, si dissero sconcertati per almeno due grossolani errori di sintassi latina.

Sull’imponente biografia di Peter Seewald “Una vita” (Garzanti 2020) abbiamo approfondito lo straordinario curriculum di Ratzinger come latinista, traduttore e filologo. Per non appesantire la lettura riportiamo in fondo i dettagli*, ma vi basti sapere che egli dettava al segretario prediche in latino, traduceva quello difficilissimo di San Tommaso d’Aquino e, come afferma Heinz-Josef Fabry,  decano della facoltà di Teologia a Bonn: «La sua conoscenza profonda del latino e il linguaggio naturalmente elegante e forbito lo predestinavano in modo quasi automatico a essere membro di quelle commissioni che avevano contatti con la Santa Sede».

Eppure fa errori da terza media.

Sarà stata la fretta? No, scrive Seewald: “Mancavano ancora due settimane all’annuncio delle sue dimissioni, quando il papa si sedette alla sua vecchia scrivania in legno di noce per lavorare sulla formulazione del testo, che non doveva essere troppo lungo né troppo complicato. Doveva però essere preciso e prestare attenzione ai dettagli, al fine di prevenire controversie in riferimento al diritto canonico”. (Non c'è riuscito, a quanto pare).

Anche Ratzinger può sbagliare ogni tanto? In realtà: “Sotto il sigillo del segreto papale, venne informato anche un dipendente della SEGRETERIA DI STATO, che avrebbe dovuto verificare la correttezza della dichiarazione delle dimissioni in termini di contenuto, forma e lingua (in effetti, ne modificò poi leggermente lo stile in alcuni punti)”.

Uno specialista della Segreteria di Stato, scelto dal papa che per giunta migliora nello “stile” un latinista come Ratzinger secondo voi la conosce, o no, la lingua ufficiale della chiesa?

Eppure gli errori filtrati fino al pubblico ed entrati nella storia sono grossolani, inaccettabili, come ha dichiarato al Corriere in un articolo ormai (curiosamente) scomparso dal web il sommo filologo Luciano Canfora che scrisse il 12 febbraio 2013: “Nella frase di apertura, si legge pro ecclesiae vitae laddove avremmo desiderato pro ecclesiae vita».

Ma il secondo errore è ancora più grave: “un «intollerabile accusativo» al posto del dativo: commissum, collegato a ministerio: avrebbe dovuto esserci il dativo commisso”.

E a pensarci bene, l’errore cade proprio sulla parola ministerium, ente chiave la cui rinuncia, al posto del munus, è stata immediatamente individuata come il nodo tecnico-giuridico in base al quale le dimissioni non sarebbero valide. Che strana coincidenza.

Così come appare altrettanto curioso il fatto che un altro refuso cadesse proprio sull’ora X a partire dalla quale Benedetto “non sarebbe più stato pontefice”. Ratzinger scrisse “hora 29.00”: poi fu corretto in"hora 20.00", ma ormai il danno era stato fatto e la stampa lo aveva già ripreso.

Allora, capite bene che impiegare due settimane per scrivere 1.700 battute, con quel curriculum da latinista, per giunta con la verifica del funzionario della Segreteria di stato super-latinista e commettere errori da prima media proprio sulla parola che smonta completamente le dimissioni, rende - a meno di non avere il classico “prosciutto sugli occhi” – molto, molto improbabile che si sia trattato di una svista involontaria.

Per non parlare del fatto che su quelle ore 20.00 (ex 29.00) del 28 febbraio c’è stato scritto un libro del teologo Carlo Maria Pace dal titolo eloquente “Il vero papa è ancora Benedetto XVI”.  Infatti, Ratzinger annunciò alle 17.30 che non sarebbe stato più papa “dalle 20.00”, ma alle 20.00 non fece un bel nulla adducendo il fatto di non essere già più in carica. In realtà, potendo cambiare idea dalle 17.30 alle 20.00 avrebbe dovuto ratificare per forza un documento o dichiarare pubblicamente ancora qualcosa allo scoccare della scadenza, ma non l’ha mai fatto. QUI

Quindi, gli errori cadono esattamente sui due punti cardine su cui si basa la tesi dell’avvocatessa Estefania Acosta, di Don Minutella, di Frà Bugnolo e altri ecclesiastici che hanno pagato amaramente di persona la loro testimonianza, ovvero, che le dimissioni siano state appositamente costruite come invalide da Benedetto XVI - per la questione del ministerium - e che, volutamente, non siano mai state ratificate. QUI 

Gli errori, quindi, non avrebbero altra funzione che quella di “accendere luci al neon” per far concentrare i posteri sull’”inganno giuridico” grazie al quale Benedetto è ancora l’unico legittimo papa e Francesco un antipapa. Peraltro, abbiamo scoperto QUI che Ratzinger scrive  di essersi dimesso come il papa Benedetto VIII il quale, nel 1012, dovette rinunciare al ministerium perché scacciato da un antipapa.

Incredibile, vero?

E cosa pensereste se vi dicessimo che appena tre anni dopo, nonostante la figuraccia internazionale sugli errori, Ratzinger scrive al Corriere queste parole?   “Il testo della rinuncia L'HO SCRITTO IO. Non posso dire con precisione quando, ma al massimo due settimane prima. L’ho scritto IN LATINO perché una cosa così IMPORTANTE si fa in latino. Inoltre il latino è una lingua che conosco  COSI’ BENE da poter scrivere in modo DECOROSO. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche ERRORE”.

Semplici “LEGALISMI CLERICALI”, come ha detto ieri con disapprovazione Bergoglio, per la seconda volta in dieci giorni? Non sappiamo se il riferimento fosse a questo tipo di questioni, certo è che tali legalismi hanno il potere di cambiare la storia.

Se un sinodo stabilisse che le dimissioni di Benedetto furono invalide, addio chiesa bergogliana: annullato tutto con un tratto di penna.

________________

*Citazioni da “Una vita” di Peter Seewal- Joseph Ratzinger (Garzanti 2020).

Prima di tutto Ratzinger dovette familiarizzare con il latino dell’Aquinate per poter comprendere il mondo di concetti utilizzato da Tommaso. Dopodiché si accinse a tradurre in tedesco parola per parola. Joseph traduceva, il suo insegnante correggeva. «Fu un ardito lavoro pionieristico iniziato al più alto livello», ha ricordato Läpple.

Cinque decenni più tardi Ratzinger scrisse a Läpple: «Dandomi l’incarico di tradurre la Quaestio disputata di Tommaso d’Aquino sull’amore mi hai […] introdotto al mondo delle fonti, mi hai insegnato ad attingere da scritti di prima mano e ad andare a scuola direttamente dai maestri».

 A Monaco (con Uta Heinemann) avevano tradotto insieme le loro tesi di dottorato dal tedesco in latino.  

Sia la dissertazione sia la disputazione furono brillanti», ha commentato il futuro collega professore Hermann Theissing. Anche i genitori di Joseph erano impressionati, soprattutto dal latino con cui il figlio aveva motivato magistralmente le sue tesi.  

«In brevissimo tempo era entrato a far parte di tutte le commissioni di rilievo della facoltà», afferma Heinz-Josef Fa[1]bry. «La conoscenza profonda del latino e il linguaggio naturalmente elegante e forbito lo predestinavano in modo quasi automatico a essere membro di quelle commissioni che avevano contatti con la Santa Sede».

Nell’elenco c’erano temi come «la dottrina della Chiesa, in particolare il ministero episcopale» o la riorganizzazione della lettura del breviario. Il compito assegnato a Ratzinger era l’uniformazione redazionale delle proposte e la loro traduzione nella lingua ufficiale del Concilio, il latino.

Le relazioni di Ratzinger iniziarono ben presto ad arrivare puntuali, anche grazie alla sorella Maria, che nella casa di Bad Godesberg batteva a macchina pagina dopo pagina testi scritti in un latino impeccabile, che lei peraltro non aveva mai imparato.

La settimana successiva s’immerse nei testi latini, così da poter inviare il 14 settembre 1962 una relazione di tre pagine in latino, in cui esponeva la sua «impressione generale».

In seguito alla malattia, (Ratzinger) tutte le sere dettava al segretario le sue prediche in latino, le memorizzava e poi le ripeteva.

I suoi collaboratori rimasero meravigliati quando il nuovo capo (Ratzinger) diede inizio alla prima riunione parlando in latino. «Non parlavo ancora italiano. L’ho imparato a poco a poco, parlandolo. Ma a quei tempi tutti sapevano davvero il latino, quindi non fu un problema”.

Decise di tenere il suo discorso in latino; sentiva di padroneggiarlo meglio rispetto all’italiano, e lo trovava più appropriato.

Dai blog