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VIAGGIO APOSTOLICO A GINEVRA NEL 50° ANNIVERSARIO DELLA
 ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO (10 GIUGNO 1969)

VISITA DI PAOLO VI NEL CENTRO
DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE

Ginevra - Martedì, 10 giugno 1969

 

Signor Segretario Generale,
Cari Fratelli in Cristo,

Apprezziamo molto le vostre parole di benvenuto e rendiamo grazie a Dio per averCi concesso di fare una visita di fraternità cristiana nel centro del Consiglio ecumenico delle Chiese. Che cos’è, infatti, il Consiglio ecumenico se non un meraviglioso movimento di cristiani, di «figli di Dio che erano dispersi» (Io. 11, 52), e che sono ora alla ricerca di una ricomposizione nella unità? E qual è il senso della Nostra venuta qui, sulla soglia della vostra casa, se non quello di una gioiosa ubbidienza all’impulso segreto che qualifica, per precetto e misericordia di Cristo, il Nostro ministero e la Nostra missione? Felice incontro, in verità, momento profetico, aurora di un giorno futuro e atteso da secoli!

EccoCi dunque in mezzo a voi. Il Nostro nome è Pietro. E la Scrittura ci dice quale significato Cristo ha voluto attribuire a questo nome, quali doveri esso Ci impose: le responsabilità dell’apostolo e dei suoi successori. Ma permetteteci di ricordare anche altri nomi che il Signore ha voluto dare a Pietro per significare altri carismi.

Pietro è pescatore di uomini. Pietro è pastore. Per ciò che riguarda Noi, siamo convinti che il Signore Ci ha concesso, senza alcun merito da parte Nostra, un ministero di comunione. Certamente non per isolarci da voi egli Ci ha dato questo carisma, né per escludere tra noi la comprensione, la collaborazione, la fraternità e finalmente la ricomposizione dell’unità, ma bensì per lasciarci il precetto e il dono dell’amore, nella verità e nella umiltà (cfr. Eph. 4, 15; Io. 13, 14). E il nome che Noi abbiamo preso, quello di Paolo, indica abbastanza l’orientamento che Noi abbiamo voluto dare al Nostro ministero apostolico.

Voi avete inserito questo incontro pomeridiano nella storia delle nostre relazioni: anche Noi scorgiamo in questo gesto un segno manifesto della fraternità cristiana che esiste già tra tutti i battezzati e, pertanto, tra le Chiese che fanno parte del Consiglio ecumenico e la Chiesa cattolica. La comunione esistente attualmente tra le Chiese e comunità cristiane non è, purtroppo, che imperfetta; ma, come noi tutti crediamo, è il Padre delle misericordie che, per mezzo del suo Spirito, ci conduce e ci ispira. Egli guida tutti i cristiani nella ricerca della pienezza dell’unità che Cristo vuole per la sua Chiesa una e unica, affinché meglio possa riflettere l’ineffabile unione del Padre e del Figlio (Io. 17, 21) e meglio compiere la sua missione in questo mondo di cui Gesù è il Signore: «affinché il mondo creda» (ibid.).

È questo desiderio supremo del Cristo, è l’esigenza profonda della umanità credente e redenta da lui, che tengono la Nostra anima in una costante tensione di umiltà e di dispiacere per le divisioni che esistono tra i discepoli del Cristo; di desiderio e di speranza per il ristabilimento dell’unità tra tutti i cristiani; di preghiera e di riflessione sul mistero della Chiesa, impegnata, per se stessa e per il mondo, a riverberare e testimoniare la rivelazione fatta da Dio Padre, per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo. Voi comprendete come questa tensione raggiunge per Noi, in questo momento, un alto grado di emozione, che, invece di turbarci, rende al contrario più lucida che mai la Nostra coscienza.

Voi avete anche ricordato la visita che ha fatto a questo Centro, nel febbraio del 1965, il beneamato Cardinale Bea, e la costituzione di un gruppo misto di lavoro. Dalla creazione di questa «équipe», Noi abbiamo seguito con interesse la sua attività e Noi desideriamo dire, senza esitazione, come apprezziamo lo sviluppo di queste relazioni tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico, due organismi certamente molto differenti per natura, ma la cui collaborazione si è dimostrata fruttuosa.

Di comune accordo con il Nostro Segretariato per l’unità, personalità cattoliche competenti sono state invitate a partecipare alla vostra attività a titoli diversi. La riflessione teologica sull’unità della Chiesa, la ricerca di una migliore comprensione del significato del culto cristiano, la formazione profonda del laicato, la presa di coscienza delle nostre comuni responsabilità e il coordinamento dei nostri sforzi per lo sviluppo sociale ed economico e per la pace tra le nazioni, ecco alcuni esempi dei campi in cui questa collaborazione ha cominciato a prendere consistenza. Le possibilità di una comune visione cristiana del fenomeno della non-credenza, delle tensioni tra le generazioni e delle relazioni con le religioni non-cristiane sono state equamente esaminate.

Queste relazioni testimoniano il nostro desiderio di veder progredire le attuali iniziative, per quanto lo permetteranno le nostre possibilità di uomini e di risorse. Un tale sviluppo suppone che a livello locale il popolo cristiano sia preparato al dialogo e alla collaborazione ecumenica. Non è per questo che, nella Chiesa cattolica, la promozione dello sforzo ecumenico è stata affidata alle cure diligenti e alla prudente direzione dei Vescovi (cfr. De Oecumenismo, n. 4), secondo le norme stabilite dal Concilio Vaticano e precisate nel Direttorio ecumenico?

Certo, la Nostra prima preoccupazione è maggiormente la qualità di questa multiforme cooperazione che la semplice moltiplicazione delle attività. «Ecumenismo vero non c’è senza interiore conversione - dice il Decreto conciliare. - Poiché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente (cfr. Eph. 4, 23), dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità» (De Oecumenismo, n. 7). La fedeltà a Cristo e alla sua parola, l’umiltà di fronte all’azione del suo Spirito in noi, il servizio di tutti e di ciascuno, ecco in effetti le virtù che daranno alla nostra riflessione e al nostro lavoro la sua qualificazione cristiana. Allora soltanto la cooperazione di tutti i cristiani esprimerà vivamente l’unione, che già vige tra di loro e porrà in più piena luce il volto di Cristo Servo (cfr. ibid., n. 12).

A motivo di questa crescente cooperazione in sì numerosi campi di comune interesse, si pone talvolta il problema: la Chiesa cattolica deve diventare membro del Consiglio Ecumenico? Cosa potremmo Noi, in questo momento, rispondere a questo problema? In tutta fraterna franchezza, Noi non riteniamo che la questione della partecipazione della Chiesa cattolica al Consiglio ecumenico sia matura a tal punto che le si possa o si debba dare una risposta positiva. La questione rimane ancora nel campo delle ipotesi. Essa comporta gravi implicazioni teologiche e pastorali; esige di conseguenza studi approfonditi, ed impegna in un cammino che l’onestà obbliga a riconoscere che potrebbe essere lungo e difficile. Ma ciò non Ci impedisce di assicurarvi che Noi guardiamo a voi con grande rispetto e profondo affetto. La volontà che Ci anima e il principio che Ci dirige saranno sempre la ricerca piena di speranza e di realismo pastorale dell’unità voluta dal Cristo.

Signor Segretario Generale! Noi preghiamo il Signore di farci progredire nel nostro sforzo di adempiere insieme la nostra comune vocazione alla gloria del Dio unico, Padre, Figlio e Spirito Santo. LasciateCi terminare con le parole stesse di Gesù che saranno la nostra conclusione e la nostra preghiera: «Che siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, io l’ho data loro, affinché siano una sola cosa, come noi siamo una cosa sola: io in essi e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, e il mondo conosca che tu mi hai mandato, e li hai amati, come hai amato me . . . Ed ho fatto conoscere a loro il tuo nome, e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore col quale hai amato me, sia in essi ed io in loro» (Io. 17, 21-23, 26).

                                            



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