La pressione su Aleksandr Lukashenko aumenta con il passare dei giorni e il motivo non è (soltanto) la mobilitazione massiccia della società in favore di Svetlana Tikhanovskaya. L’Unione Europea, guidata dal duo Polonia–Lituania, si è riunita in consiglio nella giornata di venerdì, annunciando la prossima introduzione di sanzioni, e a ciò ha fatto seguito una dichiarazione del Parlamento Europeo che misconosce l’esito elettorale, invoca aiuti all’opposizione e presenta delle minacce all’indirizzo del Cremlino.

La posizione dell’Ue

I primi membri dell’Ue ad intromettersi negli affari interni bielorussi sono stati Polonia e Lituania, il cui interesse per il destino del Paese è dato dalla condivisione di una visione egemonica mirante alla creazione di un cordone sanitario dal mar Baltico al mar Nero in funzione antirussa e, a latere, antitedesca.

Ma ridurre l’intera questione ad uno scontro tra Paesi dell’Europa orientale è riduttivo, oltre che sbagliato, perché la verità è che è l’intera Unione Europea a cercare un cambio di regime. Lukashenko, pur avendo dato prova di un genuino interesse verso l’Occidente, resta il padrone di un sistema autoritario di stampo neosovietico, perciò le attenzioni di Bruxelles sono ricadute sulla Tikhanovskaya, una giovane liberale che, oltre a volere migliori rapporti con l’asse euroamericano, vorrebbe democratizzare il Paese.

Nel pomeriggio del 14, i ministri degli esteri dei 27 si sono riuniti in teleconferenza per discutere del dossier Minsk su iniziativa di Varsavia e Vilnius. Il vertice si è concluso con una presa di posizione tanto dura quanto chiara e netta: l’Ue non riconosce l’esito elettorale, ritenuto frutto di brogli, pertanto avrebbe iniziato a studiare un pacchetto di sanzioni mirate contro la squadra di Lukashenko e “ad aumentare il supporto al popolo bielorusso, incluso un impegno potenziato e finanziario verso la società civile, e sostegno addizionale all’informazione indipendente”.

Anche la Francia ha voluto cavalcare l’onda del malcontento, sfidando il duopolio polacco-lituano. Nelle città francesi, fra le quali anche Parigi, hanno iniziato a comparire messaggi di solidarietà verso i manifestanti bielorussi, sulla falsariga di quanto avvenuto nelle città polacche e lituane, e, il 16, il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato che è un dovere dell’Ue sostenere la mobilitazione dell’opposizione e far sì che perduri.

Il 17 è stato il giorno della svolta. La Tikhanovskaya ha registrato un video-messaggio dalla Lituania, nella quale si è rifugiata dopo lo scoppio dell’insurrezione, preannunciando al mondo l’intenzione di autoproclamarsi presidente: “Io non volevo essere una politica, ma il fato ha voluto che mi trovassi in prima linea in un confronto contro il potere arbitrario e l’ingiustizia. Sono pronta ad assumermi la responsabilità e ad agire come leader nazionale per riportare il Paese alla tranquillità”.

A poche ore dalla diffusione del video-messaggio, i dirigenti dei principali gruppi politici del Parlamento Europeo, fra i quali l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici e il Partito Popolare Europeo, hanno rilasciato un’importante dichiarazione comune nella quale è condensata la posizione di Bruxelles sui fatti di Minsk.

Nella dichiarazione si legge che “le elezioni presidenziali del 9 agosto non sono state né libere né giuste, e rapporti credibili suggeriscono una vittoria di Svetlana Tikhanovskaya. Noi, perciò, non riconosciamo Aleksandr Lukashenko quale presidente rieletto della Bielorussia e lo consideriamo persona non grata all’interno dell’Unione Europea. Ci uniamo al popolo bielorusso nella richiesta di nuove e libere elezioni”.

Un passaggio molto importante riguarda l’uso della forza da parte delle autorità nei primi giorni di scontri, perché i parlamentari europei chiedono “un’indagine sui crimini commessi, che non possono restare impuniti. A questo proposito, ricordiamo ad Aleksandr Lukashenko la sua responsabilità”. In breve, se un’inchiesta sul modus operandi delle forze dell’ordine dovesse essere aperta, si sottolinea che il presidente bielorusso potrebbe rispondere personalmente delle violazioni accertate.

L’importanza della Bielorussia

Il mondo russo ha iniziato a restringersi all’indomani dell’implosione dell’Unione Sovietica e il Cremlino non ha potuto fare nulla per fermare l’accerchiamento occidentale, essendo caduto preda simultaneamente dei separatismi etno-religiosi, dell’anarchia sociale e di una tremenda crisi economica. Fra l’inizio degli anni ’90 e la prima parte degli anni 2000, la Russia ha assistito inerte all’inglobamento nell’orbita euroamericana dell’intero ex patto di Varsavia e all’allargamento ad Est della cortina di ferro, sullo sfondo di una serie di rivoluzioni colorate che ne hanno comportato la quasi totale estromissione dai Balcani e del Caucaso meridionale.

L’ultimo grande traguardo in ordine cronologico è stata Euromaidan, l’evento spartiacque che ha sancito l’inizio di una nuova guerra fredda fra l’Occidente e la Russia. La storica perdita dell’Ucraina ha ridotto la presenza russa nel Vecchio Continente a soli tre Paesi: Serbia, Moldavia e Bielorussia. Fra i tre, è l’ultima a rivestire un’importanza geostrategica agli occhi dell’Occidente.

In primo luogo, dal dopo-Euromaidan, Minsk è l’ultimo ostacolo all’accerchiamento definitivo della Russia nel versante europeo, ed è in questo contesto che si inquadra il riorientamento dell’agenda estera della Casa Bianca da Kiev (il cui protettorato è stato affidato a due alleati fedeli, Polonia e Turchia) a Minsk.

Se l’insurrezione post-elettorale dovesse trasformarsi in una rivoluzione colorata in stile Euromaidan, portando all’effettiva caduta di Lukashenko, si assisterebbe alla presa del potere da parte di una nuova dirigenza politica, liberale e filo-occidentale, della quale la Tikhanovskaya è la migliore espressione, che trasporterebbe il Paese fuori dalla sfera d’influenza russa in tempi rapidi.

La Bielorussia non entrerebbe semplicemente a far parte dell’Occidente, e quindi dell’Ue e dell’Alleanza Atlantica, ma verrebbe inglobata all’interno di un cordone sanitario panslavo – ma antirusso – esteso dal mar Baltico al mar Nero, la concretizzazione dell’Intermarium (Międzymorze) di Józef Piłsudski, il padre della Polonia moderna, che altro non è che una versione attualizzata della confederazione polacco-lituana.

Da diversi anni le classi dirigenti di Varsavia e Vilnius stanno portando avanti un’agenda comune tesa alla costruzione di questo blocco geopolitico, culturale ed economico intra-europeo, iconicamente rappresentato dall’E40. Mentre la Polonia sta concentrando gli sforzi sulla sponda meridionale, rappresentata dall’alleanza Visegrad e dall’Ucraina, la Lituania sta invece guidando la fusione dell’area baltica; l’unico ostacolo alla realizzazione del progetto è proprio la Bielorussia.