Motu Proprio
Sacrorum Antistitum

di San Pio X


  1 settembre 1910


Trascriviamo il testo in italiano di questo Motu Proprio del santo Papa,
come tradotto a suo tempo dal Centro Studi Agostino Barruel
http://progettobarruel.comlu.com/novita/13/Pio_X_Sacrorum_Antistitum.html;
traduzione che abbiamo ritenuto opportuno rendere più aderente al testo originale in latino.

Con questo Motu Proprio, San Pio X prescrisse il “Giuramento Antimodernista”,
abolito da Paolo VI nel 1966, dopo il Vaticano II, senza che, a quanto ne sappiamo, esista alcun documento in proposito.

Circa il testo italiano dei punti da I a VII, con la relativa introduzione, trattandosi di testo tratto dall’Enciclica Pascendi dominici gregis, abbiamo ritenuto opportuno utilizzare il testo italiano dell’Enciclica come riportato dal sito del Caticano
Circa il testo latino, lo si può consultare sempre sul sito del Vaticano, dove manca curiosamente il testo italiano.

Abbiamo approntato il testo del Sacrorum Antistitum in formato pdf,
riportando il testo latino con a fronte il testo italiano.
Del pari, abbiamo reso disponibile, a parte e sempre in formato pdf,  il testo bilingue del
Giuramento Antimodernista






MOTU PROPRIO
SACRORUN ANTISTITUM

col quale si stabiliscono le norme atte a respingere il pericolo del modernismo

AAS, vol. II (1910), n. 17, pp. 655-680

Nessuno tra i Vescovi ignora, riteniamo, che una genia perniciosissima di persone, i modernisti, anche dopo che con l’Enciclica Pascendi dominici gregis [1] fu tolta loro la maschera di cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro piani di turbare la pace della Chiesa. Difatti non hanno cessato di ricercare nuovi adepti raggruppandoli in una società segreta, e per mezzo di costoro inoculare il veleno delle loro opinioni nelle vene della società cristiana con la pubblicazione di libri e scritti anonimi o sotto falso nome. Se, dopo aver riletto la detta Nostra Lettera Enciclica, si considera attentamente tale culmine d’audacia che Ci ha causato tanto dolore, ci si convincerà facilmente che queste persone non sono diverse da come ivi Noi le abbiamo descritte, avversari tanto più da temersi, quanto più ci sono vicini; i quali abusano del loro ministero per prendere all’amo con esca avvelenata gli incauti che abboccano, spargendo attorno a sé un’apparenza di dottrina che contiene la somma di tutti gli errori.

Poiché questa pestilenza va propagandosi considerevolmente per quella parte del campo del Signore, da cui sarebbero stati da attendersi frutti migliori, è dovere dei Vescovi lavorare alla difesa della fede cattolica e vegliare con somma diligenza affinché l’integrità del divino deposito non soffra un qualche detrimento, mentre a Noi compete massimamente di eseguire l’ordine di Cristo Salvatore che disse a Pietro, dal quale abbiamo ereditato, sebbene indegnamente, il principato: Conferma i tuoi fratelli. Proprio per questo motivo, cioè per rafforzare l’animo dei buoni nella presente lotta, abbiamo ritenuto utile ricordare i seguenti insegnamenti e prescrizioni del succitato documento:



«Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

«I. Per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica.
- Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcunché trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai dì nostri” [2].
- Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall'Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Un piccolo errore nei principî, per dirla con lo stesso Aquinate, diviene un grande errore nelle sue ultime conseguenze [3].


«Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico.
- Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocché “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” [4].
- Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica.


«In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza: “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio” [5]. Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole: “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori” [6]. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

«II. A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. - In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza.

«Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci!
- A niuno in avvenire si conceda la laurea di teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla.
- Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni.
- I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell’avvenire.
- I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

«III.  È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino.
- Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano.
- Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa si che tali libri sieno letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo.


«Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridío dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum ac munerum” [7]: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi”. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere.
- Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Imprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nell’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egualmente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo.


«E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica.
- A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum”: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia”.

«IV. Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità.
- E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum”, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa colla parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore.
- Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore.
- Solo in circostanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore.
- Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa.
- Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne segretamente il parere del Superiore provinciale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell’eligendo.
- Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano.
- Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo.

«Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum”, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici”. Del quale permesso, dopo ammonitone, sarà privato chiunque ne facesse mal uso.
- Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori, poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano i Vescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso con ogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati, provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice.
- I giornali e periodici pubblicati dai cattolici abbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sara obbligo di questo leggere opportunamente i singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.


«V. Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni.
- I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. - A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo.- A tutti i sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime: “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile” [8].


«VI. Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria [9], molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare - così essi - gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca”.
- Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme già prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglierà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è d’uopo per la incolumità del clero e della gioventù.

- Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII: “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novità sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civiltà cristiana”[10]. Non tollerino tali cose né nelle pubblicazioni né nei corsi dei professori.

- Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioni che sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade, quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni.
- Circa le sacre Reliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli... Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte”.
- Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII; ed il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro: “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti” [11]. Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie.
- Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.


«VII. Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti.»

A queste prescrizioni che Noi confermiamo pienamente nella loro integrità, con l’intenzione di obbligare in coscienza coloro che le infrangessero, aggiungiamo qualche misura speciale per i seminaristi ed i novizi degli istituti religiosi.
- Per formare un sacerdote che sia degno di questo nome è necessario che nei Seminari tutti gli insegnamenti convergano; non è lecito ritenere che tali strutture siano aperte per i soli studii oppure per la sola pietà. La formazione completa comporta entrambi questi elementi, ed i Seminari sono come palestre in cui si prepara lungamente la milizia sacra di Cristo. Perché dunque ne esca un’armata perfettamente formata, due cose sono assolutamente necessarie: la dottrina per la formazione dello spirito, la virtù per la perfezione dell’anima. L’una richiede che i giovani alunni seminaristi siano anzitutto istruiti nelle scienze più strettamente legate con gli studii teologici, l’altra esige che essi eccellano particolarmente per costanza e per virtù. Coloro che sono incaricati della disciplina e della pietà osservino quali speranze offra ogni allievo, esaminino il carattere di ciascuno chiedendosi se assecondi le proprie inclinazioni più corrette, o sembri accessibile ai sentimenti profani, se sia pronto all’obbedienza, incline alla pietà, se non abbia troppa stima di se stesso, se sia indisciplinato, se si avvii alla dignità sacerdotale proponendosi un retto fine o se sia mosso da motivi umani, se infine si distingua per la santità e la dottrina che convengono a questa vita o almeno se, in mancanza dell’una o dell’altra di queste qualità, si sforzi con sincera e pronta volontà di acquisirla. Tale ricerca non presenta un’eccessiva difficoltà: infatti l’assenza delle virtù di cui abbiamo detto si tradisce ben presto per il fatto che gli esercizi di pietà sono compiuti senza sincerità e che la disciplina è osservata per timore e non per obbedire alla voce della coscienza. Colui che si mantiene nella disciplina per timore servile, o che l’infrange per leggerezza di spirito o disprezzo, è assai lontano dall’offrire speranza di un sacerdozio esercitato santamente. È di fatto poco probabile che uno spregiatore della disciplina domestica non venga meno, più avanti, alle regole pubbliche della Chiesa. Se un superiore incaricato dei giovani chierici individuasse una tale disposizione di spirito in un allievo e se, dopo parecchi ammonimenti ed un anno di prova, si rendesse conto che il chierico non modifica per nulla la propria condotta, lo espella, in maniera che non possa più esser ricevuto né da lui né da qualunque altro Vescovo.

Due condizioni sono necessariamente richieste per la promozione dei chierici: l’innocenza della vita unita alla sana dottrina. E non bisogna dimenticare che le prescrizioni e gli avvertimenti che il Vescovo dà ai nuovi ordinandi s’indirizzano anche ai candidati, poiché è detto: «Si provveda acciocché coloro che sono scelti per questo ministero siano illustri per sapienza celeste, per costumi integerrimi e per la costante osservanza della giustizia... Siano onesti e maturi sia nella scienza che nelle opere... Splenda in essi la giustizia in tutti i suoi aspetti

E per quanto riguarda l’onestà della vita, ne avremmo parlato già a sufficienza, se si potesse separarla dalla dottrina e dalle opinioni che ciascuno fa sue e difende. Ma, come si legge nel libro dei Proverbi: Colla sua dottrina si farà conoscere l’uomo  [12], e come insegna l’Apostolo: Chi non persevera nella dottrina di Cristo non possiede Dio [13]. Quanto invero debba essere l’impegno da impiegare nell’acquisire conoscenze numerose e varie, anche la situazione stessa dei nostri tempi ce lo rivela: nulla vi è esaltato quanto la luce del progresso dell’umanità. Così dunque tutti i chierici che vogliono esercitare le loro funzioni come conviene ai nostri tempi, che vogliono esortare fruttuosamente nella sana dottrina e rimproverare i suoi detrattori [14] e che hanno a cuore di consacrare al bene della Chiesa le risorse del loro spirito, costoro dovranno acquisire conoscenze superiori a quelle del comune degli uomini ed aspirare più degli altri all’eccellenza della dottrina. Dobbiamo in effetti lottare contro abili nemici che uniscono un alto livello di studii ad una scienza spesso artificiosa, le cui frasi speciose e vibranti sono proposte con grande flusso e fracasso di parole da cui pare zampillare qualcosa d’esotico. Perciò le armi devono essere opportunamente predisposte, si deve cioè preparare un’abbondante messe di dottrina per tutti coloro che, nella calma di una vita nascosta, si preparano ad esercitare santissime e difficilissime funzioni.

Tuttavia, poiché la vita umana è limitata da tali confini, che dalla ricchissima fonte di conoscenze che ci si offrono a mala pena ci è concesso di coglierne qualcuna, è necessario moderare l’ardore nell’apprendimento e ricordarsi di queste parole di san Paolo: non occorre sapere più di ciò che conviene, ma sapere con moderazione [15]. Perciò, siccome i chierici sono già sottoposti a numerosi e gravi studii, siano essi in relazione alle Sacre Lettere, ai dogmi della Fede, alla morale, alla scienza della pietà e del culto detta ascetica, o ancora alla storia della Chiesa, al diritto canonico, all’eloquenza sacra; è importante che i giovani non sprechino il loro tempo in altre questioni e non siano distratti dai loro studii principali, Noi proibiamo loro la lettura di tutti i periodici o riviste, per quanto possano essere eccellenti, obbligando in coscienza i superiori che non avranno vegliato con cura scrupolosa ad impedirlo.

Ed al fine di togliere al modernismo ogni possibilità di introdursi dissimulatamente, non solo Noi vogliamo che sia osservato ciò che è stato prescritto più sopra al numero II, ma ordiniamo anche che tutti i professori, prima di iniziare i loro singoli insegnanti, all’inizio dell’anno accademico, presentino ai loro superiori il testo che si propongono d’insegnare o le questioni e le tesi che si propongono di trattare; inoltre vogliamo che, nel corso dell’anno, il loro metodo d’insegnamento sia esaminato: e se pare allontanarsi dalla sana dottrina, sarà il caso di rimuovere immediatamente quell’insegnante. Infine ordiniamo che oltre alla professione di fede, ogni insegnante presti giuramento tra le mani del proprio Vescovo, secondo la formula allegata più oltre, e che vi apponga la propria firma.

Questo giuramento, dopo la professione di fede secondo la formula prescritta da Pio IV, Nostro Predecessore di santa memoria, con l’aggiunta delle definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno inoltre al proprio Vescovo:

I. I chierici che stanno per essere promossi agli ordini maggiori; si dovrà consegnar loro in precedenza una copia tanto della professione di fede quanto della formula del giuramento da pronunciare, affinché ne siano accuratamente informati, compresa la sanzione prevista in caso d’infrazione, come sarà detto più avanti.

II. I sacerdoti destinati ad udire le confessioni ed i sacri predicatori prima che sia loro accordata la facoltà di esercitare tali funzioni.

III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di prendere possesso del loro beneficio.

IV. Gli ufficiali delle Curie episcopali e dei Tribunali ecclesiastici, ivi compresi il Vicario generale ed i giudici.

V. I predicatori della Quaresima.

VI. Tutti gli ufficiali delle Congregazioni romane e dei Tribunali ecclesiastici di Roma, in presenza del Cardinal Prefetto o del Segretario della Congregazione o del Tribunale.

VII. I superiori ed i docenti delle famiglie e delle Congregazioni religiose prima di assumere l’incarico.

Gli atti autentici delle dette professioni di fede e dei giuramenti prestati saranno conservati in registri appositi nelle Curie episcopali e negli uffici delle Congregazioni romane. Se qualcuno, Dio non voglia, osasse violare tale giuramento, sia deferito immediatamente al tribunale del Santo Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

«Io, ……..., accetto e credo fermamente tutte e ciascuna le verità che la Chiesa, col suo magistero infallibile, ha definito, affermato e dichiarato, principalmente quei capi di dottrina che si oppongono direttamente agli errori del nostro tempo.
E per primo credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e perciò anche dimostrato col lume naturale della ragione per mezzo delle opere da Lui compiute (cfr. Rm. 1, 20), cioè per mezzo delle opere visibili della creazione, come la causa per mezzo dell’effetto.
Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine divina della Religione cristiana; e questi stessi argomenti io li ritengo perfettamente proporzionati all’intelligenza di tutti i tempi e di tutti gli uomini, anche del tempo presente.
Terzo: credo anche con fede ferma che la Chiesa, custode e maestra della parola rivelata, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso, vero e storico, durante la sua vita tra noi, e che è fondata su Pietro capo della gerarchia apostolica, e sui suoi successori attraverso i secoli.
Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della Fede trasmessa fino a noi dagli Apostoli per mezzo dei Padri ortodossi, sempre nello stesso senso e nella stessa sentenza, e rigetto assolutamente la supposizione eretica dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, differente da quello che la Chiesa ha tenuto dall’inizio; e similmente condanno ogni errore che pretende di sostituire al deposito divino, affidato da Cristo alla Sposa perché fedelmente lo custodisse, un ritrovato filosofico o una creazione della coscienza umana, formatasi lentamente con sforzo umano e perfezionantesi nell’avvenire con progresso indefinito.
Quinto: ritengo in tutta certezza e professo sinceramente che la Fede non è un sentimento religioso cieco che erompe dalle latebre della subcoscienza per impulso del cuore ed inclinazione della volontà moralmente informata, ma un vero assenso dell’intelletto alla verità acquisita estrinsecamente con la predicazione; assenso per il quale noi crediamo vero, a causa dell’autorità di Dio la cui veracità è assoluta, tutto ciò che è stato detto, attestato e rivelato dal Dio personale, creatore e Signore nostro.

Mi sottometto anche, con tutto il dovuto rispetto ed aderisco di tutto il cuore a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni contenute nell’Enciclica Pascendi e nel Decreto Lamentabili, specialmente per ciò che concerne la cosiddetta storia dei dogmi.
- Così pure riprovo l’errore di coloro che pretendono che la fede proposta dalla Chiesa possa essere in contraddizione con la storia, e che i dogmi cattolici, nel senso in cui oggi sono intesi, siano incompatibili con le origini più autentiche della religione cristiana.
- Condanno pure e rigetto l’opinione di coloro che affermano che il cristiano erudito si rivesta di una duplice personalità, del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito sostenere ciò che contraddice la fede del credente, o porre delle premesse da cui conseguisse che i dogmi sono falsi o dubbi, così che essi non siano negati direttamente.
- Riprovo allo stesso modo quel metodo per giudicare e interpretare la Sacra Scrittura che, mettendo da parte la tradizione della Chiesa, l’analogia della Fede e le regole della Sede apostolica, ricorre ai metodi dei razionalisti e, con non minore audacia quanta temerità, accetta come suprema ed unica regola solo la critica testuale.
- Inoltre rigetto l’opinione di coloro i quali ritengono che gli insegnanti delle discipline storiche e teologiche, o coloro che ne trattano per iscritto, debbano anzitutto sbarazzarsi di ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia sull’assistenza divinamente promessa per la perenne salvaguardia dei singoli punti della verità rivelata, per interpretare poi gli scritti di ciascuno dei Padri, al di fuori di ogni autorità sacra, solo con i principii della scienza e con quella libertà di giudizio ammessa per l’esame di un qualunque documento profano.
- Mi dichiaro infine del tutto estraneo a quell’errore dei modernisti che pretende che non vi sia, nella sacra tradizione, nulla di divino o, ciò che è ben peggio, che ammette ciò che vi è di divino in senso panteista; così che non rimane nulla di più del fatto puro e semplice, assimilabile ai fatti ordinarii della storia: e cioè che degli uomini, col loro lavoro, la loro abilità, il loro talento, continuino nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo ed i Suoi Apostoli.

Mantengo pertanto fermissimamente e manterrò fino al mio ultimo respiro, la fede dei Padri nel carisma certo di verità che è, è stato e sarà sempre nell’episcopato trasmesso con la successione Apostolica [16]: non in modo che sia mantenuto quello che può sembrare migliore e più adatto al grado di cultura proprio di ciascuna epoca, ma in modo che la verità assoluta ed immutabile, predicata in origine dagli Apostoli, né mai sia creduta, né mai sia intesa in un altro senso [17].

Mi impegno ad osservare tutte queste cose fedelmente, integralmente e sinceramente, a custodirle inviolabilmente e a non allontanarmene sia nell’insegnamento sia in una qualunque maniera con le mie parole ed i miei scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.»

Il Giuramento in formato pdf




DELLA SACRA PREDICAZIONE

Poiché inoltre per una lunga esperienza ci è noto, che alla cura impiegata dai Vescovi perché sia annunziata la parola di Dio non corrispondono adeguati risultati, e ciò non tanto a causa dell’inerzia degli uditori quanto della vanagloria dei predicatori, che fanno udire piuttosto la parola dell’uomo che quella di Dio; così abbiamo ritenuto opportuno di far tradurre in latino, di diffondere e di raccomandare agli Ordinari il documento indirizzato, per ordine di Leone XIII, Nostro predecessore di felice memoria, dalla Congregazione dei Vescovi e dei Regolari il 31 luglio 1894 agli Ordinari d’Italia ed ai superiori delle famiglie e delle Congregazioni religiose.

1. «E primamente, per ciò che attiene alle virtù che devono possedere in maniera eminente i sacri predicatori, avvertano gli stessi Ordinari e Superiori delle famiglie religiose, di mai affidare un così santo e salutare ministero della parola divina a chi credono non sia fornito di vera pietà e di grande amore per Dio e per Gesù Cristo Suo Figlio Nostro Signore, e che di tali pietà e amore non sovrabbondino. Che se tali doti mancassero ai predicatori della dottrina cattolica, essi non sarebbero altro che bronzo che risuona e cembalo che tintinna [18]; né mai potrebbero avere quel vero zelo per la gloria di Dio e la salute delle anime, da cui proviene la forza e l’efficacia dell’evangelica predicazione. E questa pietà cristiana, sì necessaria ai sacri predicatori, uopo è che risplenda anche nella loro condotta esteriore, ché non accada  che la condotta di coloro che predicano sia in contraddizione con ciò che raccomandano sui precetti e i costumi cristiani, così che non distruggano con le opere ciò che edificano con la parola. Né questa pietà deve risentire di alcunché di profano: ma dev’essere adornata di gravità, perché si veda veramente che essi sono ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio [19]; diversamente, come osserva il Dottore Angelico: se la dottrina è buona e il predicatore cattivo, questo è occasione di blasfemia della dottrina di Dio [20].


«- Ma alla pietà e alle altre virtù cristiane non dovrebbe mancare la conoscenza, essendo manifesto, e l’esperienza lo conferma, che una predicazione veramente saggia, con rigore sistematico e con frutto, è vano aspettarsela da coloro che non sono nutriti di abbondante dottrina, principalmente sacra; i quali, fidenti in certa loro naturale loquela, temerariamente salgono il pulpito con poca o nessuna preparazione. Costoro, per ordinario, non fanno altro che batter l’aria, e alla divina parola, senza avvedersene, accattano dispregio e derisione, tanto che ad essi deve applicarsi la sentenza divina: Poiché tu rifiuti la conoscenza,
 rifiuterò te come mio sacerdote [21]».

2. - «Di conseguenza, i Vescovi e gli Ordinari delle famiglie religiose, non affideranno il ministero della parola divina ad alcun sacerdote, senza aver prima accertato che possieda una notevole quantità di pietà e dottrina; vigilando attentamente che fedelmente si attenga a quelle materie che sono veramente proprie della sacra predicazione. E invero tali materie sono indicate dallo stesso Cristo Signore là dove dice: Predicate il vangelo [22].... Insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato [23]. Riguardo alle quali San Tommaso dice: I predicatori devono far luce su cosa credere, guidare in cosa fare, dire cosa evitare, e sollecitando ed esortando predicare agli uomini [24]; e il sacrosanto Concilio Tridentino afferma: Mettendo loro in chiaro i vizii che devono abbandonare e le virtù che conviene loro acquisire, perché possano evitare la pena eterna e conseguire la gloria celeste [25]. Ma più ampiamente ancora ciò fu spiegato dal Sommo Pontefice Pio IX di santa memoria colle seguenti parole: non predicando se stessi, ma Cristo Crocifisso, apertamente e chiaramente con grave e limpido linguaggio, secondo la dottrina della Chiesa cattolica e dei Padri annunzino ai popoli i dogmi ed i precetti della nostra santissima Religione, spieghino accuratamente i particolari doveri di ciascuno, ispirino in tutti l’orrore della colpa, infiammino alla pietà, affinché i fedeli, salutevolmente ristorati con la parola di Dio, evitino i vizi, seguano le virtù, fuggano le pene eterne, e siano fatti capaci di conseguire la gloria celeste [26]. Donde chiaramente apparisce che il simbolo degli Apostoli, il divino decalogo, i precetti della Chiesa, i Sacramenti, le virtù e i vizii, i doveri del proprio stato, i novissimi dell’uomo ed altre simili verità eterne, debbono costituire la materia propria della predicazione».

3 - «Ma non è raro per i ministri della parola divina si curino poco di questa ricchissima e importantissima quantità di cose; così le tralasciano come se fossero qualcosa di insolito e inutile e quasi le respingono. Essi hanno capito che queste cose che abbiamo citato non sono esattamente le più appropriate per acquisire quella popolarità cui bramano; cercano le cose proprie, non le cose di Gesù Cristo (27), e questo lo fanno anche durante i giorni di Quaresima e di altri tempi solenni dell’anno. Non solo cambiano nome a tutto, ma ora sostituiscono i sermoni di sempre con una specie di discorsi inadatti a rivolgersi alle menti, che essi chiamano CONFERENZE, le quali si prestano più a speculazioni che a muovere le volontà e a stimolare i buoni costumi. E non capiscono costoro che  le prediche morali giovano a tutti, mentre le conferenze sono a mala pena vantaggiose per pochi; i quali, se con la predicazione fossero meglio indotti alla castità, all’umiltà, alla sottomissione all’autorità della Chiesa, con ciò solo avrebbero la mente sgombrata dai pregiudizii contro la fede e pronta ad accogliere la luce della verità con una migliore disposizione d’animo. Infatti, le false opinioni sulla religione che molti tengono, soprattutto tra gli stessi cattolici, sono da attribuire più alle cattive inclinazioni della concupiscenza che alle aberrazioni dell’intelligenza, come afferma la parola divina: Dal cuore provengono i propositi malvagi… le bestemmie [28]. Tale che Agostino, riferendosi alle parole del Salmista: Dice l’insensato in cuor suo: Dio non esiste [29], così commenta: nel suo cuore, non nella sua mente

4. Questo tuttavia non dev’essere inteso come se queste conferenze siano in sé riprovevoli, perché invece, se ben condotte, possono essere grandemente utili e anche necessarie per combattere gli errori con cui si attacca la religione. Solo che si debbono assolutamente bandire dal pulpito quei modi pomposi di parlare che non fanno altro che rivoltare le cose, piuttosto che muovere alla buona condotta; che si riferiscono a ciò che è più proprio della società civile che della religione; che mirano più all’eleganza del parlare che al conseguimento di frutti. Tutte queste cose sono più tipiche dei saggi letterari e dei discorsi accademici, ma non si accordano affatto con la dignità e lo status della casa di Dio. Quanto poi alle prediche o conferenze volte a difendere la religione dagli attacchi dei nemici, quantunque a volte siano necessarie, non sono cose alla portata di tutti, ma si dev’essere veramente in grado di farlo. E anche questi validi oratori devono muoversi con grane cautela, ché tali difese della religione convengono solo se lo consentono le circostanze di luogo e di tempo e il genere di uditori, e quando si valuti che siano fruttuose: è chiaro che il giudizio sulla opportunità o meno spetta legittimamente agli Ordinarii. Inoltre in questo genere di  discorsi ci si affidi alla forza della sacra dottrina più che alle parole della sapienza umana, l’esposizione sia solida e chiara, ché non accada che nella mente degli uditori rimangano impresse più particolarmente le false teorie piuttosto che le verità che vi si oppongono e risaltino più le obiezioni che le risposte. In particolare non si dovrà abusare di questi discorsi, sostituendoli alle prediche, come se queste fossero di valore inferiore e meno efficaci, da lasciare di conseguenza ai predicatori e agli uditori volgari, mentre il vero è che alla gran massa dei fedeli le prediche sui buoni costumi sono altamente necessarie; questo non vuol dire che debbano avere meno valore dei discorsi apologetici, di modo che esse devono essere predicate da oratori di gran prestigio, senza tenere conto se gli uditori sono o più ricercati o più ordinarii, e almeno di tanto in tanto devono essere organizzate con particolare cura; non facendolo, la maggioranza dei fedeli sentirà sempre parlare degli errori che quasi tutti loro evitano e non dei vizii e dei peccati che minacciano e macchiano loro e tutti noi.»
 
5. «Anche quando il tema scelto per le prediche è esente da difetti, vi sono altre cose ancor più gravi da lamentarsi circa lo stile e la forma del discorso, su cui si spiega egregiamente l’Aquinate dicendo che per essere veramente luce del mondo, il predicatore della parola divina deve avere tre requisiti: primo, la solidità della dottrina, perché non devii dalla verità; secondo, la chiarezza espositiva, perché non insegni oscuramente; terzo, l’efficacia, perché cerchi la lode a Dio e non la sua [30]. Ma in verità, il più delle volte la forma delle prediche odierne, non solo è lontana da quella chiarezza e semplicità evangeliche che dovrebbero caratterizzarla, ma è tutta intrisa di intrecci oratorii e di temi astratti, che superano la capacità di comprensione della gente comune. Cosa da lamentare con le parole del profeta: I bambini chiedevano il pane
 e non c’era chi lo spezzasse loro [31]. Ed è anche molto triste che in queste prediche dal contenuto religioso spesso manchi quel soffio di pietà cristiana, quella forza divina e quella virtù dello Spirito Santo che muovono le anime e le inducono a fare il bene; sul che i sacri predicatori devono sempre tenere presenti le parole dell’Apostolo: La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza [32]. Costoro, invece, basandosi su discorsi persuasivi di sapienza, tengono in conto poco o niente la parola divina e le Sacre Scritture, che costituiscono la fonte più vigorosa e abbondante per la sacra predicazione, come insegnava recentemente Leone XIII con queste importanti parole: «E questa virtù propria e singolare delle Scritture, che viene dalla divina ispirazione dello Spirito Santo, è quella che conferisce autorità all’oratore sacro, offre l’apostolica libertà di parole, dona vigorosa e vittoriosa eloquenza. Chi, infatti, nel predicare comunica lo spirito e la forza del Verbo divino, ‘non predica soltanto a parole, ma anche nella virtù e nello Spirito Santo e in molta pienezza’ [33]. Si può dunque affermare che agiscono senza ordine e improvvidamente coloro che tengono prediche sulla religione ed enunciano precetti divini servendosi quasi esclusivamente di parole di scienza e di prudenza umana, appoggiandosi più su argomenti propri che non su quelli divini. Di conseguenza tali prediche, per quanto appoggiate sullo splendore dello stile, riescono fiacche e fredde, perché mancanti del fuoco della parola di Dio: ben lontane quindi da quella forza di cui essa è ricca: ‘La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace e più affilata di qualunque spada a doppio taglio e penetra fino alla divisione dell'anima e dello spirito’ [34]. Quantunque anche i più saggi debbano ammettere che si trova nelle sacre Scritture una mirabile, varia e copiosa eloquenza degna di cose grandi - cosa che sant’Agostino vide chiaramente e dimostrò eloquentemente [35] -, tuttavia ciò è confermato anche dall’esperienza stessa dei più eccellenti oratori sacri, i quali, grati a Dio, ebbero ad affermare di dover la loro fama soprattutto all’assiduo uso e pia meditazione della Bibbia.» [36].

«Ecco dunque la fonte principale e più conveniente della sacra eloquenza, la Bibbia. Ma coloro che si fanno araldi delle novità, non alimentano il bagaglio dei loro discorsi alla fonte dell’acqua viva, ma sbagliando insensatamente si affidano alle cisterne screpolate della sapienza umana; e mettendo da parte la dottrina ispirata da Dio o quella dei Padri della Chiesa e dei Concilii, si danno interamente a dar spazio ai nomi e alle idee di scrittori profani e recenti, perfino viventi: idee che sovente danno luogo a interpretazioni ambigue e molto pericolose.
- «Altro modo per far danno è che costoro parlano delle cose della religione come se dovessero essere valutate secondo i canoni e le convenienze di questa vita che passa, ponendo nell’oblio la vita eterna futura: parlano brillantemente dei benefici che la religione cristiana ha apportato all’umanità, ma tacciono sugli obblighi che essa impone; sbandierano la carità di Gesù Cristo nostro Salvatore, ma non parlano della giustizia. Il frutto di questa predicazione è esiguo, giacché, dopo averla ascoltata, qualunque profano finisce col persuadersi che, senza bisogno di cambiare vita, è un buon cristiano solo dicendo: credo in Gesù Cristo [37].»
- In verità: quale frutto vogliono ottenere questi predicatori? Di certo non hanno altro proposito che cercare con ogni mezzo di guadagnarsi dei consensi, prurientes auribus: pur che veggano le chiese strapiene, non importa loro che le anime restino vuote. E’ per questo che non parlano del peccato, dei novissimi, di alcun’altra cosa importante, ma si attengono solo all’uso di parole compiacenti, con un’eloquenza più tribunizia e profana che apostolica e sacra, per ottenere clamore e applausi; ed è contro questi che Gerolamo diceva: Tu che insegni nella Chiesa, non gli applausi del popolo devi suscitare, ma i suoi gemiti: le lacrime dell’uditorio siano le lodi per te [38]. Così accade che questi discorsi,  che siano fatti in Chiesa o fuori, si circondino di un certo apparato teatrale, prescindendo da ogni aura di santità e da ogni efficacia spirituale. Da qui, dunque, non giungono alle orecchie del popolo, e anche di molti del clero, le delizie che scaturiscono dalla parola divina; da qui il disprezzo per le cose buone; da qui il poco o nessun giovamento per coloro che vivono nel peccato; perché quantunque accorrano compiaciuti ad ascoltare tali parole compiacenti, soprattutto se si tratta di quei temi cento volte seduttori come il progresso dell’umanità, la patria, le più recenti scoperte della scienza, una volta applaudito l’esperto di turno, lasciano la chiesa tali e quali vi erano entrati: ammirati ma non convertiti [39]

«Essendo, poi, desiderio di questa Sacra Congregazione, per mandato del nostro Santissimo Signore il Papa, porre fine a così tanti e tali abusi, esorta i Vescovi e i Superiori delle Famiglie Religiose a ché con tutta la loro autorità apostolica si oppongano a costoro e curino di estirparli con tutto il loro impegno. Memori di ciò che ha prescritto il Sacrosanto Concilio Tridentino [40]: -  si ha l’obbligo di assumere uomini idonei per il compito di predicatori  - usando a questo scopo la massima diligenza e cautela. Se si trattasse di sacerdoti della loro diocesi, curino gli Ordinarii di non autorizzare per la predicazione alcuno la cui vita, la cui scienza e i cui costumi non siano stati prima verificati [41], cioè se non li si è riscontrati idonei per mezzo di un esame o in qualche altro modo. Se si trattasse di sacerdoti di altre diocesi, non permettano che accedano al pulpito, soprattutto nelle festività solenni, se prima non presentino per iscritto l’autorizzazione del proprio Ordinario, che testimonii dei suoi buoni costumi e della sua idoneità a tale ufficio. I Superiori degli Ordini, delle Società o Congregazioni Religiose, non autorizzino alla predica alcuno dei loro sudditi, e ancor meno li muniscano di lettere testimoniali per gli Ordinarii dei luoghi, se prima non siano convinti della loro onestà di vita e della loro attitudine a predicare. Se dopo aver autorizzato, per queste lettere testimoniali, un oratore a predicare, gli Ordinarii  accertassero che egli devia dalle norme stabilite in questa Lettera, dovranno obbligarlo ad obbedire e se non lo facesse dovranno proibirgli di predicare, perfino, se fosse necessario, con le pene canoniche che sembreranno opportune.»

Abbiamo ritenuto conveniente prescrivere e ricordare tutto questo, comandando che si osservi religiosamente, mossi dalla gravità del male che aumenta di giorno in giorno, ed al quale non si può più tardare ad opporsi senza il più grande pericolo. Ormai è un fatto che non dobbiamo più affrontare, come all’inizio, degli avversarii travestiti con vesti d’agnello, ma con nemici dichiarati e feroci, entro la stessa casa, i quali, avendo fatto un patto coi peggiori nemici della Chiesa, si propongono di distruggere la Fede. Si tratta di uomini la cui arroganza contro la sapienza che ci viene dal Cielo si rinnova ogni giorno, che si arrogano il diritto di riformarla come se si stesse corrompendo; che vogliono rinnovarla come se la vecchiezza l’avesse consumata; che vogliono darle nuovo impulso e adattarla ai voleri del mondo, al progresso, ai comodi del secolo, come se essa si opponesse non alla leggerezza di alcuni, ma al bene stesso della società.



A fronte di questi oltraggi contro la dottrina evangelica e contro le tradizioni ecclesiastiche, non sarà mai troppa la vigilanza e la fermezza di coloro a cui è stato affidato di custodire fedelmente il sacro deposito.

Così che i moniti e i salutari mandati che con questo Motu proprio con scienza certa abbiamo ratificati e prescritti con la Nostra autorità, Noi vogliamo che siano religiosissimamente osservati da tutti gli Ordinari e Superiori Generali degli Ordini regolari e degli Istituti ecclesiastici di tutto il mondo cattolico, nonostante qualsiasi disposizione contraria.



Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° settembre 1910,
anno ottavo del nostro pontificato.


Pio X Papa

NOTE

[1] Dato a Roma l'8 settembre 1907.
[2] Leone XIII, Enciclica Aeterni Patris, 8 agosto 1879.
[3] De Ente et Essentia, Proemio.
[4] Leone XIII, Lettera Apostolica In magna, 10 dicembre 1889
[5] Allocuzione, Pergratus Nobis, agli studiosi cattolici, 7 marzo 1880.
[6] Ibidem.
[7] 25 genn. 1897.
[8] Lettera Enciclica Nobilissima Gallorum, 8 febbraio 1884.
[9] Atti del Congresso dei Vescovi dell’Umbria, novembre 1849, tit. II, art. 6.
[10] Congregazione degli Affari Straordinarii – Istruzione Nessuno ignora, 27 gennaio 1902.
[11] Decreto del 2 maggio 1877.
[12] Prov. XII, 8.
[13] II Gv., 9.
[14] Tito. I, 9.
[15] Rom. XII, 3.
[16] Ireneo, Adversus haereses, 4, 26, 2.
[17] Tertulliano, De praescriptione haereticorum, c. 28.
[18] I Cor. XIII, 1.
[19] I Cor. IV, 1.
[20] Commento. in Matth. V.
[21] Os. IV, 6.
[22] Mc. XVI, 15.
[23] Mt. XXVIII, 20.
[24] Commento in Matth. V
[25] Sess. V, cap. 2, Sulla predicazione.
[26] Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846.
[27] Fil. II, 21.
[28] Mt. XV, 19.
[29] Sal. XIII [XIV], 1.
[30] Commento in Matth. V
[31] Lam. IV, 4.
[32] I Cor. II, 4.
[33] I Ts. I, 5.
[34] Eb. IV, 12.
[35] De doctrina christiana. IV, 6, 7.
[36] Enciclica sullo studio delle Sacre Scritture, Providentissimus Deus, 18 novembre 1893.
[37] Cardinale Agostino Bausa, Arcivescovo di Firenze, discorso al giovane clero del seminario, 15 novembre 1892.
[38] San Gerolamo, Epistola LII, Ad Nepotian.
[39] Da: Sant’Agostino, in Matth, XIX, 25.
[40]
Conc. Trid., Sess. V, c. 2, Sulla predicazione.
[41] Conc. Trid., Sess. V, c. 2, Sulla predicazione.





settembre 2016

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