28 giugno 2019 - 00:10

L’uomo che veglia sul Vaticano. Su 7 il dialogo con Benedetto XVI

Un incontro straordinario nel punto più protetto dei Giardini vaticani, dove la storia di un uomo si incrocia con quella millenaria della Chiesa. Parole e sguardo mostrano lucidità e rapidità di pensiero. E attenzione a quanto accade nelle stanze in San Pietro

di Massimo Franco

L'uomo che veglia sul Vaticano. Su 7 il dialogo con Benedetto XVI
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«L’Italia è sempre stata un bellissimo Paese ma un po’ caotico. Però, alla fine riesce sempre a ritrovare la sua strada...». La voce di Benedetto XVI è poco più di un soffio. Le parole escono con lentezza, ma quello che dice e lo sguardo attento, penetrante, mostrano una lucidità e una rapidità di pensiero invidiabili in chiunque: tanto più in un signore ultranovantenne al quale capita di essere il primo Papa emerito nella storia della Chiesa cattolica. Joseph Ratzinger consegna il suo messaggio all’Italia, «tanto amata per andarci in vacanza, un po’ meno apprezzata per la politica», in un caldo pomeriggio romano. È seduto su una panchina di legno, ammorbidita da un cuscino, davanti all’edicola della Madonna della Guardia, sotto il monastero di clausura all’interno dei Giardini vaticani dove vive dal maggio del 2013, quando rinunciò clamorosamente al pontificato. Ha l’abito talare bianco sotto il quale spuntano calze bianche, fasciate da sandali di cuoio marrone, e al polso porta due orologi, uno di foggia moderna, bianco e nero, in plastica.

Le caricature di Emilio Giannelli

Davanti a lui, su un’altra panchina, sediamo con monsignor Georg Gaenswein, prefetto della Casa pontificia, suo segretario e uomo di raccordo anche simbolico tra papa Francesco e il suo predecessore. E accanto a Ratzinger si è accomodato, proteso verso di lui, Emilio Giannelli, il nostro vignettista. Gli ha portato in dono tre caricature “irriverenti”, scherza: sa che a Benedetto piacciono i suoi disegni. Il Papa emerito le osserva con attenzione divertita. Sorride di gusto, e gli occhi diventano ancora più vivaci davanti all’ilarità contagiosa di Giannelli, che gli parla di Siena, la sua città. Si informa sulla politica italiana, che conosce bene. Ricorda Giulio Andreotti, chiede di Massimo D’Alema, cita altri nomi, con l’eco familiare della sua cadenza tedesca. Intorno regna un silenzio irreale, assai poco romano. Arriva solo il rumore attutito di una processione nei Giardini vaticani, in occasione del Corpus Domini. La sorveglianza è discreta ma ben visibile.

Il Papa emerito  con  Giannelli, guarda le vignette con Padre Georg Gaenswein, 62 anni,  arcivescovo  e prefetto della Casa pontificia (foto Stefano Spaziani) Il Papa emerito con Giannelli, guarda le vignette con Padre Georg Gaenswein, 62 anni, arcivescovo e prefetto della Casa pontificia (foto Stefano Spaziani)

Un gendarme con walkie-talkie ad ogni curva

Per arrivare fin qui, sul punto più alto e protetto del minuscolo Stato nel cuore della capitale, la piccola auto blu targata SCV, guidata da una gigantesca guardia svizzera in borghese si è inerpicata su brevi tornanti, tra roseti, fontane, altari, alberi secolari e perfino enormi cactus. E a ogni curva dei viali immacolati e deserti c’era un gendarme vaticano armato con walkie-talkie e auricolare, mentre si passava oltre il torrione dello Ior, il controverso Istituto per le opere di religione, poi la piazza da cui si accede all’Archivio segreto, e ancora su, oltre il palazzo del Governatorato. La sagoma squadrata di Casa Santa Marta, la residenza di papa Francesco, sembrava lontanissima, giù a sinistra. Incontrare il Papa emerito è diventato un privilegio raro anche in Vaticano. La sua ultima uscita pubblica risale a tre anni fa, il 28 giugno del 2016, nella Sala Clementina. Per i sessantacinque anni di sacerdozio, Francesco volle rivolgergli un discorso caloroso, sottolineando come il piccolo monastero dove si è ritirato è «tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno». Parole profetiche, ora che di anni in abito talare ne festeggia sessantotto.

Infragilito nel fisico, ma ogni sua parola ha un’eco potente

Per paradosso, più il Papa emerito è diventato quasi invisibile, infragilito nel fisico, più ogni sua parola ha trovato un’eco potente e inaspettata. Forse perché ha dimostrato una lucidità sorprendente; e perché ha incrociato e rivelato le inquietudini di una Chiesa divisa e disorientata. Per intercettare Benedetto fuori dal suo eremo, bisogna inoltrarsi nei luoghi più appartati di questi Giardini. In certi pomeriggi romani, gli ecclesiastici che vivono in Vaticano lo possono intravedere seduto sulla panchina dove lo abbiamo incontrato, o su un’altra dietro la Grotta di Lourdes, la cappella scavata nella roccia dove va di tanto in tanto, inginocchiandosi lentamente e recitando il Rosario. Da lontano è una macchia bianca incorniciata dal verde scuro degli alberi. Una piccola golf car è ferma a rispettosa distanza, in attesa che finisca la sua breve passeggiata e le sue meditazioni. Come sempre, lo accompagna monsignor Gaenswein. E nonostante Benedetto appaia smagrito, fragile, conferma una curiosità intellettuale intatta.

Foto ricordo: da sinistra in senso orario, il Papa emerito, monsignor Gaenswein, Massimo Franco ed Emilio Giannelli  (foto Stefano Spaziani) Foto ricordo: da sinistra in senso orario, il Papa emerito, monsignor Gaenswein, Massimo Franco ed Emilio Giannelli (foto Stefano Spaziani)

La Roma secolare sembra distante

Dalla piccola altura incorniciata dalle mura vaticane, la Roma secolare che si intravede in basso, a poche centinaia di metri, sembra distante migliaia di chilometri. E anche Benedetto in apparenza è lontano da tutto. È fasciato nel suo abito candido come i capelli e lo zucchetto, e come le mani affusolate e magrissime, quasi diafane: tanto che l’anello episcopale che porta all’anulare, dono del Capitolo metropolitano di Monaco e Frisinga per la sua ordinazione nel maggio del 1977, sembra smisurato e troppo pesante per quelle dita. La sua vita segue ritmi quasi immutabili. Nella Mater Ecclesiae che anticamente ospitava la direzione della Radio vaticana, e che Giovanni Paolo II aveva assegnato come residenza di clausura, abita insieme a quattro «Memores», suore laiche, e a monsignor Gaenswein. Durante il giorno viene a lavorare lì la sua segretaria Birgit, che però la sera torna nell’Istituto di Schoenstatt, che prende il nome dalla cittadina tedesca dove è nata.

Non gli sfugge nulla di quanto accade nella Chiesa

La giornata comincia presto, con la messa. E, dopo colazione, Benedetto apre la corrispondenza, risponde o fa rispondere a qualche lettera. E riceve, ultimamente sempre meno, chi chiede di vederlo. Legge libri e alcuni giornali italiani e tedeschi. Si sa che apprezza le vignette di Giannelli sul Corriere della Sera. Ascolta musica classica e religiosa. Ogni tanto, dopo cena, si mette al pianoforte e suona, dopo avere visto i telegiornali di prima serata. E il sabato pomeriggio, con le quattro suore laiche, a volte si fa leggere ad alta voce un libro che lo incuriosisce in modo particolare. Ma in questa routine non gli sfugge nulla di quanto accade nella Chiesa. Ha occasione di parlare con Francesco, con il quale si scambiano consigli. E di tanto in tanto papa Bergoglio lo va a trovare, sebbene non sempre si dia notizia dei loro contatti. All’inizio di quella strana convivenza tra due Pontefici, Francesco disse di lui che era «come avere un nonno saggio in casa: il mio papà», nonostante tra i due ci siano solo nove anni di differenza. Fotografava un rapporto basato sul rispetto e sulla lealtà reciproci; e un patto tacito secondo il quale Jorge Mario Bergoglio sarebbe stato «il Papa dell’azione», Ratzinger «il Papa della preghiera», come ripete spesso Benedetto. E «per fortuna», dichiarò allora monsignor Gaenswein, i rapporti tra i due sono ottimi. Tali sono rimasti, sebbene «il nonno saggio in casa» almeno una volta abbia sentito il bisogno di esprimere pubblicamente le sue idee, increspando la superficie del conformismo vaticano e quasi spiazzando la cerchia stretta di alcuni consiglieri di Bergoglio.

Malignità male indirizzate nel caso degli Appunti

Quando ad aprile sono usciti gli «Appunti» del Papa emerito sulla pedofilia, appena due mesi dopo la riunione degli episcopati mondiali sullo stesso tema, è filtrato un nervosismo inaspettato. Qualche cardinale e qualche collaboratore di Francesco ha cercato di accreditare anonimamente la tesi di un testo scritto da altri, perché Ratzinger sarebbe stato troppo debole per farlo personalmente; di un attacco subdolo contro il «Papa dell’azione», nonostante l’Emerito avesse chiesto con una lettera sia al Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, sia al pontefice il permesso di pubblicare quelle riflessioni. Qualcuno ha suggerito a Benedetto perfino di diramare un comunicato rivendicando la paternità degli «Appunti». La sua risposta sorridente è stata che chi metteva in giro quelle voci non avrebbe creduto nemmeno a una sua precisazione. Ma se per caso fossero stati nel piccolo monastero immerso nei Giardini vaticani nel novembre scorso, i critici avrebbero constatato quanto fossero male indirizzate le loro malignità. Avrebbero visto Benedetto riempire faticosamente tre, quattro pagine di appunti in una decina di giorni. Poi, dopo alcune settimane, aggiungerne altrettante: fino a completare il suo scritto nel febbraio del 2019.

Tensioni non sopite, dopo il trauma della rinuncia

Alla fine, quei fogli riempiti in tedesco sono stati dettati dallo stesso Ratzinger alla segretaria storica, suor Birgit Wansing, con lui dal 1984. Suor Birgit li ha battuti al computer, stampati e restituiti al Papa emerito, che li ha «vistati» dopo una serie di revisioni, cuciture, correzioni. Ma quella vicenda, con l’appendice delle polemiche velenose, ha fatto riemergere tutta la fragilità di una coabitazione non codificata da nessuna legge vaticana tra Papa e «ex Papa», dopo la svolta epocale della rinuncia del febbraio 2013. In alcune nunziature, come vengono chiamate le ambasciate della santa Sede all’estero, e perfino in alcuni uffici del Vaticano, qualcuno tiene ancora appese alle pareti sia la foto di Francesco, sia quella di Benedetto; e non è solo una questione di nostalgia ma il segno di un trauma non smaltito del tutto.

Un ritratto double face con i due pontefici

A Buenos Aires, un noto giurista cattolico espone in salone un enorme ritratto a olio double face: da una parte è raffigurato il Papa argentino, dall’altra il predecessore tedesco. E a seconda di chi gli fa visita, mostra o l’uno o l’altro ritratto. Ma, al di là di questi dettagli, si conferma la difficoltà a gestire una qualunque esternazione del predecessore, pur sollecitato a farlo da Francesco, con una Chiesa in tensione. Anche perché troppi tra gli scontenti del pontificato di Francesco guardano a Benedetto come a una sorta di leader spirituale e morale alternativo; e come a una certezza in termini dottrinali. Il Papa emerito ha sempre respinto questi tentativi. E ha riaffermato i rapporti leali e affettuosi con Francesco, nonostante le vistose differenze di personalità, di approccio alla dottrina e alla liturgia. Ma i timori che questo equilibrio quasi miracoloso tra Bergoglio e Ratzinger possa spezzarsi non sono mai scomparsi. Al punto che tra alcuni esponenti dei vertici vaticani è riaffiorata perfino una vecchia idea, spuntata nei primi mesi di smarrimento, se non di panico, seguiti al passo indietro di Benedetto XVI: quella di un motu proprio papale che ingabbiasse Ratzinger nel ruolo di muto eremita. Tre soli articoli, di cui il primo doveva recitare: il Papa si chiamerà Emerito. Il secondo, stabilire che non avrebbe dovuto mai più parlare e mostrarsi in pubblico. E il terzo, che non avrebbe più dovuto nemmeno viaggiare. Tuttora, non è infrequente parlare con cardinali che ribadiscono: «Un Papa che rinuncia dovrebbe scomparire, chiudersi nel silenzio totale». Ma quel documento non è mai stato approvato, né lo sarà durante l’attuale pontificato.

Un ruolo inedito: defilato, discreto, ma cruciale

La scelta di Francesco è stata di chiedergli consigli, di coinvolgerlo. Mentre promulgare un motu proprio di quel tenore significherebbe smentire se stesso, e ipotecare il comportamento dei successori, lui compreso, se un giorno scegliessero la rinuncia al papato. Così, Benedetto si è trovato in una situazione unica, sebbene non cercata né voluta. Ha assunto un ruolo inedito: defilato, discreto, ma cruciale. E lo ha fatto naturalmente, ritraendosi e insieme lasciando arrivare la sua voce flebile ma in alcuni casi dirompente. Da «nonno saggio in casa», si è trasformato in sponda e argine rassicurante per quanti nella Chiesa di Francesco non si trovano a proprio agio. Ma anche per riaffermare alcuni principi teologici e arginare, sul fronte opposto, le pressioni su Francesco di quanti vorrebbero assecondare un dialogo radicale e rischioso con la modernità.

Un giorno si scoprirà quanto ha fatto per evitare lacerazioni

Così, con i suoi «Appunti», ha riaffermato una gravitas teologica che ha compensato l’approccio dottrinale più empirico, molto latinoamericano, di alcuni collaboratori del Papa argentino. Quando si scriverà la storia di questi anni segreti nel monastero Mater Ecclesiae, non si potranno trascurare le visite riservatissime di cardinali e vescovi che hanno bussato a quella porta cercando rassicurazioni, ed esprimendo le loro critiche e le loro perplessità verso il pontificato attuale. E si scoprirà quanto è stato fatto per evitare lacerazioni. Gli avversari di Bergoglio, spesso conservatori alla ricerca disperata di una parola di Benedetto che suonasse di critica a Bergoglio, si sono sentiti rispondere immancabilmente che «il Papa è uno, è Francesco».

I fantasmi di uno scisma preoccupano Ratzinger

L’ossessione dell’unità della Chiesa, per Ratzinger, è più acuta che mai. E i fantasmi di uno scisma sono presenti sia a lui, sia al successore, sia a molti cardinali. La prospettiva di una lacerazione nella sua amata Germania è sempre meno inverosimile. Le aperture alla fine del celibato, al sacerdozio femminile, ai matrimoni omosessuali da parte del cardinale Reinhard Marx e di gran parte dell’episcopato progressista stanno destabilizzando il cattolicesimo in quella nazione. E il Papa emerito è il terminale e l’elemento moderatore di un fermento che può trasformarsi, appunto, in scisma aperto. È stato Benedetto a incoraggiare e consolare anche il cardinale Gerhard Mueller, il custode dell’ortodossia «licenziato» due anni fa da Francesco; e diventato uno dei suoi critici più puntuti e irriducibili. Ma lo ha fatto in un’ottica unitaria che stride con i propositi bellicosi e suicidi delle tifoserie dei «due Papi».

La sua tesi: prevale la consapevolezza che serve l’unità

Forse anche e proprio perché ha compiuto un gesto epocale e controverso, il primo dopo settecento anni di pontificati, questo teologo in apparenza così fragile conserva in realtà una formidabile capacità di analisi sulla forza e le sfide che la Chiesa ha davanti. «L’unità della Chiesa è sempre in pericolo, da secoli. Lo è stata per tutta la sua storia. Guerre, conflitti interni, spinte centrifughe, minacce di scismi», è solito rispondere a quanti gli manifestano le loro paure. Eppure, dimostra di avere fiducia che reggerà. La sua tesi, confidata a chi lo ha incontrato, è che «alla fine ha sempre prevalso la consapevolezza che la Chiesa è e deve restare unita. La sua unità è sempre stata più forte delle lotte e delle guerre interne». Il tempo è volato. Le vignette e i libri vengono affidati all’autista della papamobile elettrica. Benedetto XVI sale e saluta, con un lieve cenno della mano. L’auto scompare dietro il tornante, senza far rumore, portandosi via Benedetto XVI coi suoi misteri.

LA SUA VITA

Studi - Joseph Aloisius Ratzinger è nato il 16 aprile 1927, in Baviera, ultimo di tre fratelli. Studia Filosofia e Teologia. Nel 1953 discute la tesi di dottorato su sant’Agostino, nel 1957 ottiene la cattedra di Teologia all’Università di Monaco
Cardinale - Il 27 giugno 1977 papa Paolo VI lo nomina cardinale e nel 1981 papa Giovanni Paolo II (eletto nel 1978) lo nomina prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
Pontefice — Viene eletto Papa il secondo giorno del conclave del 2005. Le sue prime parole: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore».
La rinuncia — L’11 febbraio 2013 comunica al mondo la sua rinuncia al ministero pietrino. Dopo l’elezione di Bergoglio ha assunto il titolo di Pontefice emerito

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