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Il DNA di un chewing gum dell’età della pietra rivela una storia affascinante

Gli scienziati hanno utilizzato un campione di saliva di 5700 anni fa per sequenziare il genoma completo di un’antica cacciatrice e il mondo di microbi che viveva nel suo corpo.

da Kristin Romey

pubblicato 22-12-2019

FOTOGRAFIA DI TOM BJÖRKLUND
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Una ricostruzione artistica di Lola che ha vissuto su un’isola del Mar Baltico circa 5.700 anni fa.

FOTOGRAFIA DI Tom Björklund

Viveva su un’isola del Mar Baltico intorno al 3.700 A.C. Era intollerante al lattosio e soffriva di parodontite. Poco prima aveva consumato un pasto che comprendeva anatre e nocciole. Come molti cacciatori-raccoglitori europei, aveva probabilmente occhi blu e pelle e capelli scuri.

Quello che, però, non possiamo sapere dell'essere umano che i ricercatori chiamano Lola è quanto a lungo ha vissuto, o quando e dove è morta. Perché tutto ciò che sappiamo di Lola proviene dal DNA raccolto in un mucchietto di resina d'albero che aveva masticato e sputato circa 5.700 anni fa.

Questa istantanea genetica è stata rivelata in uno studio pubblicato su Nature Communications il 17 Dicembre 2019: la prima volta che dei ricercatori sono riusciti a ricostruire un genoma umano completo dal remoto passato attraverso “materiale non umano”.

Oltre alla storia genetica di Lola, il team internazionale di ricercatori è riuscito anche a identificare il DNA di piante e animali che aveva mangiato di recente così come il DNA degli innumerevoli microbi che vivevano nella sua bocca, il cui nome collettivo è microbiota.

“È la prima volta che riusciamo a ottenere il genoma umano completo partendo da qualcosa di diverso rispetto a un osso umano. E questo già di per sé è degno di nota” dice Hannes Schroeder, professore associato di genomica evolutiva al Globe Institute dell’università di Copenhagen e co-autore dello studio. “La cosa più esaltante di tutto questo materiale è che siamo riusciti anche a ottenere il DNA del microbiota”.

La comprensione scientifica del microbiota umano è ai primi passi e i ricercatori stanno iniziando a capire quanto sia importante il ruolo che gioca per la nostra salute. Variazioni del nostro microbiota possono avere conseguenze di ogni tipo: dalla vulnerabilità alle infezioni alle malattie del cuore e probabilmente anche sul comportamento.

Essere in grado di sequenziare il DNA di un antico essere umano insieme al suo microbiota, dice Schroeder, aiuterà i ricercatori a spiegare il modo in cui si è evoluto il microbiota umano comprendendo, ad esempio, se aver cambiato la dieta nel passaggio tra caccia e raccolta e l’agricoltura migliaia di anni fa possa averlo alterato in meglio o in peggio.

 

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Il pezzo di resina masticato e sputato da Lola intorno al 3.700 avanti Cristo.

FOTOGRAFIA DI Theis Jensen

Il chewing gum dell’età della pietra

La cosiddetta pece è una sostanza collosa ottenuta riscaldando la resina dell’albero. In Europa è stata usata per unire le lame di pietra alle impugnature almeno da metà Pleistocene (da 750.000 a 125.000 anni fa). In diversi siti archeologici dove si fabbricavano utensili sono stati trovati grumi di resina con le impronte di denti umani. Questo fa supporre agli studiosi che la resina fosse masticata per ammorbidirla prima dell’uso. Data la sua natura antisettica, la resina potrebbe anche essere stata usata per scopi medici.

In assenza di resti fisici, a volte la resina masticata è l’unico segnale di presenza umana in un sito archeologico, e gli archeologi hanno a lungo sospettato che in quei mucchietti, in apparenza insignificanti, potesse risiedere una fonte di antico DNA. Solo di recente però, i ricercatori hanno avuto a disposizione gli strumenti per estrarre dati genomici da quelli che molti chiamano i chewing gum dell’antichità.

All’inizio del 2019 sono stati estratti alcuni genomi umani completi da resina di albero masticata 10.000 anni fa ed estratta, originariamente, oltre 30 anni fa nel sito di Huseby Klev in Svezia. “Sono reperti noti da diverso tempo” dichiara Natalija Kashuba, dottoranda al dipartimento di Archeologia e storia antica dell’università di Uppsala e prima autrice dello studio di Huseby Klev. “Fino ad ora però non erano mai stati presi in considerazione”.

In questo studio, il DNA di Lola e il relativo microbiota sono stati estratti da un pezzo di resina masticata dissotterrata nel sito di Syltholm sull’isola danese di Lolland (da qui il nome “Lola”). In questo sito gli archeologi hanno trovato prove di manifattura di oggetti e di macellazione di animali, ma nessun resto umano. 

L’area è stata datata con il radiocarbonio a circa 5.700 anni fa, che in Danimarca coincide con l’avvento del Neolitico. Era un periodo in cui le abitudini mesolitiche dei cacciatori-raccoglitori venivano messe in discussione dall’introduzione dell’agricoltura in aree a sud e a est.

Il DNA di Lola non mostra alcun marcatore genetico associato alle nuove popolazioni di agricoltori che entrarono in nord Europa, rafforzando l’idea che alcune popolazioni di cacciatori e raccoglitori - geneticamente diverse - sopravvissero nella regione più a lungo di quanto si pensava in precedenza. Il suo genoma ha svelato anche che era intollerante al lattosio, il che supporta la tesi secondo la quale le popolazioni europee hanno sviluppato la capacità di digerire il lattosio dopo che hanno iniziato a consumare il latte degli animali addomesticati. 

La maggioranza dei batteri identificati nel microbiota della bocca di Lola sono considerati normalissimi abitanti del tratto orale e dell’apparato respiratorio superiore. Alcuni, però, sono associati a una grave malattia parodontale. Il microbioma rivela anche la presenza di Streptococcus pneumoniae, seppure sia quasi impossibile capire da quel campione se Lola soffrisse di polmonite nel momento in cui stava masticando quel pezzo di resina. Lo stesso vale per il virus Epstein-Barr, che colpisce il 90% della popolazione umana, ma in genere provoca pochi sintomi (anche se si sviluppa in mononucleosi).

Vedere l’invisibile

Dalla resina masticata i ricercatori sono riusciti anche a identificare il DNA dell’anatra selvatica e delle nocciole, riuscendo a immaginare che il cibo era stato consumato da Lola poco tempo prima. La capacità di isolare il DNA di specifiche piante e animali dalla saliva di un essere umano preistorico ci può anche consentire di conoscere le abitudini dietetiche - ad esempio il consumo di insetti - che dai reperti archeologici non riuscirebbero a emergere. È il parere di Steven LeBlanc, ex direttore delle collezioni al museo di archeologia ed etnologia Peabody di Harvard.

LeBlanc è stato uno di quelli che, oltre un decennio fa, ha permesso alla scienza di entrare nell’era attuale: quella in cui siamo in grado di estrarre DNA umano da materiale non umano. Lo ha fatto con uno studio pionieristico del 2007 su fibre di yucca masticate rinvenute in siti archeologici degli Stati Uniti sud occidentali. È convinto che gli strumenti di cui oggi dispongono gli scienziati per ricavare non solo il genoma umano completo ma anche il microbiota e le informazioni sulla dieta partendo da materiale non umano stabiliranno un nuovo standard per capire in che modo siano cresciute e cambiate nel tempo le popolazioni antiche, il loro stato di salute e su cosa si basava la loro sussistenza.

“È assolutamente fantastico quanto sia evoluto velocemente questo campo” dice. “È scioccante pensare a quello che eravamo in grado di fare prima, con quello che siamo in grado di fare adesso”.

Ed è anche un promemoria del fatto che persino i reperti più insignificanti dovrebbero essere studiati e custoditi, aggiunge LeBlanc, ricordando i tempi in cui mostrava ai visitatori del Peabody i pezzi essiccati e masticati di Yucca sui quali studiava.

“Ora guarderebbero quello schifoso piccolo pezzo di fibra che il museo ha custodito per oltre cento anni. Nessuno potrebbe immaginare il motivo per cui ci siamo presi la briga di farlo. E a quel punto direi che da quell’oggetto siamo riusciti a estrarre DNA umano. E i loro occhi esprimerebbero meraviglia”.

LeBlanc immagina che i custodi del “chewing gum dell’età della pietra” abbiano avuto esperienze simili con il loro antichissimo grumo di resina, il quale oggi potrebbe rivelarsi uno scrigno di preziosissime informazioni in grado di cambiare la nostra comprensione del passato.

“Sicuramente ci sono stati un sacco di ministri di governi che dicevano: ‘Perché sprecate soldi e spazio per questi stupidi pezzetti neri?”.

“Ecco perché i musei si prendono cura di queste cose: perché non sappiamo cosa farci. Per ora”.