Il culto dei martiri nella liturgia romana
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IL CULTO DEI MARTIRI NELLA LITURGIA ROMANA

Mario Lessi-Ariosto

Prime testimonianze

Quando la Liturgia romana comincia a caratterizzarsi e assume alcune sue proprie linee di diversificazione dalle altre Liturgie l'era dei martiri non era compiuta. I cristiani seppellivano con il dovuto onore non solo i propri defunti, ma soprattutto coloro che avevano testimoniato, fino a subire la morte, la propria fede. Di un vero culto dei martiri non si trovano che scarse testimonianze fino al terzo secolo. Questo culto si sviluppa a partire dalle normali usanze funerarie locali, purificate alla luce della fede cristiana, e matura alla luce della riflessione relativa al ruolo ecclesiale del martirio e dei martiri.

Due sono i principali filoni di ricerca, che si illuminano vicendevolmente e ci permettono di ottenere delle notizie circa le prime forme del culto dei martiri: quelle che, in senso molto ampio possono essere incluse nella determinazione di "archeologiche" e quelle più propriamente "letterarie". Qui ci si riferirà soprattutto a queste ultime, pur riconoscendo che i due filoni hanno bisogno l'uno dell'altro per avere accesso ad una maggiore conoscenza.

Le prime attestazioni a Roma, le troviamo nella Depositio Martyrum del 354, e in essa si risale, prescindendo dagli Apostoli, al tempo di Papa Callisto e al gruppo dei sette diaconi martiri con Papa Sisto II, durante la persecuzione del 258.Nel Calendario Filocaliano non si trova menzione dei martiri del secondo secolo e si riscontrano non poche lacune che hanno dato adito a più di una congettura, ma sostanzialmente riflette il culto dei martiri a Roma. Contemporaneamente a Cartagine, nell'area africana della Liturgia romana, il vescovo Cipriano entra a far parte della lista dei martiri della propria Chiesa, che conosce e di cui scrive.

Le fonti letterarie ci testimoniano tuttavia di una riflessione intorno al martirio e ai martiri attraverso espressioni come quelle di Tertulliano: «Christus in martyre est» (De Pudicitia, 22) o l'altra di san Cipriano: «Evangelium Christi unde martyres fiume» (Epist. 38), che ci affermano essere, alla base della stima del martirio, la constatazione di una attuazione piena del Vangelo è quasi una nuova "ripresentazione" della beata Passione e Morte redentrice di Cristo. Per questo ogni Chiesa che, per divina degnazione, si sente illustrata, resa illustre e insieme illuminata, nel proprio cammino verso Cristo dal glorioso sangue dei martiri, che vengono designati come "incolae Christi", "beati", "beatissimi", "benedicti", può anch'essa gloriarsi del titolo di beata (Cf Cyprianus, Epist.10).

Ogni Chiesa notava nei suoi fasti la data del martirio dei propri figli (Cf Cyprianus, Epist.12,2), il ricordo delle gesta, l'ubicazione della tomba. E nella tradizione romana arriverà un momento in cui si arrivano a considerare come cittadini del luogo del martirio anche coloro che fossero originari di un'altra Chiesa (Cf Damasus, Epigram. n.46, per San Saturnino: "Sanguine mutavit patriam"). Ogni anno nel "dies natalis", che per i cristiani e il giorno della morte, la comunità cristiana si riunisce presso la tomba del martire, o in un locale più ampio accanto a questa, per celebrare nella gioia il "refrigerium" o pasto funebre al quale vengono unite delle letture, la preghiera, L'Eucaristia con le forme della spontaneità caratteristiche dei primi tempi anche della Liturgia romana. In queste assemblee si forma quello spirito che successivamente Sant'Agostino indicherà con il dire: «Ideo quippe ad ipsam mensam (...) eos commemoramus (...) ut eorum vestigiis adhaereamus» (In Ioan. tract.84,1).

La "rievocazione" delle gesta dei martiri era fatta, molto probabilmente con la lettura del racconto del martirio nel corso della celebrazione liturgica e il celebrare la "memoria" di un martire congloba allo stesso tempo un luogo e un anniversario.

L'espandersi del culto dei martiri e le forme della sua conservazione

Già per alcune affermazioni precedenti si è superato il periodo anteriore alla pace costantiniana. Non meraviglierà che dopo questa le tombe dei martiri vengano ornate con decorazioni che le distinguono da quelle di altri defunti, che il normale uso delle luci presso le tombe venga nel giorno anniversario ampliato e sulle tombe vengano sostituite le primitive iscrizioni con altre più elogiative. Tra le iscrizioni di questo genere sono celebri quelle di papa Damaso per il loro valore artistico e per la testimonianza della viva memoria storica che tramandano e orientano. Su alcune delle tombe vengono costruite delle basiliche, come luoghi di preghiera e di memoria, che permettono alle celebrazioni anniversarie di assumere caratteri di solennità. Le tombe dei martiri divengono meta di pellegrinaggio (Cf Paolinus Nolanus, Carmen 26, v.387-388; Prudentius, Peristephan. Hymn.XI, v.195-210).

Uno sviluppo ulteriore del culto dei martiri nella Liturgia romana avverrà al momento in cui esso verrà esteso ai "cenotafi" o tombe votive senza il corpo del martire e alle "reliquie", sia che indichino oggetti tenuti a contatto con i corpi o le tombe dei martiri, sia vere e proprie parti dei resti mortali. La mentalità proveniente dal diritto romano ha costituito infatti una iniziale notevole resistenza allo smembramento e anche alla semplice traslazione delle spoglie dei martiri. Se scoperte e traslazioni delle reliquie dei santi si evidenziano alla fine del IV secolo a Roma, però, il fenomeno è più tardivo (Cf San Gregorio Magno nella risposta negativa data all'imperatrice Costantina). Ma presto a Roma, come altrove, dato che molti sepolcri dei martiri stavano fuori della città, per toglierli all'incuria del possibile saccheggio, nel VII secolo iniziarono le traslazioni dei corpi dei martiri in città. Ciò si accentuò con le prime invasioni dei Longobardi e dei Saraceni.

Anche se fin dal IV secolo, non tutto nel diffondersi delle reliquie, nella costruzione delle "Memoriae", nel modo di celebrare gli anniversari è stato immune da falsificazioni e abusi che i vescovi rimproverano e correggono (Cf per le reliquie ed egualmente per la lotta alle agapi fraterne le opere di Sant'Agostino) il fervore di iniziative testimonia con certezza di un gran desiderio da parte dei cristiani di rendere culto ai martiri. Al tempo di Sant'Agostino accanto ai "Martyria" o "Memoryae" dei martiri locali dell'Africa cristiana si erigono dei "Martyria" per delle "reliquiae" provenienti da altre Chiese. Anche questi "martyria" divengono luoghi di venerazione riccamente adornati e grandemente frequentati. Ciò che si conosce per l'Africa dagli scritti di Agostino si è tuttavia verificato, anche se in forme diverse, per quasi tutte le Chiese dell'Italia, della Spagna, della Gallia.

Alla fine del IV secolo, il calendario romano era già abbastanza completo. Più tardi, le diverse Chiese locali porteranno a conoscenza l'una dell'altra i propri calendari, e ciò porterà ad un loro mutuo ampiamento.Poco dopo questi vari calendari furono riuniti per costituire i "martirologi", liste di nomi e brevi notizie di un certo numero di martiri, appartenenti a diverse Chiese locali, il cui anniversario cade nello stesso giorno. Tra questi è di rilievo quello di San Girolamo, che è alla base di tutti quelli che lo hanno seguito e ampliato nell'ambito della Liturgia romana, e che sono stati usati nell'Ufficio divino, oltre che nella lettura privata.

Paragonando il Calendario Filocaliano, il Martirologio Geronimiano e i calendari della Chiesa di Roma del secolo XI si nota che il primo recensisce solo martiri di Roma e indica il luogo dove si celebrava l'anniversario, ciò che il più delle volte continua a fare anche il Geronimiano. La documentazione circa il culto dei martiri a Roma, come appare dai calendari romani e da antichi Capitulari, dall'alto medioevo fino al secolo XIII, continua a testimoniare che a Roma non si ammisero che feste autenticamente romane, e che normalmente ogni chiesa celebrava le feste dei suoi martiri. Con papa Adriano I si cominciò a tralasciare di indicare i luoghi, anche perché la maggior parte delle celebrazioni si facevano nella basilica Vaticana. Ma dall'Ordo Romanus di Benedetto Canonico del secolo XII siamo informati che il Papa frequentava ancora regolarmente le "stationes" nei relativi "martyria", ed è per questo che il loro ricordo è pervenuto fino a noi.

Nel quarto e ancora quinto-sesto secolo nelle celebrazioni anniversarie sulla tomba dei martiri si diffondono e si organizzano delle "vigiliae" dette anche "pannuchis" in quanto dedicavano la notte alla preghiera, si diffonde e in certi casi autorizza (cf Conc. Hippon. 393, c.5; Conc. Carth. 397,c.36 b) l'uso della lettura agiografica relativa al martire e al suo martirio. Da queste letture prenderà poi in seguito l'avvio una letteratura agiografica, quella delle "Passiones", che avrebbe dovuto servire a sfondo di celebrazione liturgica, ma entrando nel campo dell'immaginario, del leggendario ne hanno talvolta deviato il senso rivolgendo l'attenzione verso il meraviglioso e l'incredibile contro la verità storica.

In queste celebrazioni, e fuori di esse, l'invocazione dei martiri si diffonde nelle Chiese. Sant'Ambrogio esorta i fedeli ad indirizzare le loro preghiere ai martiri, perché intercedano alfine di farci ottenere il perdono dei peccati. Sant'Agostino ci testimonia che se da una parte l'invocazione dei martiri era un fatto consolidato nelle comunità cristiane del IV secolo, l'espressione liturgica del loro culto, restava molto discreta.

Nella Liturgia romana il ricordo e la preghiera dei martiri entra presto a far parte della grande Preghiera Eucaristica, e il Canone Romano è testimone di questa tradizione. Il legame del sangue dei martiri con l'Eucaristia è testimoniato ancora dalla tradizione relativa all'altare nel quale fin dall'antichità devono trovarsi incluse reliquie di martiri che vengono portate solennemente in processione al momento della consacrazione-dedicazione di una nuova chiesa. Anche se questa usanza si è poi nascosta in forme quasi sclerotizzate attraverso l'uso degli altari portatili e delle pietre sacre da includere negli altari, estesa anche alle reliquie di altri santi, paragonati ai martiri perché tali in spirito, anche se era loro mancata, come viene detto di San Martino, l'occasione del martirio.

I primi testi eucologici usati nelle memorie dei martiri che ci sono pervenuti risalgono al Sacramentario veronese, che contiene i primi formulari di messa per la celebrazione del "dies natalis" di vari martiri. Nei primi Sacramentari ogni martire è festeggiato con un formulario proprio. Con i Sacramentari detti Gelasiani del secolo VIII si cominciano ad avere dei Comuni per i martiri, insieme ad altri Comuni per le altre categorie di santi. Questi comuni dei martiri si svilupparono ulteriormente fino alla fissazione che si riscontra nella riforma di san Pio V, e nella loro revisione posteriore.

Il culto dei martiri nella riforma dei libri liturgici della Liturgia romana

Quando venne presentato il nuovo Calendario Romano generale più di una voce si levò per dire che esso denotava un allontanamento dal culto dei santi e dei martiri solo per il fatto che era diminuito il loro numero e perché vari di essi erano stati lasciati alla possibile celebrazione nelle varie Chiese. Ma non si fece attenzione al fatto che, diminuendo il numero dei santi e dei martiri antichi, era stata aperta la porta alla celebrazione di martiri significativi dei vari continenti dove la Chiesa è stata presente dopo il periodo medievale e dopo la riforma tridentina.

Le celebrazioni dei martiri anche oggi continuano ad essere una corona di gemme accanto al Proprio del tempo, che tende a mostrare, per mezzo di «alcuni esempi ben scelti in mezzo all'immenso campo dell'agiografia, in qual modo la vita ed il mistero di Cristo possa essere rivissuto e realizzato dai credenti» (B. Ildefonso Schuster, Liber Sacramentorum, VI, c. II). I martiri fanno infatti sempre riferimento al Cristo,"Rex et caput martyrum" di cui imitano la passione, lottando, resi forti dall'Eucaristia, animati dallo Spirito Santo, per amore di Cristo e degli uomini, per testimoniare la fedeltà alla parola rivelata, per la verità e la giustizia, per la legge di Dio , e non potrebbero essere limitati ai soli antichi, o a quelli da tempo rinomati.

La Liturgia romana ha voluto aprirsi nella riforma liturgica ad altri martiri e ad altre forme di martirio, e il nuovo Calendario lo mostra con le figure dei Martiri Canadesi, dei Martiri del Vietnam, con San Massimiliano Kolbe unite a quelle dei tempi antichi. Un equilibrio è stato cercato perché ogni tempo della Chiesa, sposa di uno sposo crocifisso, è nel suo spirito sempre una Chiesa che tende a produrre martiri.

Nella attuale Liturgia delle Ore la riforma ha posto principi per una scelta delle letture agiografiche per i martiri che rappresenta la sintesi dei migliori elementi di una lunga tradizione su basi storicamente attendibili, in modo che il culto dei martiri sia liberato da quanto poteva avere assunto di leggendario, soprattutto al momento della diffusione di Passioni costruite con intenti di pietà e devozione, ma senza dati storicamente validi.

Così anche la eucologia per i martiri nel Messale e nella Liturgia delle Ore, armonicamente proveniente e connessa con quella della tradizione, testimonia dell'arricchimento della sensibilità teologica dell'attuale momento ecclesiale e della coscienza della necessità per la vita della Chiesa della memoria dei propri martiri.

Oltre ai testi propri di alcuni martiri già esistenti nella ricchezza eucologica contenuta negli antichi Sacramentari, il Comune dei martiri possiede ancora una grande varietà di testi: per un solo martire, per più martiri e, unico caso tra i Comuni dei santi, un Comune per più martiri nel tempo pasquale. Tutto ciò dimostra quanto ancora la Liturgia romana tiene al concetto e al culto dei martiri per i quali il Comune non vuole significare un livellamento, ma una necessità di tenere alto il loro concetto nel cuore della Chiesa tutta, delle singole Chiese e soprattutto di quanti sono chiamati dal Battesimo a divenire loro imitatori nella vita quotidiana.

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