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Andrea Riccardi in "effetto Ratzinger" descrive involontariamente la sede impedita

Andrea Cionci
Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

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Mentre il libro di Mons. Gaenswein riceve smentite e correzioni, con il decano dei vaticanisti italiani Marco Tosatti che avverte “Leggerei con molta cautela quello che dice; è probabile che alcune delle rivelazioni siano mirate, o vogliano essere lette da qualcuno all’interno della Chiesa in base a parametri che non conosciamo”, continuano a succedere fenomeni straordinari. Abbiamo già parlato dei codici Ratzinger postumi di Benedetto, delle letture sacre eloquentissime durante il funerale e del fatto che sulla sua lapide sia scritto P.P. (Pater Patrum, attributo del papa), così come nel rogito inserito nella cassa non vi è alcun cenno a rinunce al papato o abdicazioni QUI  . Ancor più straordinario è che, dopo la morte di Benedetto XVI, prosegua anche il cosiddetto “Effetto Ratzinger”, quel fenomeno per cui i suoi nemici sono proprio quelli che, involontariamente, più lo aiutano, svelando la realtà ormai abbacinante della sede totalmente impedita di Benedetto e del conseguente antipapato di Francesco.

E’ il caso della recentissima conferenza sul libro "Papa, non più papa. La rinuncia pontificia nella storia e nel diritto canonico" a cura di Amedeo Feniello e Mario Prignano (Viella). Un testo che, ovviamente, tende ad avallare la tesi farlocca dell’abdicazione di papa Benedetto proponendo dotti raffronti storici e proposte di riforme canoniche.

A questa ha partecipato il card. Gerhard Mueller, il canonista, cardinalato da Bergoglio, Gianfranco Ghirlanda, l’aedo del legittimismo bergogliano Massimo Franco, altri papaveri mainstream, ma soprattutto il prof. Andrea Riccardi, fondatore nel ’68 della Comunità di S. Egidio. Detto con rispetto, parliamo di una realtà “antimaterica” rispetto a Benedetto XVI: la comunità è conciliarista, modernista, ipersincretista, accoglientista, con un assistente spirituale come il vescovo Vincenzo Paglia (quello che si è fatto ritrarre nudo nell’affresco omoerotico della cattedrale di Terni), una comunità islamofila, come spiega Sandro Magister QUI  impegnata in politica, popolata da quei sacerdoti che lo stesso Ratzinger amaramente commentava come “preti ridotti al ruolo di assistenti sociali”  il cui  messaggio di fede è “ridotto a visione politica”.

Non stupisce, quindi, come da Effetto Ratzinger, che il prof. Riccardi abbia tenuto un intervento surreale che potrete ascoltare per intero QUI  , durante il quale, involontariamente, offre una serie di elementi e considerazioni utilissimi che confermano in modo clamoroso esattamente quanto dimostriamo da due anni e mezzo, cioè che papa Benedetto ha favorito il suo stesso esilio in sede totalmente impedita (can. 335), scismando i suoi nemici, per separare il grano dal loglio e difendere la chiesa dall’usurpazione di forze moderniste.

 Ed ecco i punti chiave del discorso di Andrea Riccardi:

“L’abdicazione di Celestino V è l’immagine vera della rinuncia di Benedetto”.

Tutt’altro: così scrisse Ratzinger in “Ein Leben”, libro intervista di Peter Seewald, (Garzanti 2020): “…ero ben consapevole del fatto che la situazione di Celestino V era estremamente peculiare e che quindi non poteva IN ALCUN MODO essere invocata come mio precedente”.   Ovviamente: mentre Celestino fu colui “che fece per viltade il gran rifiuto”, abdicando e scappando in montagna, Benedetto XVI si è autoesiliato in Vaticano, in sede totalmente impedita, senza lasciare il titolo di papa.

Prosegue Riccardi: “C’è un rito che inventa Celestino, con la sua genialità di uomo del Medioevo, che è la spoliazione delle vesti pontificali, la scesa dal trono, seduto per terra e l’assunzione, fatto non secondario, dell’abito da eremita. Nel tempo dei media contano, forse nel Medioevo contava di meno ma Celestino V tenne a farlo”.

Al professore non dice nulla che invece Benedetto, nell’era mediatica, abbia fatto l’esatto contrario, anzi mantenendo nome pontificale, veste bianca, P.P., benedizione apostolica, stemma araldico, residenza in Vaticano etc.? Se Celestino V già nel Medioevo aveva compreso la necessità di sottolineare anche con gesti simbolici la sua abdicazione, figuriamoci se Benedetto non avrebbe dovuto fare altrettanto! Invece papa Ratzinger ha fatto l’esatto opposto.

Riccardi prosegue sottolineando anche un altro un dato importante, cioè che Celestino prese la decisione di abdicare dopo essersi consultato coi cardinali:

“La storia di Celestino mostra i cardinali riuniti intorno al papa  nel duplice atteggiamento di resistere e cedere alle dimissioni. Nella vicenda di Ratzinger stando a quello che sappiamo e a quello che Gaenswein ha detto, il sacro collegio resta del tutto esterno. Il rito del discorso in latino al sacro collegio ratifica la passività dei cardinali:  solo Bertone e il decano Sodano vengono informati poco prima. E’ vero che il papa non ha superiori, ma come escludere del tutto i cardinali?”.

Già: perché escludere i cardinali? Perché Benedetto li ha messi di fronte al fatto compiuto con una dichiarazione che fu un “fulmine a ciel sereno”? Ovviamente perché i suoi nemici erano annidati proprio nel collegio cardinalizio, (Mafia di San Gallo) e perché la ratio del suo progetto antiusurpazione era esattamente quello di spiazzarli, confonderli, metterli alla prova con qualcosa che essi stessi dovevano interpretare. Prova non superata.

Riccardi rammenta: “E le parole della Declaratio furono per me uno choc per l’insistenza solo sulla «coscienza». Non ha consultato altri che la sua coscienza. E’ una forte affermazione della soggettività della coscienza. Siamo in un momento in cui il soggettivo prevale nella chiesa”.

No Professore, siamo in un momento in cui il papa era terribilmente isolato e ha preso questa decisione in modo segreto e autonomo. Forse nemmeno Mons. Gaenswein fu informato inizialmente,  e nel dettaglio, del piano. A questo punto, non sappiamo nemmeno se tutt’oggi abbia compreso realmente, visto l’ultimo libro.

 “Per questo nel 2016 Geanswein presentando il libro di Roberto Regoli, disse: «Non ci sono due papi ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e un membro contemplativo». (Quindi ce ne sono due!). «Per questo Benedetto non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca e l’appellativo corretto con cui bisogna rivolgersi a lui è Santità». Poi ci ha spiegato che l’assenza della mantellina voleva dire la rinuncia della potestà”.

Riccardi dimentica che Gaenswein aggiunse: “C’è un solo papa legittimo, ma due successori di San Pietro viventi”. Quindi, non ci sono affatto due papi: c’è un membro contemplativo, che è il papa legittimo, che è l’emerito, che coincide con l’impedito, Benedetto. E c’è un membro attivo, che è il papa illegittimo, cioè Bergoglio, che è antipapa usurpatore e impeditore.  Tutta la situazione vive “de facto” , come diceva Gaenswein, e non “de iure” proprio perché si tratta di un’usurpazione illegale.

“Sentii stridente l’affermazione che portava a far sopravvivere il papa che in fondo non si era spogliato né degli abiti, né dei titoli. Diciamolo chiaramente, questa è stata l’ambiguità di questi anni, che Benedetto ha teneramente spiegato con la mancanza di un altro abito nero, (QUI) ma è stata l’ambiguità di un uomo che è senza ambiguità né di pensiero né di atteggiamento”.

Fuochino, prof. Riccardi. Ratzinger era un uomo senza ambiguità, eppure giustificava “teneramente” il fatto di aver mantenuto l’abito bianco? Non sarà che ha mantenuto nome pontificale e abito perché era rimasto il papa sebbene in sede impedita? Non sarà che ha cercato di farvelo capire fin dal 2016 con la battuta sulla mancanza di altri abiti neri, o pensate che fosse in vena di tenere giustificazioni bambinesche perché sentiva che il bianco gli donava di più e gli si era affezionato?

Ma di seguito ci avviciniamo al gran finale del prof. Riccardi:

“La tradizione pastorale della chiesa insegna che un parroco non resta a vivere nella sua parrocchia, né un vescovo resta a vivere nell’episcopio, o chi è restato ha avuto esperienze negative. L’eremita prende le distanze fisiche dalla chiesa, va a vivere lontano. E’ difficile essere eremiti con un pugno di metri vaticani”.

Giusta e interessante considerazione: un papa abdicatario e che sceglie l’eremitaggio certo non resta in Vaticano a ingombrare il campo, con una abbacinante veste bianca e un cubitale nome pontificio, a meno che, appunto non sia un papa chiuso nella sua sede totalmente impedita. Che ne dite?

Ma, in un crescendo rossiniano irresistibile, qui Riccardi raggiunge lo zenith:  

“Ratzinger è rimasto ritirato, ma nel piccolo cicaleggiante villaggio vaticano. In questo senso ha assunto senza volerlo, in contrasto con le sue dichiarazioni, il ruolo di UNA SPECIE DI SOVRANO in esilio come Umberto II a Cascais in Portogallo a qualche schiera legittimista guardava, nonostante che Benedetto ha ripetutamente affermato che «c’è un solo papa».

Ottimo paragone, infatti, come conferma Andrea Borella, esperto di diritto dinastico ed editore dell’Annuario della Nobiltà Italiana, Umberto II non rinunciò mai ad essere re, tanto che continuava a nominare conti e baroni anche dopo il suo esilio. Proprio come Benedetto che è rimasto papa, sebbene impedito in Vaticano. Per quello papa Ratzinger ha affermato per nove anni “c’è un solo papa”. LUI.

Ancora non lo hanno capito, né il prof Riccardi, né Massimo Franco: continuano con la stessa ripetitività di mosche che picchiano sul vetro a interpretare arbitrariamente la frase “il papa è uno solo” come se fosse riferita a Bergoglio.

Qualcuno dotato di molta, molta pazienza potrebbe spiegare loro la realtà?

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