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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA CURIA ROMANA PER GLI AUGURI DI NATALE

Lunedì, 22 dicembre 1986

 

1. È con particolare gioia che vi saluto in questo tradizionale incontro che ci vede riuniti per scambiarci vicendevolmente gli auguri natalizi e per il nuovo anno. Ringrazio il nuovo cardinale decano del sacro collegio per le nobili parole con le quali ha interpretato i sentimenti che suggerisce questo momento di intimità familiare.

In questi giorni immediatamente precedenti la grande festività del Natale, nella quale celebriamo e commemoriamo insieme il Verbo di Dio, vita e luce degli uomini che per noi “si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14), il mio animo spontaneamente rivive insieme con voi, venerabili e cari fratelli della curia romana, quel che sembra essere stato l’avvenimento religioso più seguito nel mondo in quest’anno che sta per concludersi: la giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi, il 27 ottobre scorso.

Infatti in quella giornata, e nella preghiera che ne era il motivo e l’unico contenuto, sembrava per un attivo esprimersi anche visibilmente l’unità nascosta ma radicale che il Verbo divino, “nel quale tutto fu creato e nel quale tutto sussiste” (Col 1, 16; Gv 1, 3), ha stabilito tra gli uomini e le donne di questo mondo, coloro che adesso condividono insieme le ansie e le gioie di questo scorcio del secolo XX, ma anche coloro che ci hanno preceduto nella storia e coloro che prenderanno il nostro posto “finché venga il Signore” (cf. 1 Cor 11, 26). Il fatto di essere convenuti ad Assisi per pregare, digiunare e camminare in silenzio - e ciò per la pace sempre fragile e sempre minacciata, forse oggi più che mai - è stato come un limpido segno dell’unità profonda di coloro che cercano nella religione valori spirituali e trascendenti in risposta ai grandi interrogativi del cuore umano, nonostante le divisioni concrete (cf. Nostra Aetate, 1).

2. Questo avvenimento mi pare sia di una così grande portata, da invitarci di per se stesso a una approfondita riflessione per chiarirne sempre meglio il significato alla luce della commemorazione ormai imminente della venuta dell’eterno Figlio di Dio nella carne.

Perché è ovvio che non possiamo accontentarci del fatto stesso e della sua riuscita realizzazione. Certamente la giornata di Assisi sprona tutti coloro, la cui vita personale e comunitaria è guidata da una convinzione di fede, a trarne le conseguenze sul piano di una approfondita concezione della pace e di un nuovo modo di impegnarsi per essa. Ma inoltre, e forse principalmente, quella giornata ci invita a una “lettura” di ciò che è successo ad Assisi e del suo intimo significato, alla luce della nostra fede cristiana e cattolica. Infatti la chiave appropriata di lettura per un avvenimento così grande scaturisce dall’insegnamento del concilio Vaticano II, il quale associa in maniera stupenda la rigorosa fedeltà alla rivelazione biblica e alla tradizione della chiesa, con la consapevolezza dei bisogni e delle inquietudini del nostro tempo, espressi in tanti “segni” eloquenti (cf. Gaudium et Spes, 4).

3. Il concilio ha messo più d’una volta in rapporto l’identità stessa e la missione della chiesa con l’unità del genere umano, in specie quando ha voluto definire la chiesa “come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1.9; cf. Gaudium et Spes, 42).

Questa unità radicale che appartiene all’identità stessa dell’essere umano, si fonda sul mistero della creazione divina. Il Dio uno in cui crediamo, Padre, Figlio e Spirito Santo, Trinità santissima, ha creato con un’attenzione particolare l’uomo e la donna, secondo il racconto della Genesi; questa affermazione contiene e comunica una profonda verità: l’unità dell’origine divina di tutta la famiglia umana, di ogni uomo e donna, che si riflette nell’unità della immagine divina che ciascuno porta in sé (cf. Gen 1, 26), e orienta di per se stessa a un fine comune (cf. Nostra Aetate, 1). “Tu ci hai fatto, o Signore per te”, esclama sant’Agostino, nel pieno della sua maturità di pensatore, “ed inquieto è il nostro cuore finché non riposi in te” (Confessioni, 1). La costituzione dogmatica Dei Verbum (Dei Verbum, 3) dichiara che “Dio, il quale crea e conserva tutto per mezzo del suo Verbo, offre agli uomini una perenne testimonianza di sé . . . ed ebbe assidua cura del genere umano per dare la vita eterna a tutti quelli che cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene”.

Perciò non c’è che un solo disegno divino per ogni essere umano che viene a questo mondo (cf. Gv 1, 9), un unico principio e fine, qualunque sia il colore della sua pelle, l’orizzonte storico e geografico in cui gli avviene di vivere e agire, la cultura in cui è cresciuto e si esprime. Le differenze sono un elemento meno importante rispetto all’unità che invece è radicale, basilare e determinante.

4. Il disegno divino, unico e definitivo, ha il suo centro in Gesù Cristo, Dio e uomo “nel quale gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose” (Nostra Aetate, 2). Come non c’è né uomo né donna che non porti con sé il disegno della sua origine divina, così non c’è nessuno che possa rimanere al di fuori o ai margini dell’opera di Gesù Cristo, “morto per tutti”, e quindi “Salvatore del mondo” (cf. Gv 4, 42). “Perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio solo conosce, con il mistero pasquale” (Gaudium et Spes, 22).

Come si legge nella prima lettera a Timoteo, Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini” (1 Tm 2, 4-6). Questo mistero radioso dell’unità creaturale del genere umano, e dell’unità dell’opera salvifica di Cristo, che porta con sé il sorgere della chiesa, come ministra e strumento, si è manifestato chiaramente ad Assisi nonostante le differenze delle professioni religiosi, per nulla nascoste o attenuate.

5. Alla luce di questo ministero infatti le differenze di ogni tipo, e in primo luogo quelle religiose, nella misura in cui sono riduttive del disegno di Dio, si rivelano come appartenenti a un altro ordine. Se l’ordine dell’unità è quello che risale alla creazione e alla redenzione ed è quindi, in questo senso, “divino”, tali differenze e divergenze anche religiose risalgono piuttosto a un “fatto umano”, e devono essere superate nel progresso verso l’attuazione del grandioso disegno di unità che presiede alla creazione. Vi sono, certo, differenze in cui si riflettono il genio e le “ricchezze” spirituali date da Dio ai popoli (cf. Ad Gentes, 11). Non è a queste che mi riferisco. Intendo qui alludere alle differenze nelle quali si manifestano il limite, le evoluzioni e le cadute dello spirito umano insidiato dallo spirito del male nella storia (Lumen Gentium, 16).

Gli uomini potranno spesso non essere consapevoli di questa loro radicale unità di origine, di destinazione e d’inserimento nello stesso piano divino; e quando professano religioni diverse e incompatibili tra loro, potranno anche sentire come insuperabili le loro divisioni. Ma nonostante queste, essi sono inclusi nel grande e unico disegno di Dio, in Gesù Cristo, il quale “si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et Spes, 22), anche se questi non ne è consapevole.

6. In questo grande disegno di Dio sull’umanità la chiesa trova la sua identità e il suo compito di “sacramento universale di salvezza” appunto nell’essere “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium, 1); ciò significa che la chiesa è chiamata a operare con tutte le forze (l’evangelizzazione, la preghiera, il dialogo) perché si ricompongano le fratture e le divisioni degli uomini, che li allontanano dal loro principio e fine e li rendono ostili tra di loro; significa anche che l’intero genere umano, nell’infinita complessità della sua storia, con le sue differenti culture, è “chiamato a formare il nuovo popolo di Dio” nel quale si risana, si consolida e si eleva la benedetta unione di Dio con l’uomo e l’unità della famiglia umana: “Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale e alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono chiamati alla salvezza” (Lumen Gentium, 13).

7. L’universale unità fondata sull’evento della creazione e della redenzione non può non lasciare una traccia nella realtà viva degli uomini, anche appartenenti a religioni diverse. Per questo il concilio ha invitato la chiesa a scoprire e rispettare i germi del Verbo presenti in tali religioni (Ad Gentes, 11) e ha affermato che tutti coloro che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono “ordinati” alla suprema unità dell’unico popolo di Dio, alla quale per sua grazia e per il dono della fede e del battesimo appartengono già tutti i cristiani, con cui i cattolici “che conservano l’unità della comunione sotto il successore di Pietro”, sanno di “essere per più ragioni uniti” (cf. Lumen Gentium, 15).

È precisamente il valore reale e oggettivo di questa “ordinazione” all’unità dell’unico popolo di Dio, spesso nascosta ai nostri occhi, che può essere ravvisato nella giornata di Assisi; e nella preghiera con i rappresentanti cristiani presenti è la profonda comunione che già esiste tra di noi in Cristo e nello Spirito, viva e operante, anche se ancora incompleta, che ha avuto una sua peculiare manifestazione.

L’evento di Assisi può così essere considerato come un’illustrazione visibile, una lezione dei fatti, una catechesi a tutti intelligibile, di ciò che presuppone e significa l’impegno ecumenico e l’impegno per il dialogo interreligioso raccomandato e promosso dal concilio Vaticano II.

8. Come fonte ispiratrice e come orientamento fondamentale per tale impegno c’è sempre il mistero dell’unità, sia quella già raggiunta in Cristo per la fede e il battesimo, sia quella che si esprime nell’“ordinazione” al popolo di Dio, e quindi ancora da raggiungere pienamente.

E così come la prima trova la sua espressione adatta e sempre valida nel decreto Unitatis Redintegratio sull’ecumenismo, la seconda viene formulata, sul piano del rapporto e del dialogo interreligioso, nella dichiarazione Nostra Aetate, ambedue da leggersi nel contesto della costituzione Lumen Gentium. Ed è in questa seconda dimensione, ancora assai nuova nei confronti della prima, che la giornata di Assisi ci fornisce preziosi elementi di riflessione, che vengono illuminati da un’attenta lettura della menzionata dichiarazione sulle religioni non cristiane.

Anche qui si parla della “unica comunità” che formano gli uomini in questo mondo e la si spiega come frutto dell’“unica origine” comune, “poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra, affinché si incammini verso “un solo fine ultimo, Dio, la cui provvidenza, testimonianza di bontà e disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti si riuniscano nella Città Santa che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce (Nostra Aetate, 1).

Nei paragrafi seguenti, la dichiarazione ci insegna ad apprezzare le varie religioni non cristiane, entro questa generale cornice della nostra radicale unità, ma anche sottolineando gli autentici valori che le distinguono nel loro sforzo per rispondere “agli oscuri enigmi della condizione umana”, nel quale sforzo vuole vedere “un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”. E così “la chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”, e anzi “esorta i suoi figli affinché con prudenza e carità . . . sempre dando testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e sociali che si trovano in esse” (Nostra Aetate, 1. 2).

Ciò facendo, la chiesa si propone anzitutto di riconoscere e rispettare quell’“ordinazione” al popolo di Dio di cui parla la costituzione Lumen Gentium (Lumen Gentium, 16) e a cui ho fatto prima riferimento. Quando agisce in questo modo, essa è quindi consapevole di seguire un’indicazione divina, perché è il Creatore e Redentore che, nel suo disegno di amore, ha disposto questo misterioso rapporto tra uomini e donne religiosi e l’unità del popolo di Dio.

C’è anzitutto un rapporto col popolo ebraico: “quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale è nato Cristo secondo la carne”, a noi unito con uno spirituale legame. Ma c’è altresì un rapporto con “coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”. E c’è, ancora, un rapporto con coloro che “cercano un Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini” e dai quali “Dio stesso non è lontano” (Lumen Gentium, 16. 19).

9. Presentando la chiesa cattolica che tiene per mano i fratelli cristiani e questi tutti insieme che congiungono la mano con i fratelli delle altre religioni, la giornata di Assisi è stata come un’espressione visibile di queste affermazioni del concilio Vaticano II. Con essa e mediante essa siamo riusciti, per la grazia di Dio, a mettere in pratica, senza nessuna ombra di confusione e sincretismo, questa nostra convinzione, inculcata dal concilio, sull’unità di principio e di fine della famiglia umana e sul senso e sul valore delle religioni non cristiane.

E la giornata non ci ha insegnato a rileggere, a nostra volta, con occhi più aperti e penetranti il ricco insegnamento conciliare sul disegno salvifico di Dio, la centralità di esso in Gesù Cristo, e la profonda unità da cui parte e verso cui tende attraverso la diaconia della chiesa? E la chiesa cattolica si è manifestata ai suoi figli e al mondo nell’esercizio della sua funzione di “promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, anzi tra i popoli” (Nostra Aetate, 1).

In questo senso, si deve anche dire che la stessa identità della chiesa cattolica e la coscienza che essa ha di se stessa sono state rafforzate ad Assisi. La chiesa infatti, cioè noi stessi, abbiamo meglio capito, alla luce dell’avvenimento, qual è il vero senso del mistero di unità e di riconciliazione che il Signore ci ha affidato, e che egli ha esercitato per primo, quando ha offerto la sua vita “non soltanto per il popolo, ma anche per unire i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11, 52).

10. La chiesa esercita questo suo essenziale ministero in vari modi: mediante l’evangelizzazione dei sacramenti e la guida pastorale da parte del successore di Pietro e dei vescovi, mediante il quotidiano servizio dei sacerdoti, dei diaconi, dei religiosi e delle religiose, mediante lo sforzo e la testimonianza dei missionari e dei catechisti, mediante la silenziosa preghiera dei contemplativi e la sofferenza degli ammalati, dei poveri e degli oppressi, e mediante tante forme di dialogo e di collaborazione dei cristiani per realizzare gli ideali delle beatitudini e promuovere i valori del regno di Dio.

La chiesa ha esercitato tale ministero anche ad Assisi, in modo se si vuole inedito, ma non per ciò meno efficace e impegnativo, come è stato riconosciuto dai nostri ospiti, i quali esprimevano la loro gioia e esortavano a continuare per la strada intrapresa. D’altronde, la situazione del mondo, come vediamo in questa vigilia di Natale, è in se stessa una chiamata pressante a ritrovare e mantenere sempre vivo lo spirito di Assisi come motivo di speranza per il futuro.

11. Là si è scoperto, in modo straordinario, il valore unico che la preghiera ha per la pace; e anzi che non si può avere la pace senza la preghiera, e la preghiera di tutti, ciascuno nella sua propria identità e nella ricerca della verità. E in questo bisogna vedere, alla stregua di ciò che abbiamo detto prima, un’altra manifestazione mirabile di quella unità che ci collega al di là delle differenze e divisioni a tutti note. Ogni preghiera autentica si trova sotto l’influsso dello Spirito “che intercede con insistenza per noi”, “perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare”, ma egli prega in noi “con gemiti inesprimibili” e “colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito” (cf. Rm 8, 26-27). Possiamo ritenere infatti che ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo.

Anche questo si è visto ad Assisi: l’unità che proviene dal fatto che ogni uomo e donna sono capaci di pregare: cioè di sottomettersi totalmente a Dio e di riconoscersi poveri davanti a lui. La preghiera è uno dei mezzi per realizzare il disegno di Dio tra gli uomini (cf. Ad Gentes, 3). In questo modo si è reso manifesto che il mondo non può dare la pace (cf. Gv 14, 27), ma che essa è un dono di Dio e che bisogna impetrarla da lui mediante le preghiere di tutti.

12. Nel proporre a voi, signori cardinali, arcivescovi, vescovi e membri della curia romana, queste riflessioni sullo straordinario avvenimento che si è svolto ad Assisi, il 27 ottobre scorso, vorrei anzitutto che ciò fosse di aiuto per meglio prepararci a ricevere ancora una volta quel Verbo, in cui “tutte le cose sono state create” (cf. Gv 1, 3) e per cui tutti gli uomini sono chiamati ad “avere la vita e averla in abbondanza” (Gv 10, 10), quel Verbo divino che ha voluto “abitare in mezzo a noi” (cf. Gv 1, 14) e che, con la sua venuta, la sua morte, la sua risurrezione ha voluto “ricapitolare in sé tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra” (cf. Ef 1, 10).

A lui che “con l’incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et Spes, 22) vorrei ancora affidare il seguito da dare alla giornata di Assisi e agli impegni che, a questo scopo, tutti nella chiesa dovremmo assumere o stiamo già assumendo per rispondere alla vocazione fondamentale della chiesa tra gli uomini di essere “sacramento di redenzione universale” e “germe validissimo di unità e di speranza per tutta l’umanità” (Lumen Gentium, 9).

Sono certo che tutti voi, collaboratori della Curia romana, siete profondamente consapevoli di questa missione; e di tanto vi ringrazio, come pure per l’insostituibile aiuto che mi offrite, giorno dopo giorno, nel servizio della Chiesa universale, insieme con i rappresentanti pontifici nei vari paesi del mondo.

13. E mentre presento a tutti voi i miei più fervidi auguri natalizi, vorrei rinnovare l’espressione della mia riconoscenza a tutti coloro che, accettando il mio invito, non senza difficoltà e disagi, ci hanno con il loro esempio animati non soltanto a rendere testimonianza davanti al mondo del comune impegno per la pace, ma anche a riflettere sul mistero dell’opera di Dio nel mondo, a cui tutti vogliamo servire e il cui culmine nella pienezza dei tempi ci accingiamo a celebrare nella notte di Natale, sotto lo sguardo materno di Maria.

 

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