La coesistenza di un papa e del suo predecessore può funzionare se l’emerito resta «invisibile». E comunque, è una situazione che va regolamentata, altrimenti la si «abbandona a responsabilità individuali che non è detto facciano l’interesse della Chiesa». Massimo Faggioli, storico del cristianesimo e teologo, docente alla Villanova University (Philadelphia, Usa), commenta così la vicenda degli “appunti” di Ratzinger relativi agli abusi nella Chiesa. Per il teologo tra l’altro non ha senso che l’entourage di Benedetto XVI «non risponda a nessuno, solo a Ratzinger, e in quali modi non si sa». 

Professore, come descrive la pubblicazione del testo di Benedetto XVI ?

«È un intervento improprio relativo a una questione delicatissima, quella degli abusi sessuali, su cui nella Chiesa universale, soprattutto nei Paesi maggiormente travolti dalla crisi, non c’è unità di interpretazione. Il Papa emerito ha detto la sua in un processo ancora in corso. In più, la scelta di pubblicare gli appunti su media cattolici e non-cattolici che negli Stati Uniti fanno parte dell’apparato conservatore e tradizionalista che da sempre fa propaganda contro papa Francesco alimenta il dubbio che si tratti un colpo di mano per indebolire Bergoglio – da parte non di Benedetto, ma di altri». 

C’è una questione di metodo e «costituzionale» in Vaticano?

«Sì. In sei anni Joseph Ratzinger aveva pubblicato alcuni testi ma su questioni per specialisti. Il punto dirimente è che il Papa emerito (che sarebbe meglio chiamare vescovo di Roma emerito) come istituzione è nuova per la Chiesa, e può funzionare bene senza particolari regolamentazioni o statuti giuridici solo se resta invisibile. Dal momento che inizia a essere visibile, va regolato. La situazione ha retto finora perché Ratzinger è stato, su tutte le questioni cruciali della Chiesa, abbastanza invisibile».

Come si spiega questo cambio di rotta?

«Non penso che ci sia malizia in Benedetto, ma da parte di chi ha l’intenzione di prolungarne il pontificato e quindi di farlo diventare visibile».

In che senso?

«Si poteva immaginare nel febbraio-marzo del 2013 che tutto questo sarebbe andato bene grazie al buon senso di chi ruota attorno a Benedetto, e invece c’è da dire che non tutti stanno operando con senso di responsabilità».

Che cosa si aspetta ora?

«Si pone il problema di regolamentare la figura dell’emerito per il futuro, perché è possibile che ce ne saranno altri, ed è una situazione che non va lasciata a se stessa, altrimenti vuol dire abbandonarla in mano a responsabilità individuali che non è detto facciano solo l’interesse della Chiesa».

C’è chi mette in dubbio l’autenticità del testo: che ne pensa? 

«Effettivamente non se ne capisce la genesi, non si comprende con chiarezza se sia stato compilato esclusivamente da Benedetto. L’articolo sembra una caricatura del pensiero di Ratzinger. Anche perché la risposta istituzionale alla crisi degli abusi sessuali inizia con il suo pontificato. E poi è improbabile che Ratzinger trascuri l’evidenza che la pedofilia nella Chiesa esisteva già prima del ’68 e non riguardava solo l’ala “progressista”, ma anche prelati importanti legati alla rigida ortodossia». 

Secondo lei dove sta il problema principale in questa vicenda?

«La libertà del Papa emerito da chi può disporre del suo accesso ai mass media, ai canali informativi nell’era della comunicazione digitale e dei social media. Il suo entourage è impenetrabile e irresponsabile, nel senso che non risponde a nessuno, solo a Benedetto, e in quali modi noi non si sa».

Questo articolo è stato pubblicato nell'edizione odierna del quotidiano La Stampa

LEGGI ANCHEFrancesco e l'ombra di Ratzinger, la coesistenza che pesa sul Vaticano

I commenti dei lettori