martedì 13 novembre 2018
Claudio Parmiggiani ha realizzato altare e ambone per la basilica di Gallarate. Un lavoro denso, carico del senso della storia e della liturgia, e ricco di spunti
L'altare di Claudio Parmiggiani per la basilica di Santa Maria Assunta di Gallarate (Giorgio Giovara)

L'altare di Claudio Parmiggiani per la basilica di Santa Maria Assunta di Gallarate (Giorgio Giovara)

«Due luminose lastre marmoree sovrapposte che trattengono e proteggono, quasi materno pellicano, una moltitudine di teste antiche; reliquie ed emblemi di una sacralità, di una umanità, di una totalità». Descrive così Claudio Parmiggiani l'altare realizzato, insieme all'ambone per il nuovo presbiterio della basilica di Santa Maria Assunta a Gallarate (Varese).

Si tratta di un'opera importante, all'inizio senza dubbio spiazzante ma densa di significati, carica del senso della storia e del suo incontro con la liturgia. Tra i due pesanti piani l'artista reggiano, tra i più importanti e rigorosi (nonché tra i più schivi) protagonisti del panorama contemporaneo, si accumula una congerie di teste, copie di celebri pezzi delle storia dell'arte: dall'Apollo del Belvedere alla Vergine della Pietà michelangiolesca fino a Bernini.

Non è un banale problema citazionista: è l'intera storia dell'uomo, riassunta attraverso le sue testimonianze più alte, che si raccoglie al suo interno. È vero che ci sia un senso malinconico della storia, che è quello di una umanità in attesa di essere riscattata. È come se la gloria della storia dell'uomo si traducesse in un cumulo di macerie. Le teste "decapitate" (su cui si stanno accentrando polemiche) possono effettivamente apparire un dettaglio macabro: eppure non si può dimenticare che gli altari delle basiliche antiche sorgevano sopra i corpi dei martiri e che immagini di decapitazioni non sono infrequenti nella storia plurisecolare dell'iconografia cristiana. «Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa», si legge nell'Apocalisse.

Ma questa non è una semplice scultura, è un altare: l'opera di Parmiggiani è una struttura che si completa nella liturgia, quando sopra la mensa si compie il mistero del corpo e del sangue, o quando il Santissimo Sacramento è esposto per l'adorazione. Appare così evidente come la storia dell'uomo si ricapitola tutta intera in Cristo. Davvero questo è "l'altare dell'Apocalisse". Sotto questo aspetto, è un'opera "medievale", perché di quell'epoca ha una visione insieme storica e metastorica: tutto corre verso Cristo, tanto quello che è accaduto prima della sua venuta, quanto ciò che è accaduto dopo. L'altare di Parmiggiani ha la virtù di suggerire visivamente una triplice temporalità della liturgia: dopo il tempo, sopra il tempo, dentro il tempo.

L'altare, collocato in occasione di un riuscito restauro della grande basilica ottocentesca, riesce a polarizzare in modo nuovo lo spazio dell'edificio, nel pieno senso della liturgia del Concilio Vaticano II, con il contemporaneo che si inserisce nell'antico in modo organico e allo stesso tempo ben caratterizzato. Essenziale l'uso particolarmente raffinato dei materiali. L'altare in onice bianco è collocato su una vasta piattaforma in onice ocra che avanza verso l'assemblea. Un moto accentuato dall'ambone, che si protende sopra i gradini. L'ambone è realizzato in labradorite, una pietra scura sulla cui superficie, con il variare dell'incidenza della luce, si manifesta un gioco di riflessi metallici, come se ci fosse una fonte luminosa interna.

«Il pulpito - sottolinea ancora Claudio Parmiggiani - nella sua forma si affida unicamente alla sua funzione assoluta. Messaggero della Parola. Nessuna immagine, solo la Parola come luce divina, solo lo splendore della materia, solo la luce come Parola divina. Luce suggerita da improvvisi bagliori di oro e di azzurro che vivificano ed animano la superficie del pulpito. La Parola è dentro la materia».

La qualità del nuovo presbiterio è dovuta anche al lungo percorso di riflessione e gestazione, durato in tutto tre anni. L'intervento è stato reso possibile dalla generosità del benefattore Franco Moggio e da Ivano Valagussa, fino a pochi mesi fa parroco e oggi vicario episcopale dell'arcivescovo di Milano, che ha presieduto una commissione composta da Giancarlo Santi, Andrea Dall’Asta, Carlo Capponi, Claudio Magnoli, Francesco Tedeschi, Giovanni Orsini e dalla direttrice del Museo MA*GA Emma Zanella, a testimonianza del valore globale assunto dall'intera operazione.





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