Nel Catechismo della Chiesa cattolica deve trovare più spazio il no alla pena di morte, che è una condanna «disumana» ed è «in sé stessa contraria al Vangelo». Lo ha detto il Papa intervenendo nell’aula del Sinodo in Vaticano all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione in occasione dei 25 anni dalla promulgazione del nuovo Catechismo, voluto da Giovanni Paolo II. È l’occasione per Francesco non soltanto di ribadire con forza la contrarietà verso le esecuzioni capitali, con un accenno di 


Già Papa Wojtyla, promulgando il Catechismo sosteneva che «esso deve tener conto delle esplicitazioni della dottrina che nel corso dei tempi lo Spirito Santo ha suggerito alla Chiesa. È necessario inoltre che aiuti a illuminare con la luce della fede le situazioni nuove e i problemi che nel passato non erano ancora emersi». Non è sufficiente, quindi – spiega Francesco - «trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre; è necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l'umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce». Senza mai dimenticare che, come recita il Catechismo, «tutta la sostanza della dottrina e dell'insegnamento dev'essere orientata alla carità che non avrà mai fine» dando «sempre e in tutto rilievo all'amore di nostro Signore».

In questo orizzonte Francesco colloca la richiesta di dare maggior spazio nel testo al no alla pena di morte, a motivo del progresso della dottrina e della «mutata consapevolezza del popolo cristiano che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana»

«Si deve affermare con forza – continua il Papa - che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante. Mai nessun uomo, neppure l'omicida perde la sua dignità personale, perché Dio è un Padre che sempre attende il ritorno del figlio il quale, sapendo di avere sbagliato, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, quindi, può essere tolta non solo la vita, ma la stessa possibilità di un riscatto morale ed esistenziale che torni a favore della comunità». Francesco ricorda che nei secoli passati, quando c’era una «povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell'applicazione della giustizia». 

 

Purtroppo, aggiunge Francesco, «anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo». Oggi però «rimanere neutrali» di fronte «alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli». Il Papa precisa che, nel caso della pena di morte, «non siamo in presenza di alcuna contraddizione» con l'insegnamento del passato, perché «la difesa della dignità della vita umana dal primo istante del concepimento fino alla morte naturale ha sempre trovato nell'insegnamento della Chiesa la sua voce coerente e autorevole». E conclude: «È necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all'inviolabilità e dignità della persona».

 

Francesco è quindi tornato sul tema dello «sviluppo armonico della dottrina» ricordando come il Concilio Vaticano II abbia insistito sulla dinamica di una Tradizione che «progredisce, cresce, tende incessantemente alla verità». Pertanto, spiega il Papa, «la Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare». 

Dunque, «non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l'azione dello Spirito Santo». Parole oggi applicate dal Pontefice alla pena di morte ma che possono essere messe in relazione con tanti altri esempi, anche quelli oggi dibattuti nella Chiesa.

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