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LA SCOPERTA

Il comandante dei cristeros? Era cattolico (da sempre)

Il generale Enrique Gorostieta, interpretato da Andy García nel film Cristiada, fu un uomo diverso da quanto si è ritenuto. Non fu mai ateo o massone: la sua famiglia era molto cattolica e lui stesso era un fedele devoto. Lo mostrano le lettere conservate da una sua discendente, da cui si evince l’impegno di un uomo che invoca Gesù e Maria.

Cultura 26_06_2019

Chi non ha amato Cristiada, il bel film sulla rivolta del Messico cattolico (1926-1929), diffuso anche con il titolo For Greater Glory? La sua trama storica, al di là di qualche lecita e comprensibile licenza narrativa; il martirio, vero, del giovanissimo san José Sanchez del Río (1913-1928); l’eroica resistenza dei contadini-guerrieri contro il dispotismo liberal-social-massonico dei governativi; e ovviamente la figura di Enrique Gorostieta Velarde (1890-1929), magistralmente interpretato dall’attore Andy García, che nel personaggio e nel film ha fortemente creduto.

Gorostieta, narra il film, era un valente comandante che aveva studiato alla scuola militare e che, un po’ com’era accaduto nella Vandea francese assediata dal Terrore giacobino nel 1793, si era fatto a lungo pregare dal popolo in rivolta per poi, superata la riluttanza dovuta soprattutto alla certezza che il confronto impari avrebbe finito per travolgere gli insorti, mettersene alla testa, imponendo la disciplina, organizzando i reparti, conducendo strategie vittoriose e infliggendo al nemico sconfitte cocenti. Poi, sempre come in Vandea, l’impossibilità di reggere il confronto con il nemico era finita in disfatta, affrontata comunque con virilità, nella certezza della bontà della causa, nell’impossibilità di praticare qualsiasi altra strada e nella convinzione di avere fatto tutto secondo coscienza. Quindi, come si addice agli eroi, la morte aveva chiuso la partita, cogliendo gli indomabili nel fiore degli anni oppure, appunto nel caso messicano di Gorostieta, mentre davano il meglio di sé. Meglio bruciare nella vampa della passione che avvizzire lentamente.

Peraltro Gorostieta - narra ancora il film - a differenza di molti capitani vandeani e di altri capi dei cristeros, non condivideva il fuoco sacro dei propri uomini. Lo ammirava, lo rispettava, ma non ne era divorato. Alla testa di quei cattolici senza né aggettivi né compromessi, si era messo da liberale, convinto che il governo dispotico di Plutarco Elía Calles (1877-1945) si fosse spinto davvero troppo in là. Lo animava, cioè, una mondana, benché profonda, convinzione che la tolleranza delle religioni e delle opinioni altrui fosse una causa degna di spenderci la vita. Non credente, probabilmente persino massone, Gorostieta si era messo insomma alla guida della rivolta, dove avere cercato di dissuadere i popolani, un po’ per ragioni politiche e un po’ per interesse personale, sentendosi minacciato nei propri averi dalla fobia del governo che nazionalizzava e che confiscava a spron battuto. Cristiada, il film, racconta del resto di Gorostieta quel che di Gorestieta, e non è moltissimo, generalmente si sa.

La fonte principale di quel che se ne sa è la maggiore autorità mondiale negli studi sulla guerra cristera, Jean Meyer Barth. Francese, classe 1942, naturalizzato messicano nel 1979, Meyer è l'autore di monografie scientifiche e di volumi imprescindibili che da anni hanno finalmente restituito a quella vicenda messicana la sua storia, la sua gloria e la sua legittimità, su tutti i tre corposi volumi di La Cristiada, pubblicati originariamente tra il 1973 e il 1975.

Ma la storia di Gorostieta come narrata nel film Cristiada, perché così la narra sostanzialmente Meyer, non è in realtà affatto cosi. Meyer si sbaglia di grosso. Chi lo dice? Lo stesso Meyer. Con un gesto assieme cavalleresco e di grande rigore, scrivendo sul quotidiano messicano El Universal del 2 giugno, giorno del 90° anniversario dell’uccisione del generale, il famoso cattedratico ha fatto quello che raramente i suoi collegi cattedratici fanno. Ha ammesso di avere preso un granchio, enorme, e si è corretto.

Meyer ha sbagliato in perfetta buona fede, fidandosi anch’egli dei materiali biografici disponibili. Ha ripetuto le voci, in mancanza di altro, che su Gorostieta sono circolate per decenni. Ha ripreso la leggenda buona, quasi pia, di un agnostico di valore e virtù naturali che finì per innamorarsi della “causa perduta” di un manipolo di guasconi, se non di straccioni, anarchici e disordinati, ma animati da una gran fede, che lui non aveva il dono di avere, per la quale sacrificarono tutto, e che così impartì un esempio che scuote anche le montagne. E che alla fine forse nemmeno si convertì, almeno nel senso forte del termine, ma imparò con dignità e trasporto a gridare anch’egli «¡Viva Cristo rey!» in faccia al nemico e alla morte, giacché in quel grido qualcosa di “magico” lo aveva catturato. Ma no, Gorostieta non fu affatto un uomo cosi. Fu un uomo persino migliore.

Il generalissimo fu infatti cattolico, e da sempre, profondamente devoto, tutto d’un pezzo. Anch’egli senza aggettivi, perché non servono, come se la fede avesse bisogno di rafforzativi o di qualifiche. Convintamente aveva creduto nella causa cristera. Certamente aveva nutrito dubbi, da militare esperto qual era, sul successo della missione, ma non per questo si tirò indietro. Insomma, «¡Viva Cristo rey!» lo aveva gridato con convinzione da subito, da sempre. «¡Viva Cristo rey!».

Proveniva, Gorostieta, da una famiglia cattolica, devota, che lo aveva educato alla fede e al patriottismo autentico (quello che il nazionalismo si affanna a inseguire, ottenendo però risultati pessimi, talora meschini e talaltra raccapriccianti). Fu dunque un grande combattente, un generale sagace, un messicano vero, un cattolico coraggioso, un soldato integerrimo di Cristo.

Meyer lo rivela oggi, informando di una scoperta - un’altra fondamentale acquisizione della scienza storica - che gli è stata possibile grazie a Leticia Gorostieta, discendente del comandante. Conscio di essere all’origine dell’errore storiografico, Meyer – il suo articolo è stato tradotto in italiano sul sito di Alleanza Cattolica – scrive che la donna gli «[…] ha mostrato le 18 lettere inviate dal generale a sua moglie tra il 1927 e il 1929, così come la corrispondenza che intrattenne con i propri genitori. Conclusione? La sua famiglia era molto cattolica, erano tutti praticanti, senza eccezioni. Le lettere, scritte tra cavalcate e combattimenti, rivelano un uomo profondamente innamorato della moglie e che adora i propri figli. E un cattolico che ha accettato di prendere la strada della montagna per dovere, per difendere il popolo cattolico e la Chiesa. Tra le righe, giacché Gorostieta deve scrivere con prudenza, si legge il grande dramma della Cristiada, l’impegno totale di un uomo che invoca Dio, Cristo e Maria, che si affida alle preghiere del suo popolo, che prega per il suo popolo e che non dubita della vittoria finale».

Il Signore scrive diritto anche sulle righe storte, e certo non fa eccezioni per i cristeros. Le opere sul tema andranno dunque emendate alla prima occasione, compreso Cristiada. L'epopea dei Cristeros in Messico (Lindau, Torino 2016) di Mario Arturo Iannaccone, che giustamente segue l’autorevolezza di Meyer anche nell’errore e che nondimeno resta un lavoro, in italiano, imprescindibile. Ma i cattolici hanno di che gioire. Tra loro c’è un eroe in più. Averlo scoperto riempie il cuore.