Dal Silenzio una voce. Esperienze di conversione nell’Asia di oggi, Luis Antonio Gokim Tagle, Emi

L'Asia è la frontiera della missione cristiana. Serve gioia, non vacuo ottimismo

Luis Antonio Gokim Tagle

“La chiesa in occidente è stanca e vecchia? Se continua a ripeterlo non guarirà mai”. La questione delle radici

Pubblichiamo in anteprima la prefazione firmata dal cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila, al libro di Tiziano Tosolini, “Dal silenzio una voce. Esperienze di conversione nell’Asia di oggi”, edito da Emi (128 pp., 14 euro) e in libreria dal prossimo 17 ottobre. Tosolini è un missionario saveriano attivo in Giappone da oltre 20 anni.


Il termine “conversione” nel Nuovo Testamento compare nella forma greca di metanoia, che significa letteralmente “cambiare strada”. La conversione, nella tradizione cristiana, almeno nella sua accezione comune, ha assunto nel tempo il significato allargato di “cambiare vita”, indicando così la decisione di abbandonare atteggiamenti invischiati nell’idolatria del sé, non improntati all’amore gratuito di Dio e del prossimo, per scegliere invece uno stile di vita di gratitudine, carità e fiducia. Quando si leggono le storie di persone che hanno scoperto la bellezza del Vangelo e il volto amorevole di Dio che Gesù Cristo ci ha fatto conoscere, il termine “conversione” – pur legittimo, in termini comunicativi – sembra essere quasi riduttivo. Gli uomini e donne che per esempio si raccontano in queste pagine toccanti e a tratti commuoventi si sono sì convertiti, ma non nel senso che abbiamo visto sopra (“cambiare strada”), bensì hanno rivolto la propria vita alla persona e al messaggio di Cristo, aderendovi con tutto il cuore. La scoperta – ora casuale, ora misteriosa – della storia di Gesù è diventata il motore di una ricerca spirituale che conduce queste persone ad abbracciare la fede cattolica nella scelta di chiedere e ricevere il battesimo. L’Asia, insieme all’Africa, è il continente in cui si assiste alla maggior diffusione del cristianesimo oggi nel mondo. Ogni anno, a Pasqua, migliaia di catecumeni ricevono il battesimo nelle diverse chiese di Hong Kong. Anche nelle campagne cinesi il Vangelo si diffonde da persona a persona. Mi è stato raccontato un aneddoto particolarmente significativo: nelle risaie, dove ancora il lavoro di piantare il riso viene fatto a mano, vi sono dei cristiani che raccontano sottovoce ai propri compagni e compagne di lavoro la storia, i fatti e le parole di Gesù. Padre Giorgio Marengo, missionario della Consolata in Mongolia, un paese che solo dagli anni Novanta ha potuto ospitare di nuovo, dopo decenni di ateismo di stato, una presenza cattolica stabile, ha scritto un libro sul “sussurrare” il Vangelo in Asia. “Sussurrare” è una parola che mi piace molto: significa proporre e non imporre, significa che il nostro parlare viene dal nostro cuore e dal nostro intimo. E che per questo ha i toni dell’autenticità e della fiducia. Ogni cammino di adesione personale alla fede cristiana si snoda attraverso altri due elementi, come le vicende di vita raccolte da padre Tiziano Tosolini ci testimoniano: da un lato, la comunità è il luogo in cui il mistero di Dio si manifesta. Dall’altro, l’approdo al battesimo non significa il rifiuto sprezzante né l’abiura violenta del proprio passato religioso. Vorrei soffermarmi un po’ su questi due aspetti. Uno dei protagonisti di questo libro afferma di essere sempre rimasto colpito dalla gioia di una famiglia cattolica che abitava nelle vicinanze di casa sua, una gioia che questa famiglia manifestava mentre si recava, unita, alla celebrazione eucaristica domenicale. La gioia. Una dimensione umana che oggi sembra quasi “scandalosa” nella società in cui – come preconizzava anni fa lo studioso Neil Postman – l’obbligo sociale pare essere quello di “divertirsi da morire”. La gioia è qualcosa di diverso dal divertimento. E’ qualcosa di profondo, di radicale e che scuote. Padre Timothy Radcliffe, il noto teologo domenicano, ha scritto su questo parole significative: “Se il XXI secolo sarà più laico del precedente – e non possiamo esserne certi – allora la gioia sarà la prima cosa che la gente dovrà vedere in noi e in tutti coloro che annunciano il Vangelo. I nostri interlocutori si accorgono che siamo felici prima di comprendere il motivo per cui siamo felici. E’ una gioia che suscita perplessità nelle persone e le spinge a chiedersi da dove provenga”. La gioia del Vangelo (non è un caso che Papa Francesco abbia intitolato così il documento che lui considera il “programma” del suo pontificato, Evangelii gaudium) è davvero il distintivo – meglio, dovrebbe essere – dei cristiani. I quali hanno avuto il privilegio di un dono immenso: la certezza che la morte, il peccato e il male non sono l’ultima parola nella storia del mondo. Dio ha resuscitato il suo Figlio Gesù, lui ha vinto la morte, ha vinto ogni nostra morte, la morte “grande” che ci verrà incontro nel nostro ultimo giorno, e ogni nostra morte “piccola”, i nostri peccati, i nostri errori, le nostre mancanze. La gioia è e può diventare il motore nascosto della missione cristiana oggi. Ho più volte ricordato quanto dissi durante il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Dissi che avevo sentito ripetere troppe volte, in occidente, che la chiesa è stanca, vecchia, acciaccata e non ha più incidenza nella vita delle persone. In quell’occasione mi permisi di richiamare un dato elementare: se una persona non sta bene di salute, e continua a dirselo e ridirselo, e lo ripete a chiunque incontri, ebbene, quella persona non guarirà mai! Ecco, la nostra fede ci regala la gioia, che non è il vacuo ottimismo, ma è la certezza che ogni cosa ha un senso più alto in Dio. Vivere una vita gioiosa non è cosa da poco, significa contribuire con costanza a mantenere le radici della nostra fede vive e feconde. Un altro aspetto che emerge da queste pagine è il rapporto che ogni nuovo cristiano ha con le proprie radici religiose, che si tratti del buddhismo, dell’islam o dello shintoismo. Come dicevo poc’anzi, non vi troviamo sentimenti di disprezzo né un senso di abiura. Vi è invece la convinzione di aver ricevuto un dono che sazia la fame di infinito e di amore che ogni anima porta con sé. Scrive una degli intervistati, Jennifer, da Taiwan: “Essere cristiani non è in contrasto con la cultura di questo paese, anche in presenza di tradizioni diverse, come pulire le tombe degli antenati in aprile, e fare offerte e celebrazioni particolari per i morti il settimo mese”. Ricordo lo sgomento di un missionario italiano in Cambogia, anni fa. Mi raccontava la prassi di alcuni cristiani stranieri fondamentalisti presenti nel paese: a quanti volevano diventare loro adepti, essi imponevano di calpestare, durante una cerimonia pubblica, le statue delle divinità che fino ad allora avevano adorato. Non è questa la via della Chiesa cattolica, che invece, dal Concilio Vaticano II, manifesta pieno rispetto per le credenze dei diversi popoli e delle diverse culture. L’Asia è il continente nel quale sono nate le grandi tradizioni religiose del mondo: l’islam è nato in Asia, shintoismo, buddhismo, induismo hanno in Asia le loro radici. L’ebraismo e il cristianesimo sono sbocciati in Asia. “Ricordatevi: Gesù è asiatico”: con quanta forza san Giovanni Paolo II scandì questa frase durante il Sinodo sull’Asia! Ero presente e lo ricordo bene. Le storie che padre Tosolini ha raccolto in questo libro ce lo testimoniano: Gesù non è straniero in Asia, non è un forestiero in terra asiatica. Qui ha ancora casa. In Asia Gesù è di casa.