I social network come mezzo di commissione del reato: lo Stalking

Paola Sparano 19/12/12
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La tecnologia avanza ed il diritto cerca di stare al passo con i tempi. Nuovi reati vengono a crearsi sempre con maggior riferimento alle nuove tecnologie come Facebook, uno dei più grandi social network che ha preso piede tra i giovani e i meno giovani e che si rileva come strumento per la realizzazione di svariati reati tra cui lo Stalking. Con il termine inglese stalking si indica un insieme di comportamenti molesti e continui, costituiti da ininterrotti appostamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti comunemente frequentati dalla vittima, ulteriormente reiterati da intrusioni nella sua vita privata alla ricerca di un contatto personale per mezzo di pedinamenti, telefonate oscene o indesiderate, e anche per mezzo di insistenti contatti attraverso i social network. In Italia le condotte tipiche dello stalking configurano il reato di “atti persecutori” (art. 612-bis c.p.), introdotto con l’art.7 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (decreto Maroni), convertita in L. 23 aprile 2009 n. 38. Tale decreto all’art. 9 ha introdotto anche modifiche al codice di procedura penale, prevedendo tra le tante, all’art. 282 ter c.p.p., la nuova misura cautelare del “Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”. Inoltre, con lo specifico intento di predisporre un intervento tempestivo nei confronti degli stalker al fine di astenerli dal compiere più gravi condotte evitando la definizione della vicenda senza l’intervento necessario della giustizia penale, è stato previsto il cd. “ammonimento” (art. 8 d.l. 11/2009). Tale norma prevede un provvedimento amministrativo da parte del questore fino a quando non sia stata proposta querela dalla persona offesa. Quest’ultima potrà esporre i fatti che la rendono vittima di stalking all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonire l’autore della condotta. In seguito, dove il questore ritenga fondata l’istanza, ammonirà oralmente il soggetto redigendo processo verbale ed esortandolo a tenere una condotta conforme alla legge. Così come prevede il dettato normativo, la valutazione del questore si incentra non sull’esistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, ma piuttosto sulla “fondatezza” dell’istanza; ciò comporta non poche problematiche circa la necessità o meno della realizzazione del reato al momento dell’istanza. Questa fattispecie di reato è normalmente procedibile a querela, ma è prevista la procedibilità d’ufficio qualora la vittima sia un minore, una persona disabile, quando il reato sia connesso con altro delitto procedibile d’ufficio e quando lo stalker sia già stato ammonito precedentemente dal questore. Si ritiene che la norma del cd. “ammonimento” debba essere letta come una prevenzione alla consumazione del reato, ovvero che si possa ricorrere al questore quando la vittima abbia avuto già un sentore ben fondato che un “unico” atto persecutorio possa svilupparsi in reiterazione e consumazione dello stalking vero e proprio tale da «cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura» alla vittima. Nella sentenza n. 25527 del 2010, la Cassazione, pronunciandosi sulla soglia minima di reiterazione delle condotte necessarie per la consumazione del reato, ha statuito che “due episodi di minaccia o molestia sono sufficienti per configurare il delitto di atti persecutori se hanno indotto nella vittima stati di ansia e paura tali da comprometterne il normale svolgimento della quotidianità“. Quindi due soli episodi possono bastare per gli Ermellini a configurare tale reato. Con la sent. n. 32404 del 2010, invece, i Giudici di legittimità hanno affermato che tra gli atti di molestia integranti il delitto di stalking vanno ricompresi anche la pubblicazione da parte dell’indagato, tramite facebook, di un filmato che lo ritraeva in un rapporto sessuale con la persona offesa. Con questa sentenza gli Ermellini hanno esteso il concetto di “condotte moleste” fino a ricomprendervi anche fatti lesivi della privacy o posti a tutela di altri beni giuridici, puniti da diverse fattispecie di reato. Tale ampliamento rende sicuramente più difficoltoso delineare i confini del delitto di stalking e le conseguenti pronunce delle autorità giudiziarie con possibili differenti decisioni pur in presenza di situazioni fattuali pressoché identiche. Il giudice in questo modo può muoversi all’interno di una discrezionalità molto ampia lasciatagli dal legislatore che ha previsto una fattispecie di reato non sufficientemente tassativa. Tuttavia, una distinzione con altri reati potrebbe essere delineata dal bene giuridico tutelato dalla norma; infatti, potrebbe ritenersi che il bene giuridico tutelato ex art. 612 bis c.p. sia la personalità individuale. Quest’ultima oltrepassa la libertà morale, infatti, nei delitti contro la libertà morale sono sanzionate quelle condotte che interferiscono sui singoli momenti del processo di autodeterminazione del soggetto ovvero sulla inviolabilità psichica di questi, mentre nei delitti contro la personalità individuale si vuole evitare che il singolo rapporto interpersonale diventi assorbente e preclusivo della possibilità di ulteriori, concorrenti ed autonomi, rapporti fra il soggetto ed altri che non siano il partner. Anche riguardo alla reiterazione del reato, la norma nulla dice a proposito del numero minimo di episodi sufficienti a configurare il reato di stalking, lasciando ampia discrezionalità all’organo giudicante, e dove, come si è detto, la Suprema Corte ritiene che anche due soli episodi di minaccia o molestia possono valere ad integrare il delitto di atti persecutori previsto dall’art. 612-bis c.p., purché si realizzi un perdurante stato di ansia o di paura nella vittima o, alternativamente, un altro degli eventi descritti dalla norma incriminatrice. Altra annotazione importante in merito al reato in oggetto, come preventivamente annunciato, è che nell’area della punibilità del delitto di atti persecutori ricadono tutte le molestie attuate con il mezzo del telefono o tramite internet (c.d. cyberstalking). Il cyberstalker è colui il quale invia quantità enormi di e-mail spesso con toni offensivi o sgradevoli; o si introduce nel sistema informatico della vittima con programmi atti ad assumerne il controllo (trojan horses) o a danneggiarlo (virus); o assume l’identità del perseguitato spendendo il relativo nome in rete (in chat, newsletters, message boards) associandovi contenuti lesivi della dignità della persona come la presenza di questa identità rubata in siti porno o la spendita del nome della vittima per fargli allacciare relazioni hot nella società off line con soggetti che continuano ripetutamente a chiamare al numero di cellulare diffuso o a contattare l’indirizzo e-mail comunicato senza il consenso della persona offesa. In realtà, non tutte queste condotte di incursioni telematiche sono suscettibili di essere ricondotte nel delitto di atti persecutori, ma solo quelle che costituiscono “minacce” e “molestie” dirette verso la persona offesa, così come espressamente voluto dall’art. 612 bis c.p.. Caso eclatante a tal proposito è quello deciso dalla suprema Corte con la sent. n. 32404 del 2010. In questa sentenza, i comportamenti persecutori dell’indagato erano iniziati dopo la fine della sua relazione con la persona offesa e si erano concretati in telefonate, invii di s.m.s. e di messaggi tramite internet, anche nell’ufficio dove la donna prestava il suo lavoro, un atteggiamento che aveva provocato nella donna un grave stato di ansia e di vergogna che la costringeva a dimettersi. La condotta persecutoria e ossessionante dell’indagato, sempre più pressante, lo aveva portato a trasmettere tramite il social network facebook, un filmato che lo ritraeva in un rapporto sessuale con la vittima. La Corte ha riportato tale condotta nel reato di stalking identificandola e riconducendola alla molestia. In realtà tale evento, in prima lettura, rientrerebbe più in una violazione della privacy, in una diffamazione ex 595 co. 3 c.p., in quanto viene offeso l’onore della persona e il fastidio o il disturbo che può suscitare il filmato sono conseguenze direttamente collegate a tale violazione; tuttavia, appare condivisibile l’assunto della Corte se visto nell’ottica della reiterazione. Infatti, la pubblicazione in internet di un filmato lesivo della dignità di una persona, se collegato ad altri atti persecutori commessi dallo stesso cyberstalker (tutti aventi come conseguenza quella di porre la vittima in uno stato d’asia o di paura tale da far alterare le proprie abitudini di vita), può certamente ricondursi alla fattispecie ex art. 612 bis c.p..

Il mondo si evolve e così anche il diritto che disperatamente cerca di rimanere al passo con i tempi adeguandosi alle nuove fattispecie criminose che si vengono a rappresentare sempre più di frequente attraverso internet; talvolta però, questa corsa giuridica porta alla formazione di reati, e di norme che li prevedono, non sufficientemente precisi e tassativi tanto da aprire una grande sensibilizzazione verso le vittime di violenze e di stalking ma dando scarsa attenzione ed importanza alla difficile condizione psicologica dello stalker. Le vittime di stalking devono essere tutelate e gli stalker assolutamente puniti ma anche curati.

 

Paola Sparano

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