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“Il soffrire passa ma l’aver sofferto rimane”, è questa la sapienza cristiana che sa guardare oltre il momento presente e cogliere lo straordinario peso di gloria e di salvezza che ogni sofferenza porta con sé, se offerta a Dio unita a quella di Cristo. Dietro alla sofferenza di molti anche oggi non c’è una cieca ineluttabilità ma una chiamata divina.
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Tutti coloro che vogliono, che chiedono al Signore Iddio di fare di essi dei "salvatori", devono ben pensare che Io e Maria siamo il modello e che quelle sono le torture da condividere per salvare. Non saranno la croce, le spine, i chiodi, i flagelli materiali. Saranno altri, di altra forma e natura. Ma ugualmente dolorosi e ugualmente consumanti. Ed è solo consumando il sacrificio fra quei dolori che si può divenire salvatori.
È una missione austera. La più austera di tutte. Quella rispetto alla quale la vita del monaco o della monaca della più severa regola è un fiore rispetto ad un mucchio di spine. Perché questa è non regola di Ordine umano. Ma Regola di un sacerdozio, di una monacazione divina, il cui Fondatore sono Io, Io che consacro e accolgo nella mia Regola, nel mio Ordine, gli eletti ad essa, e impongo loro il mio abito: il Dolore totale, sino al sacrificio.
Maria Valtorta, L'Evangelo come mi è stato rivelato, volume X, capitolo 613