Francesco I
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Silenzi assordanti sul caso della “falsa rinuncia” di Ratzinger

di Andrea Cionci

In calce abbiamo riportato l'articolo completo sctittto da frate Alexis Bugnolo

Esercizio di fantasia: la regina Elisabetta lascia il trono in favore del principe Carlo, ma, dopo qualche tempo, un esperto di diritto della Casa reale scopre che, sull’atto di abdicazione, pieno di strafalcioni grammaticali ed errori giuridici, c’è scritto che la Regina, in realtà, ha rinunciato a esercitare materialmente il potere, ma non ha rinunciato alla Corona. Non per nulla, Elisabetta, chiusa in un’ala di Buckingam Palace, continua a indossare il diadema, il manto regale e a comportarsi come se fosse ancora la sovrana. Subito, una parte dei sudditi accusa re Charles di aver forzosamente “licenziato” la madre che, astutamente, avrebbe scritto un’abdicazione fasulla.

Sarebbe il caso giornalistico del secolo, no? Un giallo terribilmente appassionante sul quale i talk show di tutto il mondo si getterebbero avidamente.

Invece, nel nostro bel Paese, forse assopito dal solicello di un giugno clemente, un caso analogo - che configurerebbe il colpo di stato più grave degli ultimi 2000 anni, stavolta ai danni di un papa, (anzi due) - è stato accolto in modo molto diverso, sia dagli interessati, che dai media.

Breve riassunto per chi si fosse perso la prima puntata, a questo link.

Il frate italo americano Alexis Bugnolo, esperto latinista, leggendo attentamente la Declaratio di rinuncia di Benedetto XVI, sostiene che sia stata da lui scritta, con estrema abilità, appositamente perché nel tempo venisse scoperta invalida. In questo modo, Ratzinger avrebbe permesso alla “Mafia di San Gallo”, la lobby massonico-progressista che lo ha costretto ad abdicare, di prendere il potere e di svelarsi. Benedetto avrebbe fatto così in modo che tutti gli atti, le nomine e i cambiamenti dottrinali operati dagli usurpatori possano essere spazzati via d’un colpo. Per questo il Vaticano – secondo fra’ Bugnolo - ha deliberatamente falsificato, nelle traduzioni in lingua straniera, la Declaratio latina di Benedetto, tentando di porre rimedio alle sue intenzionali falle, ma dimostrando, così, ulteriore dolo.

Pur prendendo con cautela le gravissime affermazioni del frate, non abbiamo potuto evitare di riconoscere che, in questa ricostruzione, vi sono dei dati di fatto incontestabili: leggendo il documento latino, papa Ratzinger non ha infatti rinunciato al Munus, (l’incarico di papa, di derivazione divina) ma solo all’esercizio pratico del potere, il Ministerium. Eppure, il codice di diritto canonico impone la rinuncia proprio al Munus.

Anche gli errori grammaticali ci sono, individuati da classicisti di tutto il mondo, ed è inconcepibile che un papa della cultura di Joseph Ratzinger commetta questi sfondoni o che non sia stato corretto da nessuno dei funzionari per 18 giorni fino alla Sede vacante.

Peraltro, letta in questa nuova ottica, la Declaratio svela una coerenza “strategica” che NON INFANGA la figura di Benedetto, il quale anzi, ne uscirebbe “candido come una colomba e astuto come un serpente”, per dirla con le parole di Gesù. I suoi comportamenti successivi all’abdicazione sono infatti perfettamente coerenti. Forse la rinuncia è stata scritta da altre persone? Oppure dallo stesso Benedetto in un momento di scarsa lucidità? Anche in queste condizioni l’atto sarebbe, ovviamente, invalido.

Insomma: perfino uno studente al primo semestre di Giurisprudenza si renderebbe conto che questo “lascito” presenta dei buchi tali da poter essere facilmente impugnato.

Ma siccome stiamo parlando della Chiesa di Cristo, SENZ’ALTRO CI DEVE ESSERE UNA FACILE SPIEGAZIONE. Ci aspettavamo, quindi, che dal clero o dall’informazione cattolica istituzionale provenisse subito un circostanziato “sbufalamento”. E invece?

Il silenzio assordante dei grandi media è stato rotto solo da Avvenire: il collega Gianni Gennari (che, pure, da ex sacerdote, dovrebbe, nel caso, ammonirci con un po’ di carità) ci ha dato dei “pazzi” e degli ”imbecilli”, solo perché abbiamo riferito le affermazioni di un frate latinista evidenziando su quali basi oggettive esse poggino: voleva essere un contributo alla Verità, tanto che chi scrive, incurante delle offese ricevute, si è pubblicamente dichiarato disponibile a collaborare con i colleghi di Avvenire per trovare insieme a loro delle soluzioni alternative alle tesi di fra’ Bugnolo. Saremmo tutti rassicurati, infatti, da che una tesi così agghiacciante venisse presto cassata da valide spiegazioni.

Avvenire non ha, però, raccolto la proposta, né ha presentato delle scuse che sarebbero state anche opportune dato che il Canone 212, del Codice di diritto canonico, recita: “I fedeli, in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona”.

Quindi un frate latinista ha il diritto/dovere di manifestare il suo pensiero in un caso del genere e, di riflesso, un giornalista ha tutto il diritto/dovere di scriverne.

Tali reazioni scomposte sono quindi un boomerang dal punto di vista comunicativo: di fronte ad affermazioni così gravi e documentate come quelle di fra’ Bugnolo, che tutti possono controllare con un clic sul sito del Vaticano, non ce la si può cavare dando degli imbecilli a colleghi che fanno il loro dovere. Equivale ad ammettere di essere a corto d’argomenti.

Se “il papa è il papa”, come ha ribadito il card. Scola nella sua recente autobiografia, sicuramente, la rinuncia di Benedetto sarà stata ratificata A REGOLA D’ARTE, nel pieno rispetto del diritto canonico e si potranno fornire facilmente delle spiegazioni. Molti fedeli aspettano delle RISPOSTE SERIE. Possibile ch costi tanta fatica?

Stavolta non è positivo tacere, come già fece papa Francesco di fronte ai Dubia dei quattro cardinali prima, e poi - evocando il mite silenzio di Gesù con i “cani rabbiosi della Sinagoga” - alle accuse, di inaudita gravità, di Mons. Viganò.

In sintesi: la delegittimazione dell’interlocutore, l’attacco ad personam, la derisione snobistica, la ghettizzazione nel circolo dei “tradizionalisti ipocriti e duri di cuore”, i silenzi “da mite agnello sacrificale”, sono strategie dialettiche obsolete, ormai riconoscibili lontano un miglio.

Lo diciamo con tutto il rispetto possibile: l’unico confronto serio e credibile, degno della Sposa di Cristo, è sul MERITO DELLA QUESTIONE.

Siamo del tutto ottimisti che la Chiesa, testimone di Verità, esercitando la virtù della Fortezza, saprà prendere il toro per le corna e certificare - dopo un pubblico e leale dibattito - la legittima autorità di papa Francesco fugando per sempre i dubbi che, fin dal 2013, offuscano la sua immagine turbando milioni di cattolici.

Non sarebbe la prima volta, infatti, che la Chiesa cattolica, eludendo le questioni scottanti o ricoprendole di un manto di silenzio, si trovi poi a dover affrontare scandali terrificanti che rovinano la sua credibilità. Un vero peccato.

Fin qui l'articolo pubblicato su Libero Quotidiano

IL TESTO COMPLETO REDATTO DA FRATE ALEXIS BUGNOLO

E pubblicato su l sito FROM ROME

A pochi giorni dalla pubblicazione del testo latino ufficiale dell’Atto di Rinuncia fatto da Papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 alcuni giornali titolavano così: “Errori clamorosi nel testo latino della Rinuncia”. ( qui in francese e qui testo italiano)

Questi articoli citavano solo due errori, quelli di “commisso” al posto del corretto “commissum” e quello di “vita” al posto di “vitae”.

I giornali avevano ragione, ma io ho individuato almeno 40 errori, non solo quei due!

Eppure, la macchina della propaganda si è messa subito al lavoro e chiunque sui social media, nel 2013 iniziava a parlare di errori è stato immediatamente e brutalmente attaccato perché “osava giudicare il papa”!

Il vero scopo era che la “Mafia della lavanda”, ovvero la lobby del clero gay, era molto preoccupata per chiunque mettesse in dubbio la validità della Rinuncia. Ricordo che il mio professore di Diritto Canonico manipolava le lezioni tenute in febbraio e marzo di quell’anno per insegnare cose su certi canoni in modo errato così da soffocare qualsiasi considerazione sull’invalidità. Ma lo faceva con tale sottigliezza che solo dopo tutti questi anni ho potuto riconoscere ciò che aveva fatto.

Le altre voci che criticavano quelli che hanno sollevato dubbi sul latino della Declaratio di Papa Benedetto parte appartenevano ai circoli di quei cardinali conservatori che l’anno scorso hanno distrutto la loro reputazione professando indubbia obbedienza a Bergoglio persino dopo i suoi atti di adorazione e riverenza idolatrici (episodio della Pachamama etc). Fu allora che nacque l’opposizione controllata di Trad Inc. (Termine colletivo per parlare in modo generale dei siti che criticano Bergoglio per non essere cattolico ma insistono che egli è il Vero Papa). Fu il loro primo atto di lealtà verso il regime. E la loro azione indicava chiaramente che già erano posizionati per rispondere e che gli era stato detto cosa fare.

Quindi, per fornire una verità storica più esatta, discuterò qui questi errori e fornirò una traduzione italiana di ciò che il latino di Papa Benedetto XVI ha detto.

Faccio questo per correggere qualsiasi malinteso dato dalla mia precedente traduzione inglese dell’Atto di Rinuncia, nell’articolo che ho intitolato “Una traduzione inglese letterale del discorso di Benedetto XVI dell’11 febbraio 2013“, dove per letterale intendo fedele nel senso, non nella grammatica del latino impiegato.

I miei commenti sul testo latino sono basati sulla mia conoscenza della lingua latina acquisita in 14 anni di traduzione in inglese di circa novemila pagine letterarie di testi ecclesiastici latini medievali. Sarò il primo a dire che non credo di essere un esperto in materia, ma penso che non sarebbe esagerato dire che oggi nella Chiesa c’è solo una manciata di uomini che hanno tradotto più latino del sottoscritto. Ho anche pubblicato un popolare libro di testo e video per il latino ecclesiastico, che ho prodotto per la Mansfield Community TV, nel Massachusetts, negli Stati Uniti, e che The Franciscan Archive ha distribuito per alcuni anni dopo la pubblicazione di Summorum pontificum.

E così, pur ammettendo che posso sempre imparare dagli altri, citerò anche due studiosi tedeschi che hanno criticato pubblicamente il testo latino della Declaratio: il professore di filologia, Wilfried Stroh (vedi qui ) e l’avvocato viennese Arthur Lambauer, i cui commenti sono registrati in parte qui

Posso anche dare una testimonianza personale del fatto che i latinisti che hanno lavorato in Vaticano durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono a conoscenza di tutti questi errori (e probabilmente di altri) e sono stati reticenti solo per motivi personali, così come mi è stato riferito da uno di loro durante un incontro a Bagnoregio, in Italia, nell’estate del 2016.

Evidenzio in ROSSO gli errori di espressione (numerando ciascuno), dopo di che commenterò ogni errore sezione per sezione, perché ce ne sono tanti. Il testo latino ufficiale è disponibile sul sito web del Vaticano ( qui ).

Fratres carissimi,

Non solum propter tres canonizationes (1) ad hoc Consistorium (2) vos convocavi sed etiam ut vobis (4) decisionem (5) magni momenti pro Ecclesiae vita (6) communicem (7). Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata (8) ad cognitionem certam (9) perveni (10) vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse (11) ad munus Petrinum aeque (12) administrandum.

(1) Dire propter tres canonizationes significa per o a causa di tre atti di canonizzazione. Tale struttura grammaticale in latino significa, non che il Papa abbia convocato i Cardinali per condurre o annunciare la canonizzazione di tre gruppi o individui, ma che in qualche modo i Cardinali siano stati convocati per onorare gli atti di canonizzazione o perché gli atti stessi non possono essere completati senza di loro. Ma l’atto di canonizzazione è un atto pontificio che non richiede i Cardinali. Pertanto, il latino corretto dovrebbe essere in trium canonizationum annuntiationem, cioè per annunciare la mia decisione di decretare tre atti di canonizzazione, poiché la costruzione latina che inizia con la preposizione in è usata per esprimere uno scopo. Questo è un errore comune di coloro che non hanno mai letto attentamente alcun testo latino e che impongono un significato moderno a ciò che pensano che significhi una preposizione latina.

(2) Dire ad hoc Consistorium potrebbe benissimo essere un’usanza della corte pontificia – non posso commentare – tuttavia, in latino, poiché consistorium è un atto di stare insieme, non un luogo in cui vengono convocati i cardinali, ma un modo solenne di radunarsi, la corretta struttura grammaticale dovrebbe essere in hoc consistorio.

(3) In un atto ufficiale un papa parla in prima persona plurale, cioè adotta il pluralis maiestatis. L’uomo che è il papa, in quanto uomo e non papa, parla con la prima persona singolare, “io”. Pertanto, la forma corretta del verbo qui dovrebbe essere convocavimus.

(4) Il verbo latino communicem prende la preposizione cum, non il dativo di riferimento, e quindi invece di vobis si dovrebbe leggere vobiscum . Così com’è, l’unica possibile funzione grammaticale dei vobis sarebbe quella di un dativo di possesso per decisionem!

(5) Concordo qui con il dott. Stroh, che la parola dovrebbe essere consilium, non decisionem, perché quest’ultima parola latina significa un “atto di separazione” come nella parola “potatura”, o tutt’al più un “atto di prendere una decisione”, che chiaramente non è qui appropriata, perché il Papa non li ha compresi nel processo decisionale, dichiarando solo una decisione che ha già preso. E consilium è la parola giusta per una cosa del genere, se fatta da un superiore con autorità.

(6) Questo è l’errore più assurdo di tutti. La persona che ha scritto questo non capisce nemmeno che in latino non usi il dativo di riferimento in una frase che inizia con una preposizione come nelle lingue moderne. Questo dovrebbe essere Ecclesiae vitae, poiché, così com’è vuol dire a nome della vita della Chiesa o per il bene della vita della Chiesa ; a meno che, naturalmente, non si riferisca a una grave minaccia alla vita della Chiesa per la quale questo atto intende difendere quella vita. Può essere, ma poiché quasi tutti i moderni sbagliano in questo modo, si presuma che in se stesso sia prodotta dall’ignoranza, non mediante allusione.

(7) Dato che la rinuncia è della persona, non del papa, nella frase successiva vediamo che inizia a parlare in prima persona come uomo, ma penso che poiché questa clausola subordinata è ancora quella parte del testo detto dal Romano Pontefice, in quanto Pontefice, dovrebbe essere in prima persona plurale: communicemus. La frase che segue, quindi, in prima persona, dovrebbe cominciare un nuovo paragrafo, al fine di mostrare questa distinzione di potere.

(8) Questa parola è completamente sbagliata perché in latino si riferisce all’esplorazione di un luogo o di una regione o all’indagine sulla grandezza di una cosa o su sua dimensione fisica, o è il termine militare per spiare o guardare qualcosa per ottenere informazioni. Non viene mai usato con le cose spirituali, perché certamente la propria coscienza non è un mondo a sé stante, a una facoltà del conoscere. Il termine corretto dovrebbe essere uno che significhi esposto o risolto, a causa del riferimento all’essere davanti o alla presenza di Dio.

(9) Queste parole non sono soltanto scelte male, ma insufficienti per sostenere il discorso indiretto che segue. Il modo latino corretto per dire questo è nunc bene cognosco quod (ora ben ravviso che) invece di ad cognitionem certam perveni (sono pervenuto alla certezza).

(10) Questo verbo non ha il senso di “essere pervenuto” nelle materie che riguardano la conoscenza. Significa piuttosto raggiungere, il che avrebbe senso se si stesse spiando il nemico, ma dire che sei pervenuto alla certezza esaminando la tua coscienza è assurdo, perché la coscienza riconosce solo verità morali, non è la fonte della conoscenza o della certezza.

(11) Qui c’è una clausola nel discorso indiretto che segue cognitionem certam . La forma corretta, se tale espressione deve proprio essere mantenuta (cfr. N. 9 sopra), dovrebbe essere introdotta con quod ed essere nel nominativo, non nell’accusativo, perché l’oggetto di una certa conoscenza è un fatto noto, non un “sapere che”. E quindi, a causa dell’errore nel n. 9, il verbo qui dovrebbe essere sunt , leggendo l’intera frase: vires mihi ingravescente aetate non iam aptae sunt. Penso che si sarebbe dovuto usare il dativo enfatico di possesso mihi piuttosto che l’aggettivo possessivo meae, perché la forza di cui parla è intima al suo essere fisico, non solo un possesso esteriore.

(12) Il dottor Stroh sottolinea giustamente che questo è l’avverbio sbagliato. Quello corretto dovrebbe essere recte o apte o — io propongo — constanter (correttamente, appropriatamente o coerentemente).

Bene conscius sum (1) hoc munus secundum suam (2) essentiam spiritualem non solum agendo (3) et loquendo exsequi (4) debere (5), sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis (6) rapidis mutationibus subiecto (7) et (8) quaestionibus magni (9) pro vita fidei (10) perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium (11) etiam vigor quidam corporis et animae (12) necessarius est, …

(1) L’uso di conscius è più comune parlando della conoscenza che si ha degli altri, ma quando si parla della conoscenza di sé, nel raro uso del poeta latino, Terenzio, questa costruzione deve essere formata così: mihi sum conscius, e non conscius sum, per dimostrare che la conoscenza è di se stesso ma l’aggettivo provoca il discorso indiretto. E quindi una virgola dovrebbe essere posta dopo conscius per conformarsi ai moderni livelli di interpunzione latina.

(2) Qui c’è semplicemente l’errore di qualcuno che pensa in italiano, perché l’aggettivo possessivo per la terza persona, in latino, non è MAI usato per una cosa in una frase, solo per il soggetto di un verbo. Il latino corretto, quindi, dovrebbe essere eius sebbene possa essere omesso del tutto poiché la frase secundum essentiam spiritualem è una misura e il suo oggetto è implicitamente compreso. Il dottor Stroh sottolinea giustamente che naturam dovrebbe essere usato al posto di essentiam . Sono d’accordo, perché San Bonaventura afferma che la natura si riferisce all’essere di una cosa come un principio di azione.

(3) Qui chi ha scritto il testo ignora che in latino agere si riferisce a tutte le azioni, fisiche o spirituali, e perciò è impropria la accoppiata con loquendo, che è pure un atto. È difficile capire a cosa si riferisca agendo, poiché quasi tutto ciò che fa un papa è parlare. Non è come se pulisse i bagni o facesse qualsiasi lavoro manuale. Forse, la parola migliore sarebbe scribendo , cioè scrivere.

(4) Il verbo latino qui è scelto male, perché exsequi si riferisce a un lavoro svolto, ma il soggetto non è un lavoro ma un munus o una carica, il che è una cosa. Quello giusto sarebbe geri, cioè ”condotto” nel senso del moderno di “adempiuto” o “eseguito”.

(5) Questo è il verbo sbagliato per esprimere ciò che si intende. È giusto o necessario che i doveri dell’ufficio siano adempiuti. Ma non è un debito, che è ciò che debere significa.
Il latino corretto dovrebbe essere oportere, cioè adatto o necessario a raggiungere l’obiettivo prefissato.

(6) Chiunque abbia scritto questo non ha esperienza nella lettura del latino, poiché tempus si riferisce alle stagioni. Il concetto di tempo in latino non è lo stesso dei moderni. Sembra voler dire “nel nostro mondo contemporaneo” , ma in latino si direbbe in saeculo nostro, perché saeculum è il termine latino per definire il mondo nel senso del tempo, di generazione o cultura, non mundum, che si riferisce al cosmo come realtà fisica o luogo.

(7) A causa dell’errore n. 6, questa frase deve essere interamente riscritta, come velocium o celerium mutationum usando il genitivo della descrizione e non il dativo di riferimento, e quindi non c’è necessario di subiecto . Il latino rapidus viene usato per cambiamenti rapidi o affrettati, semplicemente non accurati storicamente.

(8) E così, allo stesso modo, a causa della caduta del subiecto questa congiunzione può essere completamente omessa.

(9) Qui magni, “di grande valore” , sembra poco opportuno, perché le questioni di fede nei tempi moderni sono quasi interamente il prodotto di non credenti che si agitano con la loro immaginazione senza Dio; magnis concordato con quaestionibus oppure magni momenti sarebbe più corretto. Ma magni può reggere perché è così Ratzingeriano come chiunque può dire dai suoi scritti.

(10) Qui c’è lo stesso errore di prima, e quindi in latino si dovrebbe dire fidei vitae o fidei .

(11) Qui si ha l’errore di uno studente latino di primo anno che dimentica che il complemento oggetto in latino vada prima dei verbi, non dopo: dovrebbe essere Evangelium annuntiandum.

(12) Qui viene scelta la parola sbagliata, perché chiaramente l’anima non invecchia o si indebolisce con l’età, ma lo fa lo spirito. E quindi il latino corretto dovrebbe essere animi. Il dottor Stroh è d’accordo con me.

qui ultimis (1) mensibus in me modo tali minuitur (2), ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum (3) agnoscere debeam (4). Quapropter bene conscius (5) ponderis huius actus plena libertate (6) declaro (7) me ministerio (8) Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium (9) die 19 aprilis MMV commisso (10) renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae (11), sedes Sancti Petri vacet et (12) Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse.

(1) In latino si indicano le cose recenti dicendo praecedentibus, non ultimis. Il dottor Stroh suggerisce: his praeteritis poiché si dà molta importanza al recente passato.

(2) Qui il tempo è sbagliato, poiché il riferimento è a ciò che è accaduto negli ultimi mesi, e sta ancora accadendo; il tempo giusto è l’imperfetto minuebatur e prende mihi come dativo di riferimento non in me.

(3) Non ha senso dire che si sta amministrando un ministero, la parola migliore dovrebbe essere gerere, come prima. Ma l’intera frase è formata in modo errato, poiché incapacitatem dovrebbe seguire la regola del capax e prendere un infinito (come nella Vulgata) o un genitivo (Seneca) con aggettivi o gerundi, quindi il tutto dovrebbe scriversi ministerii mihi commissi bene gerendi.

(4) Visto che il testo viene letto come se fosse già stata presa una decisione, dire che “si dovrebbe riconoscere” è contestualmente e temporalmente incorretto, secondo il tempo. Inoltre, come clausola subordinata a un imperfetto, deve trovarsi nel congiuntivo perfetto. La frase dovrebbe riportare qualcosa come iustum fuerit , “era proprio quello”.

(5) L’avvocato Lambauer sottolinea giustamente che questa costruzione con conscius prende il pronome riflessivo mihi prima di essa.
Ma nella giusta sintassi ponderis huius actus dovrebbe precedere conscius . Qui ci sono ben due errori.

(6) Ora arrivano gli errori che riguardano la nullità, l’invalidità e l’irregolarità dell’atto. Perché la rinuncia deve essere fatta liberamente. Che sia dichiarata liberamente va bene, ma ciò è presunto e non necessario, a meno che non ci sia qualcuno incline a pensare che sia stato costretto. Perché dire questo? Quindi questa frase, se mantenuta, dovrebbe essere con il verbo renuntiare , ed entrambi NON dovrebbero essere in discorso indiretto, perché annunciare o dichiarare di rinunciare non significa rinunciare a qualcosa, ma annunciare qualcosa, e quello non è l’atto specificato nel Canone 332 §2 che richiede una rinuncia come atto essenziale, non una dichiarazione.

(7) Questo verbo, se lasciato, dovrebbe introdurre una frase che prepara gli ascoltatori circa l’intenzione o qualcosa di simile, non all’atto della rinuncia.

(8) Questo è l’oggetto sbagliato dell’Atto di rinuncia, che secondo il Canone 332 §2 dovrebbe essere muneri. Il dott. Stroh, scrivendolo a febbraio 2013, osserva che questo errore rende invalida la rinuncia. Sono d’accordo!

(9) Il Munus petrino e il Ministerium non sono affidati al papa eletto, ma vengono immediatamente ricevuti da lui nella successione petrina dicendo: “Sì, accetto la mia elezione”. Questa è la teologia papale rudimentale. Se uno sbaglia, si può in modo sensato mettere in dubbio se al momento dell’atto fosse compos mentis (sano di mente). A meno che ovviamente l’intera frase ministerio … … per manus Cardinalium commisso non abbia lo scopo di rimproverare i Cardinali per avergli concesso un ministero ma non gli ha concesso alcuna vera autorità. Anche se una tale intenzione implicherebbe sia sarcasmo e sia inciderebbe sull’invalidità della rinuncia. Quindi si dovrebbe leggere in successione petrina o qualcosa di simile.

(10) Questo dovrebbe essere a me accepto o a me recepto, cioè “da me accettato” o “da me ricevuto”.

(11) Questa è l’unica frase che è corretta, ma che nessuno se non un esperto del Segretariato di Stato saprebbe, perché, come mi ha detto un eminente latinista vaticano, è il modo consueto di indicare il fuso orario romano in latino. Il dottor Stroh e l’avvocato Lambauer, scrivendo dalla Germania, non lo sapevano.

(12) Qui il discorso indiretto dovrebbe finire, o meglio, l’espressione della prima persona, io, dovrebbe finire, perché la chiamata di un conclave è un atto pontificio, l’uomo che è papa, che ha appena rinunciato, non ha l’autorità di convocarlo. Quindi qui il latino dovrebbe riprendere con il NOI pontificio, et declaramus.

Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis (1) pro omni amore et labore (2), quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto pro omnibus defectibus meis (3). Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus (4) sanctamque eius Matrem Mariam imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro (5) vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim. (6)

Ex Aedibus Vaticanis, die 10 mensis februarii MMXIII

(1) Ancora una volta, un errore da studente di latino del primo anno. La frase dovrebbe leggere gratias vobis agimus . In primo luogo a causa del corretto ordine delle parole del latino, in secondo luogo perché ora li sta ringraziando come il Romano Pontefice, perché hanno collaborato con lui, non come uomo, ma come Papa, il verbo dovrebbe tornare alla prima persona plurale. Due errori qui.

(2) Se uno è grato per il loro servizio e collaborazione, non dice amore et labore, che si riferiscono al lavoro materiale e all’affetto fisico; ma piuttosto omnibus amicitiabus operibusque per dimostrare che l’amicizia e le opere erano molteplici e unite l’una con l’altra. Quattro errori qui.

(3) Ancora una volta, un errore da studente di latino del primo anno che sbaglia l’ordine delle parole. Si dovrebbe leggere: pro omnibus defectibus meis veniam peto e la frase dovrebbe essere introdotta da de vobis o de omnibus. Due errori qui. È anche imbarazzante tornare all’uso della prima persona singolare qui, anche se è necessario riguardo alla confessione fatta.

(4) Il dottor Stroh sottolinea giustamente che è il verbo sbagliato: il latino corretto è committimus.

(5) Il dottor Stroh ricorda ancora che la corretta espressione temporale latina è infuturum.

(6) In latino non c’è condizionale. Il congiuntivo è usato per esprimere i desideri, ma non con il verbo desiderare! Si direbbe piuttosto serviam , “che io possa servire” non servire velim , “possa io desiderare di servire” che non ha senso; si può semplicemente essere più diretti e dire: “desidero servire” (servire volo). Ma San Bonaventura nei suoi Commentarii su Lombardo fa lo stesso errore.

IN CONCLUSIONE

Penso che non sarebbe esagerato dire che se qualcuno avesse visto anche solo parte di questi errori e non ha chiesto al Santo Padre di correggerli prima della pubblicazione dell’atto, avrebbe peccato mortalmente contro il suo dovere di lealtà verso il Romano Pontefice. Penso anche che il numero di questi errori sia una prova forense qualificata che SE Benedetto ha scritto questo testo e lo ha letto liberamente, o che non era in uno stato mentale adeguato o non ha agito con deliberazione matura.

Infine, se qualcuno dice che l’Atto di Rinuncia non ha errori o deve essere accettato come una rassegnazione papale, non semplicemente una rinuncia al ministero per dedicarsi alla preghiera, allora stanno chiaramente parlando di un altro documento, perché ci sono molti errori in questa dichiarazione che nessuna persona sana di mente potrebbe mai affermare che è vincolante per nessuno. Perché se era inteso come un atto di rinuncia papale, ed è stato scritto dal Papa, allora è chiaro che non era in possesso delle sua facoltà mentali per rinunciare validamente, perché per rinunciare validamente devi almeno sapere come scrivere una intelligibile frase, in qualsiasi lingua tu abbia scelto di rinunciare, e devi nominare l’ufficio con una parola che significa ufficio. E dai!

Avviso pubblico: ho trascorso solo 2 ore ad analizzare il testo, quindi il Vaticano ha sicuramente avuto abbastanza tempo per correggerlo prima del 28 febbraio 2013, diciassette giorni dopo! Io suppongo che non l’abbiano comunque fatto, perché altrimenti avrebbe potuto che la parola ministerio doveva essere cambiata in muneri, e la realtà era che papa Benedetto insisteva che non lo fosse, perché non aveva intenzione e non aveva mai avuto intenzione di rinunciare all’ufficio papale o sua grazia.

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