rachele89
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Paradiso, paradiso!

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Per essere obbediti bastano poche regole. Io ne ho scelta una sola: la carità. Questa la regola che scelse San Filippo Neri, il "secondo apostolo di Roma", il "giullare di Dio". Una delle personalità più affascinanti del 1500 all'interno della Chiesa. Grazie alla sua contagiosa allegria tanti i ragazzi di strada che si radunavano intorno a lui; il Santo della gioia, dell'umiltà, dell'obbedienza, della mortificazione. Giovane fiorentino si trasferisce a Roma per seguire il suo cuore che lo voleva sposo di Cristo. Non immaginava cosa il futuro potesse riservargli: partire per le Indie, dopo la testimonianza di Francesco Saverio era ormai il suo obiettivo, ma ben presto si rese conto che l'obbedienza alla volontà di Dio gli chiedeva altro... servire i poveri, gli affamati, i malati nella sua Roma tanto austera e tanto fragile nei vicoli, agli angoli delle strade, nei suoi pellegrinaggi solitari nelle catacombe e le famose visite alle 7 Chiese, dove anche di notte, prostrato dinanzi al portone chiuso, con il cuore e con la mente era tutto rapito dall'amore che lo portava umilmente ad adorare il Tabernacolo contenente il nostro Signore Cristo Gesù.
Presto divenne famoso l'Oratorio che Papa Gregorio XII eresse a Congregazione. Si dedicò anche allo studio della filosofia e teologia per comprendere meglio le cose divine, ma durò poco, diceva di vivere una situazione insostenibile: lo studio lo distraeva da Dio e Dio dallo studio, così finì per ritrovare la sua situazione una grazia per determinare un suo stile unico. Spesso si ritirava in preghiera nelle catacombe di San Sebastiano "dove sembrava voler toccare con mano le solide fondamenta della Roma cristiana bagnata dal sangue dei martiri in un momento in cui tutto sembrava vacillare".
"Ebbene fratelli miei, quando cominciamo ad essere buoni?" diceva ai fiorentini in cerca di affari e banchieri. Un santo che non può rimanerci indifferente, al contrario, la sua testimonianza di vita e perfezione cristiana scioglie anche i cuori più duri. Molti sono i miracoli che per concessione dell'Altissimo ha compiuto, il più bello sicuramente quello del fenomeno mistico prossimo alla Pentecoste: correva l'anno 1544, si senti preso dall'amore di Dio che gli si riversò dentro come un globo di fuoco che gli penetrò nel petto dilatandogli il cuore fino a spezzargli due costole e deformandogli visibilmente il fianco, il più famoso chirurgo del tempo all'autopsia lo attesterà; dal cuore provenivano un calore bruciante e un battito violento soprattutto durante la preghiera, controllato dalla sua volontà, molti malati e penitenti appoggiando la testa sul petto di Filippo finivano per sentirsi riscaldati e ristorati. Quando celebrava la messa cercava di sbrigarsi per la paura di non riuscire a terminarla tanta la passione che lo prendeva, spesso cadeva in estasi o levitava; era dotato della capacità di leggere nel segreto dei cuori, una particolarità che lo caratterizzava era l'amore invincibile della libertà; rifiutò l'offerta del cardinalato rivolgendosi al cielo esclamando "Paradiso, paradiso". Cercava spesso di esasperare le situazione per sembrare sciocco, con un grande umorismo spesso girava con un cuscino blu legato in testa o con la barba rasata solo da un lato, tutto questo per distogliere l'attenzione dalla sua nota santità e dalla sfera miracolistica di cui tutti parlavano; persino Goethe nelle cronache del suo Viaggio in Italia gli dedicò alcune pagine chiamandolo "il mio Santo". Un altro miracolo importante è quando Paolo, figlio del principe Fabrizio della famiglia dei Massimo, morì dopo una lunga malattia; quando il santo arrivò nella stanza era già morto, così si raccolse in preghiera e pochi attimi dopo, tra la meraviglia di tutti, iniziò a chiamare il ragazzo per svegliarlo, dopo aver preso il giovanetto tra le braccia e averlo asperso con l' acqua benedetta, Paolo aprì gli occhi per alcuni istanti in modo da impartirgli i sacramenti e aiutarlo a morire cristianamente; il ragazzo si confidò con il santo che gli chiese se fosse stato contento di morire, rispose di si perché si sarebbe ricongiunto con la madre e la sorella, "subito tornò di novo a morire".
Filippo morì nel 1595 dopo anni di lunghe malattie e ricadute, con le labbra che accennavano un sorriso.
L'aspetto più importante della vita dei santi, non è il lato miracolistico, sicuramente segno visibile di unione al Padre, ma il cammino scelto della santità, scegliere di piacere solo a Dio e allo stesso tempo riconoscersi, con grande umiltà, la più piccola fra tutte le creature; Filippo aveva un amore grande per la verità, serviva il prossimo come fosse figlio suo, ma l'aspetto forse più importante era quello della preghiera, un linguaggio divino, dove veniva travolto da una forte e intensa passione d'amore. Un simpatico augurio con cui spesso salutava le persone era "Te possi morì ammazzato... ppe' la fede!"
Fonti: Vita dei Santi di padre Antonio Maria Sicari, carmelitano, teologo, fondatore del Movimento Ecclesiale Carmelitano