Danilo Quinto
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Non sapete che giudicheremo gli Angeli? - Danilo Quinto - 11.12.'19

Il compito che Gesù indica a coloro che vogliono seguire la strada da Lui indicata, è arduo, ma esaltante. È quello di divenire perfetti, a Sua immagine e somiglianza. È contenuto nella Sua Parola, descritta nei Vangeli. Basta osservare i Suoi insegnamenti per essere buoni cristiani. Tra questi insegnamenti, vi sono quelli decisivi di un passo del Vangelo di Matteo (Mt,10,1-23), i cui contenuti sono rivolti ai discepoli che Egli scelse nella prima ora. «Se qualcuno non vi accoglierà», dice Gesù nella prima di queste istruzioni, «e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri calzari. In verità vi dico, nel giorno del giudizio, il Paese di Sodoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città».

Quanti sono coloro che, pur consapevoli che Dio solo è giudizio, sono disposti a mettere in pratica il precetto di scuotere la polvere dai propri calzari e quindi di prendere una posizione netta tra il bene e il male?

Nel nostro tempo, il pensiero che si fa giudizio - e non condanna - sugli atti e sui comportamenti degli uomini, sugli eventi e le situazioni che la storia o la vita quotidiana ci propongono, semplicemente non deve esistere. A volte per pavidità, altre per rassegnazione, viene sostituito dal pensiero unico, morbido, accondiscendente, accomodante, annacquante. Inesistente, perché corrisponde al nulla. Si è insinuata una strisciante e pericolosissima inclinazione ad evitare l’espressione del giudizio, che corrisponde all’esigenza di non contrapporsi al mondo e ai suoi mali, ma di comprenderlo, di farselo amico e - spesso - di giustificarlo.

L’espressione netta e chiara del giudizio significa testimoniare la Verità, quella che precede e tempera il diritto umano, fornendogli un punto di riferimento oggettivo, una cornice: «Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio», dice Gesù (Gv 7,24). Ancora, San Paolo - «Non sapete voi che giudicheremo gli angeli? Quanto più possiamo giudicare delle cose di questa vita!» (1 Corinzi) – che rafforza il monito di Gesù, contenuto in Luca 12, 54-57: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?».

A parere dei “lupi” che ci circondano, invece, la Verità si deve celare, occultare. Gesù l’aveva profetizzato: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» (Mt, 10, 16). Sì è proprio così. Gesù ci manda in mezzo ai lupi. Furono i lupi ad arrestarlo nella notte del Getsemani. Ancora i lupi decisero di salvare Barabba e di sacrificare Lui. Sempre i lupi armarono la mano dei Suoi carnefici, che lo massacrarono, lo seviziarono e lo misero in Croce e mentre quei lupi facevano tutto questo, Gesù, che stava per spirare, disse, rivolgendosi a Suo Padre: «Padre, perdona loro, perchè non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).

Dobbiamo, come Gesù, amare e perdonare i lupi che ci circondano, ma nello stesso tempo dobbiamo riconoscere la loro forza terrena, che si tramuterà in assoluta debolezza nella dimensione dell’eternità, se non si pentiranno dei loro misfatti. Ciascuno di noi, anche se solo, emarginato, messo da parte, è maggioranza se sta dalla parte di Dio. È contro Dio se diventa parte di un branco dei lupi, per cercare magari la protezione che i lupi sanno dare. Sarà sempre una protezione di carattere terreno, ma la vera protezione che il cristiano deve cercare è quella di origine soprannaturale. Con i lupi bisogna avere a che fare, ma seguendo il consiglio di Gesù: «siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe».

Dai lupi sappiamo che cosa ci si può aspettare: «Guardatevi dagli uomini», dice Gesù, «perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un'altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo» (Mt 10, 17-23).

Solo il timore di Dio può e deve esistere, non quello verso gli uomini. Il cristiano non teme nessun uomo: «Poiché», insegna Gesù, «non v'è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10, 25-33).

Riconoscere Dio davanti agli uomini significa dare testimonianza della Verità, in ogni circostanza e in ogni situazione della propria vita. È questa la missione del cristiano, che non deve pensare che Gesù sia venuto a portare la pace su questa terra. La pace che Gesù dà è diversa da quella che dà il mondo: «Non sono venuto a portare pace», afferma Gesù, «ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10, 34-42).

Come dice una persona alla quale voglio molto bene, il cristiano deve portare con sè una spada che perfora tutti gli scudi. Può farlo perchè sa, grazie a San Paolo, che attraverso Cristo ha ricevuto la promessa dello Spirito (Gal 3,14). Per chi è stato battezzato, questa promessa si è compiuta, nella consapevolezza che costituisce solo la caparra della nostra eredità (Ef 1,14). Il cristiano deve vivere e agire nello Spirito: è questa la condizione per ricevere l’eredità definitiva. Egli diventa, così, protagonista della sua vita, pur sapendo che il disegno appartiene solo a Colui che lo conosce sin dall’inizio.

Allora, se così è, seguiamo nei confronti di tutto e di tutti quest’insegnamento, rimanendo umili, certi di avere bisogno in quanto peccatori della misericordia di Dio, ma senza avere paura di nessun uomo. Scriveva S. Caterina da Siena (“Lettera ad un prelato anonimo”, datata intorno alla seconda metà del 1375): «Avete taciuto abbastanza. È ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito».

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