Archeologo italiano scopre chiesa paleocristiana nel deserto del Turkmenistan

02 Giu 2011 di Guido Scialpi
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La struttura arcaica di un'antichissima domus cristiana è stata scoperta in un'oasi nel deserto del Turkmenistan, in Asia Centrale, da un archeologo veneziano: risale alla fine del regno dei Parti (fine del primo-inizio del terzo secolo d.C.), secondo quanto ci racconta Gabriele Rossi Osmida appena rientrato dall'ultima missione di scavo, il quale ha individuato la chiesa paleocristiana incastonata nella struttura più antica di Haroba Kosht (“Castello in Rovina”, in lingua turcomanna), un rudere devastato dal tempo e da millenni di guerre (la distruzione definitiva si deve alle orde di Gengis Khan, nel 1221).
E' una scoperta clamorosa. Ma l'edificazione di quel tempio cristiano così indietro nel tempo nel cuore dell'Asia centrale, come spiega Rossi Osmida in un'intervista concessa a pochi giorni dal suo rientro in Italia, trova riscontro nelle testimonianze registrate da alcuni testi del IV e VI secolo che parlano della predicazione dell’apostolo Tommaso (o dei suoi discepoli) nell'oasi di Merv, dove era giunto nella sua missione di evangelizzazione che infine sarebbe arrivata fino all'India.

In realtà, l’obiettivo principale affidato dal Governo del Turkmenistan a Gabriele Rossi Osmida, responsabile del progetto internazionale “Antica Margiana”, era il recupero e restauro del monumento architettonico medioevale di Haroba Khosht, un complesso anomalo la cui struttura esce da ogni canone fin qui noto per il medioevo turkmeno; nemmeno ne era chiara la destinazione d’uso. Lo scavo era diventato ancora più difficile a causa dei danni devastanti provocati su quel sito da archeologi sovietici, i quali avevano rifiutato l'ipotesi che potesse trattarsi di una chiesa paleo-cristiana.

Ma il primo impianto è stato alla fine faticosamente identificato dall'archeologo italiano: “Non era molto ampio – spiega Rossi Osmida – e riflette il sistema delle cosiddette 'chiese a sala' diffuse in Oriente nei primi secoli della nostra era. Un secondo impianto, più massiccio, risale all’arrivo di un nucleo cristiano nestoriano a Merv (V secolo) che, come rileviamo da documenti dell’epoca, costruì una basilica nella cittadella e un monastero (il nostro “Castello in rovina”) accanto al palazzo reale sasanide. Gli antichi documenti ci trasmettono anche il nome del fondatore: Bar Gheorghys”.

Fig. 2 - croce pettorale nestoriana in bronzo rinvenuta sull’entrata della porta principale. XII sec.

I Nestoriani abbracciavano l'eresia di Nestorio, patriarca di Costantinopoli fra il 428 e il 431, il quale attribuiva a Cristo due nature distinte, l'umana e la divina.
Con l’uccisione dell’ultimo re sasanide (nell'anno 652), privi della protezione reale e perseguitati dagli zoroastriani, i Nestoriani abbandonarono il sito riparando in Siria da dove vennero richiamati sul finire del X secolo dagli arabi Abassidi che cercavano, loro tramite, di favorire la distensione con la vicina Bisanzio. Questa politica fu accentuata dalla dinastia turca dei Selgiuchidi, che provvide ad un restauro massiccio del monastero e, grazie ai Nestoriani, instaurò un rapporto privilegiato con la Repubblica di Venezia.

“A quell'epoca – spiega Rossi Osmida – Merv era la più grande città del mondo (contava ben 200.000 abitanti), ricca di palazzi e monumenti di cui oggi si ammirano le rovine. Qui si realizzò il massimo livello raggiunto in passato di civiltà e di tolleranza religiosa. Vi convivevano pacificamente cristiani, ebrei, buddisti e musulmani. Qui aveva sede una delle più grandi università dell’Oriente, dove il grande Omar Khayyam (1048-1131, padre fondatore dell’algebra e noto poeta) insegnò matematica e astronomia”.

Fig. 3 - Ceramica sigillata con raffigurazioni di pesci, di pani e di croci. Questo genere di ceramica è tipico di Merv per il periodo X-XII secolo.

Ma dopo la discesa delle orde di Gengis Khan, che distrussero Merv per ben tre volte nel giro di pochi mesi, l’oasi venne abbandonata per due secoli e non tornò più agli antichi splendori. I Nestoriani si spostarono definitivamente in Iraq e in Siria, dove trasferirono il loro archivio.

La storia dello scavo merita un racconto a parte. Nel 1952 la studiosa russa Galina Pugacenkova aveva già ipotizzato che si trattasse di un edificio religioso, probabilmente cristiano; ma gli studiosi sovietici – come risulta dalla documentazione raccolta dall'archeologo veneziano – si opposero fortemente a questa teoria sostenendo che si trattava solo di un caravanserraglio. Per trovare conferme, nel 1968 decisero di praticare due grandi trincee di scavo al suo interno che restituirono solo alcune monete di epoca sasanide e qualche frammento di ceramica ma che, in compenso, causarono una serie di crolli a catena che resero apparentemente illeggibile l’intero edificio, all’epoca articolato su tre piani e dotato di una grande cupola a est.

Fig. 4 - Frammento di ceramica invetriata con scritta in paleo-arabo (stile cufico “foliato”). Sembra di leggervi la parola “pesce” (samak), simbolo prediletto dalla tradizione paleocristiana. X-XI secolo. Va precisato che, in questo periodo, i Nestoriani di Merv abbandonano la lingua liturgica siriana per adottare quella araba.

“Dopo uno studio accurato dei materiali impiegati per la sua costruzione, affidati a noti laboratori italiani, ho fatto rimuovere le macerie e mettere in sicurezza i muri perimetrali – racconta ancora Rossi Osmida – con la costruzione di alcuni contrafforti per impedire che collassassero. Successivamente ho proceduto alla messa in luce dell’intera struttura scoprendo una serie di finestre e di porte ad arco acuto e, sul lato est, un portale sovrastato da un arco a tutto sesto realizzato in epoca selgiuchide (XI-XIII sec.). E' stato a quel punto che, proprio sul piedritto a pilastro di sinistra, è stata rinvenuta una croce nestoriana in bronzo e, in successione, diversi reperti di 'ceramica sigillata' di notevole interesse che offrono un ampio ventaglio di simboli paleo-cristiani: croci, pani, pesci, uva, tralci, agnelli che si abbeverano, ecc. Con queste scoperte ora non sussistono più dubbi: Haroba Kosht è stata la più antica chiesa cristiana dell’Asia Centrale”.

Per questo, il governo del Turkmenistan ha deciso di promuovere un convegno a Merv nel prossimo settembre durante il quale Gabriele Rossi Osmida esporrà le proprie scoperte e illustrerà le tecniche innovative adottate per la conservazione e il restauro del monumento. Grazie alle sue ricerche, è ora possibile, attraverso le evidenze archeologiche, le analisi dei materiali raccolti (anche con il metodo del radiocarbonio C14) e alcuni preziosi documenti archivistici rintracciati in Iraq e in Siria, ricostruire la storia di questo edificio.

Guido Scialpi