Un angolo di pace, nella dura quotidianità della Striscia di Gaza, che rischia di perdersi per sempre. Le fatiscenti rovine del Monastero di Sant’Ilario, il più antico della Terra Santa, rischiano di scomparire perché mancano i fondi per conservarle e proteggerle. Conosciuto anche come Tel Umm al-Amr, prende il nome da un eremita del III secolo d.C., proveniente dal sud di Gaza e considerato il fondatore del monachesimo in Palestina.
Il monastero di Sant’Ilario sorge vicino a Nuseirat, nella Striscia di Gaza
La struttura, che sorge a 15 km da Gaza City e a 3 km dal campo profughi di Nuseirat, sulle rive del Mar Mediterraneo, risale al 329 d. C., quando Sant’Ilario ritornò nel suo villaggio di Tabatha (ora nel sud della Striscia di Gaza), dopo essere stato allievo di Sant’Antonio in Egitto. Il monastero ha resistito a più di quattro secoli di storia – dal tardo Impero Romano al periodo Umayyad. Abbandonato in seguito ad un terremoto nel VII secolo d.C., è stato riscoperto dagli archeologi palestinesi solo nel 1999.
Ma oggi “è un completo disastro, a livello archeologico, scientifico ed umano” lamenta Rene Elter, ricercatore responsabile del mantenimento del sito per contro dell’École Biblique, istituzione accademica francese con sede a Gerusalemme. “Dobbiamo salvare Sant’Ilario – ha dichiarato Elter all’agenzia France-Presse – La situazione è critica e rischiamo di perdere il sito. E’ fondamentale che si intervenga velocemente, altrimenti sarà perso per sempre.” Poco più di un anno fa, i Palestinesi avevano chiesto che il Monastero fosse inserito nel patrimonio mondiale dell’Unesco, l’organismo culturale delle Nazioni Unite.
Il www.wmf.org, organizzazione no-profit con sede a New York, impegnata nella conservazione del patrimonio architettonico mondiale, ha inserito Sant’Ilario nella propria lista, che include siti a rischio in tutto il mondo per motivi naturali, sociali, politici ed economici. Ma i soldi non sono abbastanza. Secondo Elter ci vorrebbero circa 2 milioni di dollari (1,5 milione di euro) per coprire tre anni, con un investimento immediato di 200mila dollari prima dell’arrivo delle prossime piogge invernali.
Al momento, la Francia è stata quella che ha fatto i maggiori sforzi, finanziando i lavori per 110mila euro dal 2010. L’Unesco ha stanziato altri 35mila dollari. “Tutte le misure di sicurezza che abbiamo messo in atto – recinzioni di ferro ondulato, supporti, sacchi di sabbia – stanno funzionando, ma sono solo rimedi temporanei. Il peggio arriverà nel giro di un anno, se non interveniamo” sottolinea Elter.
Le fondamenta del sito di Sant’Ilario
Le rovine coprono una superficie di 15mila metri quadrati, e il sito circostante si estende per 10 ettari. Situata tra le dune di sabbia, la parte meridionale del complesso comprende una chiesa ed un’ampia cripta, una cappella, varie fonti battesimali, quartieri residenziali ed un refettorio per i monaci. Nel settore settentrionale vi è una locanda e una piscina per i pellegrini che vi si recavano in visita un tempo. Oggi la maggior parte dei sacchi di sabbia che sostengono le fatiscenti fondamenta del monastero è stata disintegrata dall’umidità.
Archeologi al lavoro nel sito di Sant’Ilario
L’ultima soffocante estate è stata seguita da un inverno molto umido, che ha lasciato profondi solchi nel terreno. Benchè ci sia uno scalpellino francese che potrebbe intervenire per puntellare le pareti a rischio di crollo, non ci sono fondi per pagarlo. “L’erba sta iniziando a distruggere il mosaico che decora il pavimento – sottolinea Fadel al-Utol, un giovane archeologo gazawi che cura il sito per un progetto di conservazione franco-palestinese. “Ho bisogno di manodopera e diserbanti per liberarmi di tutta quell’erba, dovrei sostituire duemila sacchi di sabbia e avrei bisogno di legname per rinforzare le piattaforme per i turisti” si lamenta.
Il team che si occupa della struttura è sottopagato da mesi. E senza guardie notturne, si teme che il sito possa essere saccheggiato o danneggiato. Nel frattempo, viene utilizzato per formare esperti palestinesi che nel giro di dieci o quindi anni possano essere responsabili della conservazione e del restauro di altri siti archeologici nella Striscia di Gaza. “Abbiamo una squadra pronta per lavorare, che sarebbe in grado di gestire questo patrimonio” dichiara Fadel al-Utol.
Archeologi lavorano alla conservazione dei mosaici a Sant’Ilario
Ogni giorno, egli porta in visita a Sant’Ilario gruppi di bambini e studenti, e a marzo ha raggiunto il record di 1880 visitatori. Spiega loro il significato del battistero, la storia dei Romani, dei Cristiani pre-Bizantini e degli Omnayyadi, in quella che è un’esperienza unica di apprendimento a Gaza.”Il primo obbiettivo di queste visite è quello di portare gli studenti fuori dalla loro routine scolastica. Il secondo è quello di conoscere i siti storici per capire meglio la storia della Striscia e non dimenticare che i nostri antenati ci hanno lasciato un luogo da custodire” spiega Utol.
Sant’Ilario non è l’unico sito archeologico a rischio nell’impoverita Gaza. Secondo testimoni, negli ultimi mesi le Brigade Ezzedine al-Qassam, il braccio armato del movimento di Hamas che governa la Striscia, hanno occupato Blakhiyeah a Gaza City, il luogo dell’antico porto greco di Antedone. Più a nord, nell’area che circonda un’antica chiesa bizantina a Jabaliya, famosa per i suoi mosaici di animali, è stata danneggiata durante i bombardamenti israeliani nell’operazione militare del novembre 2012.