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Preziosissimi consigli spirituali, utili per tutti (La Scure di Elia)

Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: “Seguimi”» (Gv 21,19). Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto (Benedetto XVI, Udienza generale, 24 Maggio 2006).

Ancora una volta la Provvidenza viene in nostro soccorso tramite un testo fornitoci, questa volta, non dall’Ufficio Divino, ma da una lettrice. In esso la fine sensibilità spirituale di papa Benedetto ci apre uno squarcio sul mistero dell’azione di Dio nelle anime. Gesù, nella triplice interrogazione con cui concede all’apostolo Pietro l’opportunità di riparare al triplice rinnegamento, si adatta alla sua debolezza di essere umano segnato dal peccato, ma proprio così gli dà in pari tempo la possibilità di crescere nell’adesione a Lui e gli infonde una fiducia incrollabile di poterlo imitare, un giorno, fino in fondo. Per conformarci a Sé, dunque, il Signore si adegua a noi: non certo per legittimare colpe e difetti, ma per consentirci di elevarci gradualmente, con l’aiuto della grazia, dalla condizione in cui ci troviamo ed Egli è venuto a cercarci.

Tale processo, purtroppo, diventa impossibile quando, da un lato, si riduce la vita cristiana a vago sentimentalismo oppure, dall’altro, si pretende che i fedeli saltino di colpo da uno stadio morale all’altro senza alcuno sviluppo intermedio. È ovvio che, di fronte a un grande peccatore che va scosso dal suo indurimento, bisognerà parlare in modo franco e fermo, sia pure senza far mancare una sapiente carità per evitare che il richiamo lo indurisca ulteriormente, anziché fargli percepire la misericordia di Dio. Normalmente, però, è necessaria molta delicatezza per condurre le persone alla piena verità senza ferirle, scandalizzarle o scoraggiarle: un confessore non è uno schiacciasassi che deve spianare con la forza ogni asperità, bensì un attento coltivatore che, sul modello di Chi l’ha inviato, non spezza la canna incrinata né spenge il lucignolo fumigante (cf. Is 42, 3), pur asserendo con vigore la verità che salva.

Analoga pazienza occorre usare verso l’errore invincibile e quello involontario, che in linea di principio non impediscono lo sviluppo della vita di grazia, purché non vi sia nel soggetto superba ostinazione. Se una persona non è in grado, sul momento, di superare una convinzione cui è molto legata, si aspetterà il tempo in cui la grazia le permetterà di farlo; in una sana relazione con Dio, del resto, esso arriverà immancabilmente. Se invece il Pastore pretende di creare un ambiente spirituale completamente asettico, soffocherà inevitabilmente l’azione dello Spirito Santo e renderà le anime sterili, benché apparentemente irreprensibili. Come per la salute fisica è importante incrementare le difese immunitarie mediante la formazione di anticorpi, così lo è per quella dello spirito; altrimenti si distruggono anche i fermenti positivi, come fanno gli antibiotici con i batteri benefici.

Il buon cattolico non deve illudersi di poter vivere in una bolla umana assolutamente sicura, fuori del tempo e dello spazio, dove sia dispensato dalla fatica di discernere, scegliere e lottare. Quanti propongono ciò, in realtà, rinchiudono le persone in una prigione mentale e operativa: esse non saranno in grado di muovere un dito senza che qualcuno dica loro, ogni volta, se un’idea è giusta o sbagliata oppure se un’azione si può compiere o no. Nelle questioni più delicate è naturale chiedere un parere, ma la coscienza individuale deve pure allenarsi a risolvere i quesiti quotidiani senza appoggiarsi in ogni istante alla tutela di qualcun altro. Un cattolico non può rimanere un perenne bambino, salvo in senso evangelico: allora il suo cuore limpido e puro riceverà senza difficoltà le luci interiori del sensus fidei e le indicazioni del dono di Consiglio.

C’è un modo di insegnare che, non tenendo conto dell’azione della grazia nelle anime, si sforza di incastrarle in una struttura rigida in cui qualsiasi quesito abbia immancabile risposta e sia eliminata anche la minima incertezza. Oltre ad esigere l’impossibile da sé e dagli altri, i fautori di tale metodo non si accorgono che le realtà divine, in questa maniera, son trattate alla stregua di qualunque cosa del mondo creato e ridotte ad oggetto manipolabile dal pensiero umano. Così basta mutare i presupposti intellettuali per virare verso il modernismo – come di fatto avvenne, negli anni Sessanta, per buona parte del clero. In fondo si tratta di una variante del naturalismo moderno, premessa dell’ateismo e del crollo morale. Insistere su questa strada per rimediare ai mali odierni non conduce di certo a una rinascita, ma solo all’esasperazione di una dicotomia che spacca le anime e la Chiesa.

La grazia non sopprime la natura, ma la eleva; per poterla elevare, s’inserisce nel dinamismo umano di persone che vivono in un dato contesto storico e culturale. Ciò non significa certo che la grazia lo consacri così com’è, bensì che lo purifica a poco a poco tramite gli individui che maturano una vita soprannaturale. La conversione dei popoli germanici e slavi, che seguiva quella del capo e della sua corte, non sempre si compì in modo libero e sereno, ma fu spesso forzata per ragioni politiche; così credenze e pratiche pagane sopravvissero per secoli nascoste o camuffate, proprio perché era mancata una paziente e lungimirante evangelizzazione dei singoli e del loro ambiente, ma ci si era accontentati di una “cristianizzazione” di superficie. La repressione autoritaria provocava periodiche esplosioni di feroce violenza, nelle quali tornavano a galla passioni soffocate e non ancora del tutto guarite.

Un triste esempio di tale dinamica – mutatis mutandis – è il modo di inculcare la frequentazione della Messa tradizionale, che fabbrica spesso cristiani pieni di astio, aggressività e superbia. Siamo perfettamente d’accordo sulle gravi carenze e difetti di quella nuova, molto dannose sia per il sacerdote che per i fedeli. Il primo, se per grazia ha conservato la corretta visione del Sacrificio di Cristo, nel celebrare il rito di Paolo VI sente di doverlo puntellare con la propria fede personale; nella Messa di san Pio V, al contrario, è il rito stesso che, per le sue caratteristiche oggettive, sorregge lui e ne nutre abbondantemente la fede. I secondi, nella nuova Messa, perdono di vista il dovere di onorare Dio come Egli desidera e la necessità di riceverne la grazia, concentrandosi sul benessere emotivo dispensato dallo stile e dalle parole del ministro. È innegabile che a lungo andare, senza l’antidoto della sana dottrina e di un’intensa relazione con Dio, si possa perdere pure la fede.

Per passare da una sponda all’altra, tuttavia, bisogna attraversare un fiume; la prudenza indicherà allora i guadi e la maniera giusta di passarli senza affogare. Molti cattolici comuni, trovandosi d’emblée davanti alla Messa antica, rimangono sconvolti e scappano via, dato che non trovano il conforto psicologico cui sono abituati e si sentono come davanti a una parete a picco da scalare, a meno che il Signore non conceda loro una grazia speciale. Se poi si ingiunge loro di non andare più a quella nuova da quel giorno in poi, si sentiranno interiormente dilaniati e saranno talvolta spinti ad abbandonare ogni pratica religiosa; in tal modo, per fare un proselito, si rischia di fare cento vittime. Occorre allora adottare una saggia gradualità, non rispetto al principio, bensì alla sua applicazione, così da ottenere, a lungo termine, ciò che a breve termine non è possibile, se non con grave danno per le anime. Per innalzarci a Lui, la sapienza di Dio si è adattata alla nostra debolezza; non vorremo imitarla, noi poveri mortali?

Fonte:

lascuredielia.blogspot.com/…23/01/divino-adeguamento-verrebbe-da-dire-che.html
Diodoro
A mio giudizio -e secondo la mia esperienza- la Messa "Nuova" non è né carente né dannosa. Ciò che sconvolge la situzione attuale della Chiesa è il fatto che molti Preti e moltissimi Vescovi "Occidentali" VOGLIONO far nascere una Nuova Chiesa - che non può essere che una Pseudo-chiesa.
Usano lo spazio sacro, sia quello fisico sia quello rituale, per spingere l'idea che "Dio è sempre dalla nostra …Altro
A mio giudizio -e secondo la mia esperienza- la Messa "Nuova" non è né carente né dannosa. Ciò che sconvolge la situzione attuale della Chiesa è il fatto che molti Preti e moltissimi Vescovi "Occidentali" VOGLIONO far nascere una Nuova Chiesa - che non può essere che una Pseudo-chiesa.
Usano lo spazio sacro, sia quello fisico sia quello rituale, per spingere l'idea che "Dio è sempre dalla nostra parte" e che tutto ciò che abbiamo da fare è "ballare intorno a Lui".
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L'unica vera carenza che ho riscontrato, da moltissimi anni, è il "congedo" alla fine della Santa Messa: troppo rapido, sia nel non dare tempo per il Ringraziamento e il ripensamento a ciò che si è ascoltato, sia nel ridurre la Benedizione finale a una formula telegrafica.
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In altre parole, a mio giudizio l'idea (tipica di molti Tradizionalisti) secondo cui papa Benedetto si rese colpevole di non-condanna della Messa Novus Ordo è inaccettabile.
In pratica il Papa si trovò, dopo la pubblicazione del Summorum Pontificum (2007), aggredito dagli Illuminati e censurato dai Ben formati e Saldi nella Tradizione.
Questo atteggiamento del secondo gruppo è in atto anche adesso, quando il santo Padre ci ha lasciati. Neppure il rispetto che ogni defunto merita Gli è stato tributato.
Evviva Benedetto XVI !
SERGIO FERRI
La genesi della acattolicita' insita nel nuovo rito della messa è rinvenibile, in modo chiaro e incontestabile, già nel "Breve esame critico" di Ottaviani e Bacci. Che poi, come ben argomenta, don Elia, si possa "restare" cattolici, con grande sforzo, anche nella messa montiniana è dovuto esclusivamente a fattori non insiti nel rito stesso.
Personale, appunto.
LJC, Ave Maria