Immagini e piante dell'area e delle catacombe ove M. Valtorta ha visto in visione la terza e ultima deposizione di San Pietro.

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Siamo a Roma, al numero 641 della Via Casilina. Un tempo quest’area, situata al terzo miglio dell’antica via Labicana, era di proprietà dell’imperatore Costantino ed era nota come “ad duas lauros”, cioè “ai due allori”, arbusti tradizionalmente presenti presso i palazzi imperiali. Oggi, molto meno nobilmente, si chiama Torpignattara.

Nel sottosuolo dell’antica basilica costantiniana fu scavata nel terzo secolo una necropoli dedicata ai santi martiri Marcellino e Pietro. I tre piani di scavo, i diciassette km di gallerie e le quindicimila sepolture ne fanno una delle catacombe più grandi di Roma. Dopo la caduta dell’impero e le invasioni barbariche, le catacombe furono gradualmente abbandonate e dimenticate. Oggi le Catacombe di Marcellino e Pietro (www.santimarcellinoepietro.it), di proprietà vaticana, sono state restaurate e riaperte al pubblico dalla Pontificia Commissione di Archeologia sacra e affidate in gestione ai religiosi dell’Istituto Cavanis.

La tomba di Elena

Questo nome popolaresco fu dato dal volgo romano al torreggiante monumento funebre costruito dall’imperatore Costantino per essere utilizzato come sepoltura di sua madre Elena, morta nel 329. Gli abili ingegneri romani, per alleggerire il peso della cupola ed evitare possibili crolli, inserirono nella copertura numerose anfore (dette pignatte). Tale stratagemma ancora visibile ha indotto nei secoli passati il popolino a indicare il Mausoleo costantiniano come “la torre delle pignatte”; e da qui sarebbe derivato il nome stesso della zona, conosciuta come Torpignattara.

Il grande tesoro custodito nelle cappelle di questa catacomba è l’arte cristiana delle origini. I cubicoli e gli arcosoli delle famiglie cristiane più facoltose sono stati decorati nel terzo e nel quarto secolo da meravigliosi affreschi, oggi riportati al loro originario splendore attraverso la tecnica del laser. I dipinti delle cappelle funerarie rievocano le storie dell’antico e del nuovo testamento e sono una meditazione sulla storia della salvezza per i nuovi convertiti. Viene spesso rappresentato Giona salvato dal ventre della balena, dove il profeta era rimasto per tre giorni, con questo rievocando la resurrezione del Cristo. Ma sono anche rappresentati il peccato originale di Adamo ed Eva, Noè scampato al diluvio, Susanna salvata dalle insidie degli anziani, Daniele che rimane illeso nella fossa dei leoni, Mosè che fa sgorgare l’acqua nel deserto. Dal Nuovo Testamento provengono le immagini della visita dei Magi, dei miracoli della guarigione del paralitico e dell’emorroissa, della resurrezione di Lazzaro e della moltiplicazione dei pani. Magnifici sono l’affresco dei santi eponimi, la descrizione personificata delle quattro stagioni, i banchetti funebri e le agapi eucaristiche, il canto di Orfeo, i giardini paradisiaci. Passiamo in rassegna alcune di queste immagini, commentate dai passi biblici di riferimento.

Il lembo del mantello


L’emorroissa e Gesù

Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata”. Gesù si voltò, la vide e disse: “Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata”. E da quell’istante la donna fu salvata (Matteo 9, 20-22).

Il paralitico guarito


Il paralitico guarito

Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico -: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua”. Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio. Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose” (Luca 5, 24-26).

La risurrezione di Lazzaro

La risurrezione di Lazzaro

Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni”. Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: “Liberàtelo e lasciàtelo andare” (Giovanni 11, 39-43).

Giona e la balena

Giona gettato in mare

il mare infuriava sempre più. Giona disse loro: “Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia”. Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: “Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere”. Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse. Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio. E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia (Giona, 1 e 2).


Giona rigettato dalla balena

La visita dei Magi


La visita dei Magi

La stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Matteo 2, 9-11).

Daniele nella fossa dei leoni

Daniele nella fossa dei leoni

Allora il re ordinò che si prendesse Daniele e lo si gettasse nella fossa dei leoni. Il re, rivolto a Daniele, gli disse: “Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!”. Poi fu portata una pietra e fu posta sopra la bocca della fossa: il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi dignitari, perché niente fosse mutato riguardo a Daniele. Quindi il re ritornò al suo palazzo, passò la notte digiuno, non gli fu introdotta nessuna concubina e anche il sonno lo abbandonò. La mattina dopo il re si alzò di buon’ora e allo spuntare del giorno andò in fretta alla fossa dei leoni. Quando fu vicino, il re chiamò Daniele con voce mesta: “Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni?”. Daniele rispose: “O re, vivi in eterno! Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re, ho commesso alcun male”. Il re fu pieno di gioia e comandò che Daniele fosse tirato fuori dalla fossa. Appena uscito, non si riscontrò in lui lesione alcuna, poiché egli aveva confidato nel suo Dio (Daniele 6, 17-24).

Mosè fa scaturire l’acqua nel deserto

Mosè

Nel deserto di Sin il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: “Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!”. Il Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele (Esodo 17, 1-6).

La fine del diluvio

Noè

Noè poi fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dal suolo; ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò a lui nell’arca, perché c’era ancora l’acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare presso di sé nell’arca. Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra (Genesi 8, 8-11).