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Addio allo psicologo Ricci, perseguitato perché difese la famiglia - nasce nel 1950 a Milano. Muore a Milano il 21 maggio 2020 È morto a 70 anni Giancarlo Ricci, punto di riferimento per la psicoanalisi in Italia. Pacato e di vasti interessi, fondatore di Chaire e critico dell’omosessualità, dovette affrontare un procedimento disciplinare da parte dell’Ordine degli psicologi della Lombardia per aver detto che «i figli hanno bisogno di una madre e di un padre». Vicenda che raccontò in un’intervista alla Nuova Bussola. E non fu l’unica persecuzione. (video di repertorio)

Con profonda tristezza comunico ai lettori della Nuova Bussola Quotidiana la morte di un amico e collega, Giancarlo Ricci.

Nato a Milano nel 1950, aveva sviluppato un interesse profondo e precoce per la psicologia, in particolare per il lavoro di Freud e Lacan; era in breve tempo diventato un punto di riferimento per la psicoanalisi in Italia grazie alla sua profondità e competenza. Dal 2005 al 2010 aveva prestato servizio come giudice onorario per il Tribunale dei Minori di Milano e aveva scritto importanti saggi su Freud (questo, in particolare, è un testo fondamentale), il gender, il padre e la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI (www.giancarloricci.net/i-miei-libri/); aveva una spiccata propensione per l’arte, in particolare per l’arte sacra, che era in grado di analizzare con intelligenza e sensibilità.

La vastità dei suoi interessi, cosa rara, non andava a discapito della profondità, affinata in anni di pratica analitica. Il tratto che colpiva maggiormente, comunque, era la sua signorilità. Giancarlo mostrava in ogni occasione un atteggiamento che potrei definire «d’altri tempi»: pacato, estremamente educato, assolutamente amabile.

Queste caratteristiche lo avevano reso alieno ma, allo stesso tempo, estremamente efficace nel mondo della comunicazione d’oggi, urlata, volgare e priva di contenuti. Con grande coraggio, si esponeva alle telecamere facendosi portavoce di posizioni critiche sull’omosessualità (era fondatore e socio di Chaire) e sull’educazione di genere.

Questa sua esposizione mediatica fu all’origine di una strana e grottesca vicenda nota anche ai lettori della Nuova Bussola. Per aver sostenuto, in televisione, che «i figli hanno bisogno di una madre e di un padre» ha affrontato un procedimento disciplinare da parte dell’Ordine degli psicologi della Lombardia conclusosi con un’assoluzione (per sette voti favorevoli e sette contrari) dopo ben tre anni e due mesi di logorante procedimento.

lanuovabq.it/it/addio-allo-psicologo-ricci-perseguitato-perche-difese-la-famiglia

www.giancarloricci.net

Per proteggerci dalla pandemia, ci siamo isolati, abbiamo preso dimestichezza con la solitudine e l’isolamento sociale. Il tempo cronologico pare essersi fermato, la ruota del tempo si è rallentata o forse, come ciascuno ha sperimentato, sembra essere uscita dal suo asse. «Il tempo è fuori dai cardini; ed è un dannato scherzo della sorte ch’io sia nato per riportarlo in sesto», recita l’Amleto di Shakespeare. Come pensare il dopo? Come riportare la ruota del tempo nel suo asse naturale? Come immaginare l’avvenire se ancora il virus sembra non averci dimenticato? Questi interrogativi si moltiplicano, così come l’inquietudine.

Mai come oggi si delinea a più livelli, nettamente e concretamente, un disegno che prima della pandemia operava silenziosamente nella società: la biopolitica. Oggi quel silenzio è diventato un grido di sconforto e di indignazione. Solo ora, per esempio, la società si accorge – è l’Oms a ricordarlo – che il virus in Europa ha colpito mortalmente, per il 50 per cento, gli anziani che vivevano nelle case di riposo. Forse un po’ di trascuratezza c’è stata, affermano coloro che voltano lo sguardo dall’altra parte. In realtà tanti morti nelle case di riposo assume il senso tragico di un lapsus della biopolitica. Volevano proteggere gli anziani ma in realtà è accaduto il contrario: il “proteggere” è diventata una “strage” sistematica, per alcuni addirittura un “massacro”. Parola terribile, quest’ultima, perché evoca un’altra parola altrettanto orribile che è “eutanasia”. Non possiamo crederci. Eppure quale migliore esempio per evocare il funzionamento nefasto di un programma biopolitico che pretende di imporre i propri criteri di valore e di utilità alla vita umana?
Credere di gestire la vita altrui in nome del profitto, di quel bene materiale che è ritenuto alimentare l’esistenza e la sussistenza umana, diventa un’ideologia perché appiana le differenze, promuove criteri di valore arbitrari, attua sommessamente una “leggera” discriminazione che rischia di scivolare verso vere e proprie forme di segregazione. Il tutto – conosciamo il ritornello – evidentemente per il Bene Comune.

www.tempi.it/cosa-significa-…