Abbiamo concluso l'articolo la settimana scorsa soffermandoci sulla diffusione in età tardoantica di una nuova forma di banchetto, lo stibadium, che sostituisce il triclinium. Quest’ultimo, come ricorderete, era costituito da tre letti dove il padrone di casa e gli ospiti sedevano durante il pranzo. Lo stibadium era invece costituito da un grande divano a forma semicircolare disposto attorno al tavolo dei commensali.
Come testimoniano alcune celebri rappresentazioni, tra cui il mosaico della Piccola Caccia nella villa del Casale a Piazza Armerina e quello della villa del Tellaro in Sicilia, lo stibadium nasce inizialmente come struttura ampiamente effimera per il banchetto all’aperto, soprattutto in occasione di battute di caccia e di feste religiose. Era quindi una struttura relativamente leggera così da essere facilmente rimovibile e collocata in altri contesti, inizialmente costituita da un grande cuscino imbottito di foglie e in un secondo momento realizzata in legno.
La presenza di strutture in legno è stata ipotizzata sulla base di tracce indirette, come i celebri casi della villa del Falconiere ad Argo in Grecia, della House of the Buffet Supper di Antiochia, o della Maison du Cerf di Apamea, dove il rinvenimento di resti di legno carbonizzato a forma semicircolare ha fornito una rara testimonianza diretta dell’esistenza di una struttura lignea.
Contemporaneamente furono realizzati stibadia in muratura, meno deperibili del legno, dove è possibile apprezzare maggiormente la manifattura riportata in vita dagli scavi archeologici. Un esempio ben conservato, ad esempio, lo troviamo nella villa del IV secolo d.C. a Faragola, in Puglia.
La forma ricurva dello stibadium aveva il vantaggio di lasciare libera la parte centrale della stanza per servire più comodamente il pranzo o per intrattenere gli ospiti con spettacoli di attori, musicisti e danzatori. Le dimensioni erano variabili, ma normalmente contenute in modo da garantire un contatto più diretto tra i partecipanti. Solitamente potevano ospitare da cinque a nove ospiti (nel caso di Faragola, per esempio, il numero dei commensali non doveva superare sette unità) e lo spazio ricoperto era circa un quinto dell’intera sala. Il resto della superficie doveva essere riservata alle attività e ai movimenti degli inservienti e degli attori e musici, oltre che all’esposizione di cibo, di elementi di arredo e di oggetti di pregio.
Tuttavia, lo stibadium era posto in una posizione enfatica, sopraelevato ed in asse con l’ingresso, così da offrire una visione marcatamente frontale e simmetrica. Allo stesso modo doveva essere studiatissima e privilegiata l’osservazione garantita ai commensali, che erano sistemati sul letto semicircolare su un livello superiore rispetto alla sala, da dove potevano godere di una visione dall’alto degli spettacoli.
L’arredamento dell’ambiente era completato da una tavola rotonda per il vino, detto cillibantum, e dal repositoriom, una sorta di credenza a uno o due piani dove venivano riposti i piatti necessari al banchetto.
Le tavole erano coperte da una tovaglia, mappa o mantele, che durante lo svolgimento del pasto veniva pulita dai servitori con la gausape, un panno di lana grezza a pelo lungo. Sulla tavola non doveva mai mancare la saliera, salinum e l’ampolla dell’aceto, acetabulum; sempre presenti anche gli stuzzicadenti, dentiscalpia, costituiti da una lunga spina di legno o da una piuma. L’illuminazione era garantita da lucernaee candelabri.
Ovviamente non potevano mancare fiori freschi che regalavano un tocco aggraziato alle sale. Gli anfitrioni, ossia i padroni di casa, spesso collocavano nell’ambiente anche dei bruciaprofumi per mitigare i forti odori che provenivano dalla cucina, e quelli ancora più sgradevoli dei convitati stessi, la cui igiene personale lasciava spesso a desiderare. Un altro elemento, difficilmente ricostruibile in quanto deperibile, è relativo alla presenza di tendaggi, che andavano a decorare l’ambiente.
La disposizione dei convitati su uno stibadium era di grande importanza e rigidamente studiata. L’Imperatore occupava il posto d’onore, in margine dextro, mentre all’ospite di riguardo, il console, veniva riservato l’estremo posto a sinistra, il cornu sinistro; gli altri convitati si disponevano, secondo un rigido protocollo in ordine decrescente d’importanza, da sinistra verso destra. Questa disposizione gerarchica è confermata anche da alcune celebri rappresentazioni del banchetto, come l’Ultima Cena, presente nei mosaici di Sant’Apollinare Nuova a Ravenna.
Un ulteriore esempio è il magnifico mosaico della Piccola Caccia di Piazza Armerina, in Sicilia, precedentemente citato. In questi mosaici di banchetti, il ruolo dello stibadium viene particolarmente enfatizzato e ci permettono di focalizzare chiaramente le usanze conviviali, le relazioni e le gerarchie sociali di quell’epoca, nonché del contesto ambientale.
Infatti, importante era lo stretto rapporto tra la sala da pranzo e il contesto agreste circostante. Un ruolo fondamentale era costituito dall’acqua, non solo di quella corrente disponibile a tavola, ma anche di quella utilizzata per creare straordinari spettacoli scenografici, in particolare grazie al gioco di riflessi che si otteneva dall’effetto cromatico dei marmi e delle paste vitree che si trovavano sui pavimenti.
La presenza dell’acqua contribuiva anche a garantire una piacevole frescura durante i banchetti estivi. Un esempio straordinario è costituito dalla Villa di Faragola, uno dei più significativi esempi di residenza rurale dell’aristocrazia Tardoantica e uno dei più eloquenti documenti materiali dello stile di vita fra il IV e il VI secolo. Il dominus, proprietario di casa, ritenne di dare alla cenatio, ossia la sala da pranzo, una sistemazione più lussuosa e monumentale, oltre che fortemente innovativa. Il progetto edilizio si tradusse, sul piano architettonico nella costruzione di un lussuoso stibadium in muratura, dotato di fontana.
Probabilmente al di sopra della vasca era sistemata una mensa di marmo e dalla vaschetta posta sulla parte frontale dello stibadium usciva l’acqua a cascata, in modo che un velo d’acqua ricoprisse i marmi del pavimento, creando un gioco di riflessi che esaltava i colori dei marmi.
L’uso architettonico dell’acqua in tali strutture per banchetto è testimoniato anche nella villa di Plinio, dove lo stibadium in marmo era stato installato al di sotto di un pergolato che garantiva ombra e gli ospiti potevano servirsi da mangiare prendendo il cibo da piatti a forma di battelli galleggianti che sostituivano la normale tavola. Sidonio Apollinare racconta della piccola cenatio estiva dotata di stibadium nella sua villa di Avitacum (attuale Francia) ed evidenzia lo stretto rapporto di quest’ambiente con l’acqua, in particolare con il paesaggio.
La bellezza della natura circostante che si poteva godere tra una portata e l’altra, unite alla frescura garantita dal lago, contribuivano non poco ad accrescere il piacere complessivo del banchetto.
Questo fantastico insieme di elementi architettonici e decorativi si univano perfettamente alla centralità attribuita alla cura del corpo e ai piaceri della tavola tipica del periodo tardoantico. Grande era quindi l’importanza che si dava agli spazi e alle pratiche della vita sociale e della convivialità.
Mi piace immaginare la ricchezza e lo sfarzo che doveva caratterizzare la vita di questi aristocratici, chissà quali argomenti discutevano, come vestivano ma soprattutto cosa mangiavano… magari questo sarà argomento di uno dei prossimi articoli.