Papa e antipapa: l’inchiesta – Benedetto XVI non abdicò, ma annunciò “sede impedita” – Parte 2

Proprio utilizzando le affermazioni dei canonisti Mons. Giuseppe Sciacca e Prof.ssa Geraldina Boni, “legittimisti” di Bergoglio, i giuristi Estefania Acosta e Antonio Sànchez hanno dimostrato che:
non esistono due papi, né il “papato allargato”; 2) il papa è uno solo; 3) il papa emerito non esiste; 4) munus e ministerium non sono sinonimi in senso giuridico; 5) Papa Ratzinger ha citato il munus in senso giuridico, senza rinunciarvi, come impone il diritto canonico per l’abdicazione; 6) inoltre, ha separato i due enti che, pure, sono indivisibili nel caso del Papa; 7) ha pure dichiarato di rinunciare all’ente sbagliato, cioè il ministerium; 8) ha differito una rinuncia che doveva essere simultanea e non l’ha neanche ratificata.
Nessuno ha smentito: dal Vaticano fanno finta di niente da marzo scorso. Allora se la Declaratio non era una rinuncia al papato, cos’era?
La svolta è avvenuta il 20 agosto quando lo scrivente ha proposto un assoluto cambiamento di paradigma sulla Declaratio: ciò che tutti noi siamo stati abituati, DA OTTO ANNI, a percepire come un atto giuridico di rinuncia al papato, era in realtà un annuncio, NON GIURIDICO, di un situazione di impedimento a governare. Qualcosa di simile a quella individuata dal canone 412 come SEDE IMPEDITA, quando “il Vescovo (in questo caso di Roma n..d.r.) è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani”.
La Declaratio, quindi non era una rinuncia scritta male, invalida, bensì la validissima dichiarazione del Papa di voler rinunciare solamente all’esercizio pratico del potere, ritirandosi in una vita contemplativa, senza abdicare. Quando Benedetto parla di dimissioni, infatti, intende solamente dimissioni dall’esercizio pratico del potere, non dall’ESSERE papa. (Ecco perché da otto anni ribadisce che il papa è uno, senza spiegare quale). Lo ha poi confermato esplicitamente nel libro “Ultime conversazioni” (2016), quando dice che “nessun papa si è dimesso negli ultimi mille anni e anche nel I millennio è stata un’eccezione”. Dato che hanno abdicato sei papi nel I millennio e quattro nel II, lui intende per forza le dimissioni dell’esercizio pratico del potere, così come fu nel raro caso del papa medievale Benedetto VIII che, nel I millennio, fu scacciato da un antipapa. Questi rinunciò al ministerium, (come Ratzinger) ma rimase papa, tanto da essere poi reintegrato sul trono dall’imperatore Enrico II. Prova ulteriore sia che nel libro intervista di Ratzinger-Seewald “Ein Leben” (2020), si parla di dimissioni (Rucketritt) solo per Benedetto XVI, mentre di abdicazione, (Abdankung) solo per i papi che abdicarono davvero, come Celestino V, con il quale, per giunta, lo stesso Ratzinger scrive in “Ultime conversazioni” di non avere nulla a che spartire.
In sostanza, quindi, oggi non abbiamo due papi: ne abbiamo MEZZO: solo uno, divenuto eremita (e non emerito). Bergoglio è un antipapa e, come spiega il canonista Francesco Patruno, non è più che un vescovo, perché sia col papato che con l’antipapato, si perde lo status di cardinale. Un “vescovo vestito di bianco”, dunque, come nel Terzo Segreto di Fatima, di cui papa Ratzinger è profondo conoscitore.
Ma per quale motivo, papa Benedetto è dovuto giungere a questa drammatica dichiarazione di impedimento? Perché nessuno più gli obbediva: da anni perdurava un ammutinamento generale testimoniato da moltissime persone, ma anche da episodi comparsi sulla stampa. Lui stesso confidò a Mons. Fellay: “La mia autorità finisce a quella soglia”. Basti poi ricordare lo scandalo Vatileaks, da cui emerse come la sua posta privata veniva trafugata e divulgata, o il licenziamento in tronco del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi (di cui Benedetto apprese dalla tv), o il fatto che già nel 2005, la sua “inabilità” giurisdizionale gli aveva impedito di introdurre un piccolo cambiamento filologico nel canone della messa, il famoso “pro multis”. Ma sul contesto che ha condotto Benedetto XVI a questo difficile passo, probabilmente preparato da decenni, dedicheremo uno spazio apposito.
Torniamo, piuttosto, alla lettura corretta della Declaratio. Così come il Vaticano, nelle traduzioni in italiano e in altre lingue dall’originale latino, aveva già abusivamente abolito la fondamentale dicotomia giuridica fra munus e ministerium, asfaltando tutto con la parola “ministero”, così ha deciso di tradurre illecitamente il verbo “vacet” nell’espressione “sede vacante”. Come noto, tale formula ha una valenza giuridica e identifica la sede di San Pietro priva del papa, perché morto o abdicatario, quindi, pronta per un nuovo conclave.
Ma, come abbiamo specificato ieri, la rinuncia al ministerium NON RENDE LA SEDE VACANTE, quindi il verbo vacet non si può tradurre con questa espressione, per un motivo di coerenza giuridica.
Infatti, il latinista prof. Gianluca Arca spiega che, in senso letterale, vacet si deve tradurre con “la sede resti libera, vuota, sgombra“. Confermano due altri latinisti (“neutrali”) de “La Sapienza”, i prof. Ursini e Piras. Cicerone scrive, ad esempio: “Ego filosophiae semper vaco” – “ho sempre tempo libero per la filosofia”.
Così, a fronte di questa nuova e filologica traduzione, restano tre concetti chiave della Declaratio di Benedetto (che riporteremo in fondo per intero):
1) Dato che non ho più le forze per esercitare il potere pratico (ministerium) dichiaro di rinunciarvi,
2) così che la sede di San Pietro resti LIBERA (non “vacante” in senso giuridico) a partire dalle ore 20,00 del 28 febbraio.
3) E dichiaro che il prossimo nuovo Pontefice dovrà essere eletto da un conclave convocato “da coloro a cui compete“.
E infatti abbiamo che il 28 febbraio 2013, quando doveva entrare in vigore la sua rinuncia al ministerium, Benedetto XVI prese teatralmente l’elicottero, lasciò FISICAMENTE LIBERA, VUOTA, la sede di San Pietro per andare a Castel Gandolfo. Da lì, salutò il mondo alle 17.30, ma allo scoccare delle ore 20.00, non firmò alcuna rinuncia al ministerium, come spiega il teologo Pace: sarebbe stato, infatti, un atto giuridico invalido. La sua rinuncia al ministerium è rimasta, dunque, sempre puramente fattuale, causa impedimento a governare.
Dal 28 febbraio, ore 20.00, sarebbe partita la Sede impedita e i nemici di Ratzinger avrebbero potuto fare ciò che volevano della sede di S. Pietro.
«Si spiega così – concordano i professori Arca e Sànchez – quella strana frase “il conclave dovrà essere convocato da coloro a cui compete“. Perché, infatti, papa Ratzinger non ha detto semplicemente “dai cardinali”? Consapevole del fatto che la Sede di San Pietro sarebbe stata usurpata, Benedetto si limitava ad ammonire che, in ogni caso, il prossimo vero papa dovrà essere eletto solo dai veri cardinali, cioè quelli nominati da veri papi, lui e Giovanni Paolo II, e non da eventuali usurpatori. Abbiamo sottoposto questa realtà alla Prof.ssa Geraldina Boni, chiedendole un commento, ma non ha risposto.
E’ pazzesco, vero?
Ma se si vuole sciogliere un mistero bisogna essere disponibili a cambiare radicalmente il punto di osservazione.
A proposito, infatti, chiediamoci: MA CHI LO HA DECISO CHE LA DECLARATIO ERA UNA RINUNCIA AL PAPATO? Il documento si chiama semplicemente “Declaratio” QUI e non “Renuntiatio” come richiesto, fra l’altro, dalla costituzione apostolica Universi dominici gregis dove il conclave può essere convocato “post Pontifici obitum vel validam RENUNTIATIONEM” – dopo la morte del pontefice o valida rinuncia”.
Ma soprattutto, è lo stesso Benedetto XVI che, dopo aver letto la Declaratio in latino fa spiegare ai frastornati cardinali il senso del suo intervento al decano, Sua Eminenza Angelo Sodano, che, come vedrete legge “a caldo” un foglietto preparato in anticipo QUI .
Sodano non parla né di rinuncia, né di fine del pontificato, ma di fine del SERVIZIO pontificale. Sottolinea più volte che Benedetto rimarrà papa fino al 28 febbraio e specifica, alla fine, peraltro: “La Sua missione, Santo Padre, continuerà: Ella ha detto che ci sarà sempre vicino con la sua testimonianza e con la sua preghiera. Certo, le stelle nel cielo continuano sempre a brillare e così brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato”. Lo stesso Benedetto dirà poi: “Il «sempre» è anche un «per sempre» – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo” e ancora: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro” QUI
Più esplicito di così… Eppure, i cardinali hanno avuto 17 giorni di tempo per chiedere chiarimenti, delucidazioni, per controllare il Codice di Diritto canonico. Nessuno ha parlato, se non – come parrebbe da indiscrezioni – il card. Burke, canonista, che non venne ascoltato. Possiamo, dunque, immaginare una sede più impedita di così?
Quindi, dobbiamo entrare finalmente e decisamente nell’ottica secondo cui “ALTRI” hanno deciso che la Declaratio doveva essere una abdicazione, mentre Ratzinger aveva dichiarato tutt’altro.
Certo, Benedetto XVI ha lasciato fare a chi voleva interpretare la Declaratio come un’abdicazione, NON HA PROTESTATO ed è stato al gioco di chi lo impediva nel governare e voleva toglierlo di mezzo. Scopriremo domani come e soprattutto PERCHE’.
La Declaratio tradotta correttamente:
Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il MUNUS petrino. Sono ben consapevole che questo MUNUS , per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il MINISTERIUM a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al MINISTERIUM di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, RESTI LIBERA (e non “sarà vacante” n.d.r.) e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.
Dal Vaticano, 10 febbraio 2013
BENEDICTUS PP XVI
Fonte:
byoblu.com/2021/09/09/papa-antipapa-inchiesta-2/