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"I Montessori del mare” Sulla nave per imparare a leggere e a scrivere. Per fuggire dalla criminalità, dalla povertà e dalla miseria. Da monelli a marinaretti. Da scugnizzi senza speranza a ragazzi …Altro
"I Montessori del mare” Sulla nave per imparare a leggere e a scrivere. Per fuggire dalla criminalità, dalla povertà e dalla miseria. Da monelli a marinaretti. Da scugnizzi senza speranza a ragazzi proiettati verso un futuro migliore, centinaia di bambini, orfani di pescatori, di papà uccisi in quella inutile strage che fu la Grande guerra, furono accolti ed educati a bordo delle “navi-asilo”.

Pubblicato il 19 lug 2016

Sulla nave per imparare a leggere e a scrivere. Per fuggire dalla criminalità, dalla povertà e dalla miseria. Da monelli a marinaretti. Da scugnizzi senza speranza a ragazzi proiettati verso un futuro migliore, centinaia di bambini, orfani di pescatori, di papà uccisi in quella inutile strage che fu la Grande guerra, furono accolti ed educati a bordo delle “navi-asilo”. Nate sulla scia delle training ship inglesi l’esperienza di queste “scuole galleggianti” fu proposta e sostenuta dell’ammiraglio Paolo Thaòn di Revel, ministro della Marina. Il primo esperimento era avvenuto a Genova alla fine dell’Ottocento grazie al professore di matematica Nicolò Garaventa che accolse su nave Redenzione e poi su Nave Officina Redenzione Garaventa centinai di discoli. Il suo motto era Ubi charitas ibi Deus. Il primo esperimento in Italia era avvenuto con la "Nave scuola-officina per discoli" a Genova il 1° dicembre del 1883 con l’intento di coniugare la «vita di mare» con la «redenzione sociale», due ambiti apparentemente lontani, ma intrinseci alla vita marinara. Il promotore dell’iniziativa fu Nicolò Garaventa, un docente di matematica presso il Liceo ginnasio "Andrea Doria" di Genova, che intuì nella vita marinaresca un progetto educativo e una effettiva opportunità di recupero e di riscatto sociale per i giovani "marinaretti". Così il Daino, un brigantino ormai in disarmo che aveva combattuto la guerra navale del 1848 contro l’Austria, fu destinato dalla Regia Marina alla famiglia Garaventa, grazie all’interesse dell’ammiraglio Paolo Thaòn di Revèl. Il veliero fu adattato per accogliere i ragazzi e diventò una nave scuola con il nome prima di Redenzione e poi con quello di Nave Officina Redenzione Garaventa. La nave restò ancorata a Genova fino al 1904 quando la Regia Marina assegnò al professore Garaventa e ai suoi figli la cannoniera Sebastiano Veniero dismessa dal servizio. Il motto di nave Garaventa fu Ubi charitas ibi Deus e accolse giovani sbandati di età non superiore ai sedici anni, ma anche molti che avevano scontato già pene detentive.

Poi ci fu l’avallo e il sostegno del ministero della Marina nel cedere gratuitamente alla “Società veneta di pesca e acquacoltura” nave Scilla. Questa unità già nel 1904 era stata data in consegna a questa società per farne sede in Venezia della scuola di pesca e istituirvi un asilo per i figli dei pescatori del litorale Adriatico. Successivamente, anche la Caracciolo a Napoli fu adibita alla stessa funzione. Ma è nel 1912 che l’esperienza delle "navi-asilo" viene istituita su proposta dell’ammiraglio Paolo Thaòn di Revèl, allora ministro della Marina, con un decreto del 28 giugno di quell’anno, successivamente convertito in legge. Mentre, il 21 giugno del 1914, un mese prima dello scoppio della Grande Guerra (28 luglio 1914) nacque il cosiddetto “Ente morale Opera nazionale di patronato per le navi asilo Caracciolo e Scilla”, con sede a Roma presso il Ministero della Marina, a garanzia e a vigilanza sulla prosecuzione dell’esperienza delle navi-asilo.

A bordo di Nave “Scilla” a Venezia grazie all’insegnante Levi Morenos, di nave “Eridano” a Bari e di Nave “Caracciolo” a Napoli i marinaretti, come si vede dalle immagini fornite dall’Ufficio storico della Marina Militare furono recuperati da quelle periferie urbane ed esistenziali e accolti grazie a questi “montessori del mare”. Tra loro una donna napoletana, Giulia Civita Franceschi che con amore e impegno educò e fece imparare un mestiere a tanti “caracciolini”. Tanto da attirare l’attenzione di una grande giornalista Matilde Serao che proprio a lei e ai “caracciolini” dedicò loro un lungo reportage, poi pubblicato sulla Rivista Marittima nel maggio del 1913. Una missione, quella di questi “eroi del quotidiano” che fecero prendere il largo nel mare della vita a tanti giovani con dignità e lontano dalla delinquenza.
Vincenzo Grienti

Dalla puntata di TGtg del 18 luglio 2016, condotta da Cesare Cavoni.