La storia di DORCAS (ricevo e passo...)

Cari Amici,
per la Santa Pasqua vi mando la triste, ma serena storia di una mamma. E’ il mio Augurio Pasquale, perchè in questa mamma vedo la voglia di risorgere sempre. Naturalmente voglio aiutare lei e la sua famiglia e mi appello anche al vostro buon cuore. Se non avete tempo, non fatevi un problema, non leggete, ma se ne avete il tempo e la voglia penso che vi sarà utile per capire come vivano migliaia, forse milioni, di donne nelle baraccopoli, non solo di Nairobi, ma del mondo.
Mentre traducevo in Italiano mi dicevo che la mia mamma era passata tra tante tribolazioni, ma a confronto... eppure mia mamma è una santa...mi direte poi come dovremmo chiamare Dorcas.
Se volete mandare il vostro aiuto, trovate qui i dettagli.
In ultimo, per favore, specificate: “Per Dorcas”.
Grazie di tutto cuore se siete riusciti a leggermi fino qui ed ancora Buona Pasqua!

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Per Dorcas
Nonna Dorcas con i nipotini
La storia di Dorcas, scritta dalla figlia

Era il 28 marzo 1966 quando Dorcas vide la luce. Era l’ottava figlia di una ragazza madre. La mamma si chiamava Mwanza e gestiva un “hotel” nella baraccopoli di Kibera a Nairobi - Kenya. Dorcas venne mandata con i fratelli e le sorelle in campagna, dai parenti, là dove mamma Mwanza inviava loro qualche cosa da mangiare, ma i parenti se ne approfittavano e lasciavano che Dorcas ed i fratelli soffrissero la fame.
Dorcas decise di cercare un lavoro per sostenere i suoi fratelli e pagare le rette scolastiche. Alcuni anni dopo fu in grado di dare l’esame di terza media con risultati più che brillanti.
Poichè nessuno poteva aiutarla negli studi, ha cominciato a fare qualche lavoro a giornata. Le piaceva tantissimo leggere, ma...
Una sera che non avevano olio per la lampada ed i suoi fratelli dormivano, lei era riuscita a farsi luce con un rametto acceso per poter continuare a studiare, mentre le sorelle dormivano. Improvvisamente un uomo entrò nella baracca, le tappò la bocca e la stuprò. Poichè era povera, ed i vicini si prendevano gioco di lei, lei non disse nulla ad alcuno e tenne la cosa per sè, portando dentro la sua sofferenza, da sola. Scoprì presto di essere incinta. La gente non pensò neppure lontanamente ad aiutarla, ma si diede da fare a sparlare di lei. Diede alla luce una bambina che chiamo come la sua mamma: Mwanza.
Sempre con grosse difficoltà per mantenere se stessa e la bambina, trovò impiego come domestica presso una ricca famiglia. Trovò anche un uomo che si disse innamorato e promise di prendersi cura di lei. Si sposarono e dopo due anni lei si trovò nuovamente incinta.
Ma la fortuna non l’assisteva per certo e l’uomo cominciò a bistrattarla finchè un giorno cercò di violentare la prima bambina. Fu allora che per alcuni segni sul corpo dell’uomo, Dorcas riconobbe in lui quello che l’aveva violentata anni prima e che quindi era padre di Mwanza Junior. Dorcas fuggì di casa con la sua bambina, con una pena infinita nel cuore. Tornò dai suoi parenti, sempre poco accoglienti e dopo poco diede alla luce un bambino. Adesso erano tre bocche da sfamare e lei poteva solo chiedere la carità di un lavoro saltuario ed accettare qualsiasi paga, pur di poter soddisfare in qualche modo la fame dei suoi bambini.
Un giorno andò ad una scuola vicina a chiedere un lavoro. Fu accontentata ed incaricata di fare le pulizie nella scuola. Un insegnante tanzaniano si innamoro di lei, la aiutò finanziariamente e, naturalmente la mise incinta. Sfortunatmamente l’insegnante fu trasferito e non ci pensò nemmeno di portarsi dietro quella che aveva detto di amare.
Mamma Dorcas partorì me, la terza nata. Finita la maternità, la scuola, come succede spesso a chi non è tutelato da alcuna legge, la licenziò senza alcun beneficio e lei tornò alla casa di “riferimento”, senza avere la minima idea sul da farsi. Tre anni passarono tra difficioltà e problemi di ogni genere.
Un giorno si trovarono tutti e quattro affamati e digiuni da due giorni: solo acqua tiepida con sale e nulla più. Dorcas prese la decisione di andare dal negozio vicino a chiedere un po’ di farina per farne una polenta. Il proprietario del negozio accettò alla condizione che lei andasse con lui a letto. Non aveva possibilità di scelta: accettare o morire di fame con i suoi bambini. Naturalmente ancora una volta si trovò incinta. Di nuovo una bocca in più da sfamare, in una condizione di assoluta incertezza. Si sentiva perduta.
Cosa fare, dato che non solo doveva badare al quarto arrivato, ma non riusciva neppure a sfamare i tre piccoli arrivati prima? Decise di andare a Nairobi e di cercare la sua mamma. La trovò in una baracca, a letto, gravemente malata.
La sua mamma (mia nonna) era proprietaria di una modesto hotel e di un piccolo pezzo di terra nella baraccopoli di Kibera a Nairobi. I due inservienti che lavoravano con lei nell’hotel, decisero di portare la mia nonna all’ospedale. Là lei si spense. Fu tumulata a Kitui, nella terra delle sue origini da cui eravamo partiti con la mamma e dove tornammo a vivere per un anno ancora.
La mamma decise di ripartire per Nairobi con noi 4 dove purtroppo l’hotel ed il terreno della nonna era diventato abusivamnente proprietà di altri. La mamma si rese subito conto di non poter difendere il proprio diritto. Dopo aver contattato i nuovi proprietari illegali ed aver constantato che si trattava di veri e propri gangster, decise che la sua vita e quella dei suoi bambini erano più importanti. In un momento di rabbia lei strappò addirituttura il suo documento di proprietà.
Uno dei clienti della nonna si fece vivo dalla mamma dimostrandole attenzione e desiderio di aiutarla. Ci diede anche cibo ed un posto per dormire. Dopo una lunga frequetazione, decise di sposare mia mamma. Un anno e mezzo dopo, lei era di nuovo incinta e diede luce ad un bambino. Il papà del nuovo arrivato non aveva mai accettato mio fratello maggiore, mentre la mamma voleva bene a tutti noi. Così quest’ultimo papà, cominciò a litigare con la mamma.
Poichè era un uomo di grande forza, la mamma, tememndo che l’uomo potesse farci del male, una notte ci portò via di corsa e, lontano da quella casa trovammo una baracca che non aveva nè porta nè finestre ed anche il tetto era squarciato. Riparammo tutto con sacchi e cominciammo ad abitare là. Questa nuova baraccoppoli si chiama Mukuru kwa Reuben. La mamma si alzava presto la mattina, pregava e poi andava a sedersi su di una pietra non lontana, dove la gente, sapendo che lei era là in cerca di lavoro, le dava la biancheria lavare. Quando veniva chiamata, riceveva pochi soldi che le permettevano di pagare l’affitto della catapecchia e comprare il cibo indispensabile per non morire di fame. Se non trovava lavoro, una buona donna che chiamavano Mama Mumbi (mamma del creatore), le dava da mangiare, ma la mamma metteva tutto in un sacchetto e lo portava a casa per noi e quello era il nostro unico pasto della giornata. Così siamo sopravvissuti.
Poichè lei era ormai conosciuta nella zona come quella che mendicava lavoro, spesso veniva assoldata, almeno tre volta la settimana: lavava vestiti e faceva le pulizie delle case. Con la sua volontà e l’aiuto del Signore, tutti noi abbiamo potuto frequentare le scuole superiori.
Tre anni fa ha deciso di tornare alla campagna dove aveva il terreno che la mamma le aveva lasciato. Era una terra che i suoi nipoti, figli di suo fratello avrebbero voluto e cercavano di entrarne in possesso con la forza, non certo legalmente. Sono tutti dediti alla droga ed avrebbero voluto vendere quel pezzo di terreno per farne uso per i loro vizi. Dopo una lite violenta, il più grande dei nipoti alzò il machete per ucciderla. Fu salva per miracolo. Non potè denuciare la cosa, perchè ci vogliono soldi per la denuncia e lei non ne aveva.
I miei fratelli e sorelle andarono da lei spesso, nonostate i quasi 200 km. che separano quel luogo da Nairobi, ma alla fine riusciro a mettere in piedi per lei, con l’aiuto di Dio, una cucina ed un’altra stanza che seve da sala da pranzo, ingresso e dormitorio non solo per lei, ma anche per tutti noi, quando andiamo a trovarla.
Poichè non aveva altro passaggio, era costretta a passare davanti ai servizi igienici dei fratelli e nipoti e questo dava loro grande fastidio. Una sera, mentre passava, la caricarono di insulti, le proibirono di usare i servizi igienici e le bloccarono il passaggio.
Un giorno, mentre lei tornava dalla spesa i nipoti la picchiarono finchè cadde a terra e poi la trascinarono come un sacco, mentre continuavano a picchiarla, ed a dirle che da quel posto lei se ne doveva andare. Così la trascinarono fino alla porta della sua casa e là la abbandonarono.
Tutta ammaccata e dolorante, riuscì ad aprire la porta e ad entrare in cucina dove dormiva il suo nipotino di un anno. E’ riuscita a prendere in mano il telefono e ad informare il figlio maggiore di quello che le era capitato. Lui mi ha telefonato ed io ho preso la decisione di chiamare il capo e gli anzaini del villaggio. Uno dei miei amici di Nairobi mi ha dato 10.000 shellini (80 Euro) per avviare una causa e chiedere giustizia per mia mamma. Da allora la lasciano in pace, ma lei è ora tutta dolorante per le botte subite dai nipoti.
Non so come ringraziare il Signore per avermi dato una mamma così grande che anche ora ci incoraggia con la sua vita. E’ anche a causa della sua tenace volonta e della sua esperienza di vita che riesco a vivere con gioia, amore e pace la mia vocazione. (Sono suora in una congregazione che si prende cura dei diseredati e dei poveri e va a visitarli là dove vivono, nelle loro catapecchie, proprio come viveva la mia mamma insieme con noi). Gli altri suoi figli, sopravvivono grazie alla Provvidenza del Signore. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutati in diversi modi. Nessuno di noi conosce il suo padre biologico, ma siamo uniti perchè abbiamo mangiato in un solo piatto tutti insieme e perchè sappiamo che abbiamo in comune il Padre del Cielo che conosce quello di cui abbiamo bisogno e ci mantiene uniti. Grazie.